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Ambrogio Pozzi, cinquant'anni di forme.

Mostra-omaggio al famoso designer al Museo della Ceramica di Laveno

Cono 1969-1970Palazzo Perabò si affaccia sul lungolago di Cerro di Laveno, uno degli angoli pittoreschi del Lago Maggiore. Salendo qualche gradino lo sguardo dà sul bel cortile cinquecentesco porticato anche al piano nobile, di una misura davvero umanistica. Questa è la sede della Civica Raccolta di Terraglia e del Museo Internazionale del Design Ceramico.
La Raccolta di Terraglia è la testimonianza della storia di Laveno, delle sue botteghe e industrie ceramiche.
Iniziata alla metà dell'800, la vicenda della ceramica lavenese ha avuto momenti di grande fulgore sino a divenire un punto di riferimento per tutta la produzione italiana. Negli anni recenti purtroppo ha subito un drastico ridimensionamento, quasi una scomparsa; non solo per motivi societari o finanziari. Per questa ragione assumono, se possibile, ancora maggior importanza le opere raccolte a testimonianza di quella storia, del sapere fattuale artigianale e semindustriale andato perduto.
Mi auguro che la mostra qui allestita e dedicata ai cinquanta anni di attività nel settore ceramico di Ambrogio Pozzi non sia solo un omaggio al famoso designer gallaratese ma sia anche un momento necessario di riflessione per i responsabili del Museo, della sua gestione e per tutti coloro che hanno a cuore le sorti di questa radicata tradizione artistica artigianale.
Dunque anche per questa ragione consiglio il visitatore di vedere prima la Raccolta di Terraglia e poi la mostra di Ambrogio Pozzi.
Ambrogio Pozzi, si sa, è un protagonista del design ceramico della seconda metà del secolo che sta per chiudersi ed è inoltre figura singolare come si evince anche dalla concentrata mostra qui presentata.
Perché singolare? Innanzitutto Pozzi è uno di quegli ormai rarissimi artisti nati a bottega (il padre avendo fondato la Ceramica Franco Pozzi a Gallarate), artisti con caratteristiche uniche: conoscono la materia con cui operano dal di dentro, avendola fatta propria in tenera età, plasmata e riplasmata sino a che mano, pensiero e materia coincidono nel processo produttivo. E da questa precisa identità non si separano mai, neppure quando l'ideazione si serve della matita sulla carta anziché inverarsi nell'oggetto.
Pozzi è artista-designer fin nella sua più intima fibra, non è un artista che fa il designer.
Si vedano in mostra creazioni come la serie TR13, duo e cono. Hanno soluzioni formali geniali pur nella loro apparente semplicità. Soluzioni formali possibili solo per chi come Pozzi ha saputo interiorizzare spazi, forme e modelli architettonici vissuti anche emozionalmente, ha saputo leggere la bellezza nella forma di una conchiglia, carpire la memoria del vasaio, connettere in un cortocircuito la cardatura con i giardini zen. La curva ribassata di una immaginaria cupola (in realtà il contenitore S201) emana una tensione che esalta la purezza della materia evocando un suono angelico. Il cono disegnato per Pierre Cardin è, invece, un utopico nuovo skyline domestico o una ironica metafisica che nasconde e rivela gli oggetti della nostra necessaria quotidianità. La serie duo, raffinata e sontuosa, eppure essenziale nelle sue forme, è stata prodotta da Rosenthal per quasi trent'anni a testimonianza di una classicità di disegno che ha scavalcato anche la crisi del design postmoderno.
L'intuizione delle forme deve poi fare i conti con le tecnologie di produzione, con l'ergonomicità e la componibilità per finire con il packaging: la confezione finale. Tutti problemi che vengono superati con apparente facilità da Pozzi, anzi non paiono neppure essere problemi tanto la forma li risolve da se stessa.
Le opere esposte suggeriscono molte letture e riflessioni e soprattutto molti incantamenti: davanti a certi rossi al selenio con trasparenze di fuoco, a certi verdi intensi ottenuti con le cristalline colorate pieni d'aria e di luce, a certi teneri lattiginosi bianchi mat, ai sorprendenti innovativi accostamenti di materiali, come i manici d'acciaio sul nero profondo di primaluna, e i legni colorati di umorometro.
Ma sorprenderà anche l'ironia che fa capolino spesso nell'opera di Pozzi , anche solo nel titolo, vedi la serie plissè, o bombolo, e che sembra pervadere le opere degli ultimi anni, poche presenti in mostra, ma documentate nel bel catalogo Electa, con testo di Flaminio Gualdoni e schede di Tiziano Dalpozzo. La mostra di Ambrogio Pozzi in questo contesto fa riflettere e sognare: se si coniugasse la genialità di Pozzi e la sapienza artigianale ancora diffusa sul territorio con il sostegno dell'Amministrazione pubblica è possibile che
la Civica Raccolta di Terraglia non rimanga solo testimonianza del passato, ma diventi il centro propulsore di una rinascita della tradizione ceramica di Laveno.

05/08/2000

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