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I ponti, il ferro e la poesia
I ponti costituiscono una via di comunicazione fondamentale per l'industria e il commercio. Sin dall'attivazione delle prime ferrovie nella seconda metà dell'800, sul territorio varesino grandi infrastrutture in ferro hanno favorito lo sviluppo economico.
"L'interpretazione meccanicistica delle origini dell'architettura moderna, trova nella nuova scienza delle costruzioni - fondata già nel secolo XVII con gli studi sulla resistenza dei materiali edilizi - che si cominciano a produrre dalla seconda metà del '700, le sue principali argomentazioni. Questa tesi, insieme con l'interpretazione economico-sociale, è alla base delle teorie funzionaliste. Sul piano storico si tende a stabilire una precedenza dell'ingegneria sull'architettura e si delinea un'evoluzione ... - già registrata nel 1747 con l'istituzione dell'Ecole des Ponts et Chaussées, che eliminava gli architetti da un ramo edilizio di loro pertinenza - che procede verso una sintesi-limite in cui l'ingegnere si fa poeta e l'architetto diviene scienziato". (Bruno Zevi: Storia dell'architettura moderna, Einaudi, Torino)
L'Europa ottocentesca viene attraversata da un nuovo soffio vitale che vede l'abbandono delle tecnologie tradizionali a favore di "nuovi" materiali che portano alla realizzazione di grandi manufatti metallici tra i quali possiamo almeno sintetizzare: - 1851: il Palazzo di Cristallo della Grande Esposizione di Londra di Josef Paxton; - 1889: la Galleria delle Macchine di Parigi (Dutert e Contamin), la Torre Eiffel (Gustave Eiffel). E... in Italia? Nel nostro Paese le intraprese si muovono con qualche ritardo poiché la situazione politica è stata tale per cui, fino all'ultimo ventennio del secolo XIX, è stato gioco forza pensare in piccolo, limitati da confini geografici angusti. Lo stesso nostro commercio, abbandonati i fasti e la fama che lo avevano contraddistinto fino ad almeno il XVII secolo, deve penare fino alla seconda metà del 1800 per ritrovare motivi di ripresa. Se già in epoca romana il nostro territorio era attraversato da una rete non piccola di strade, nei secoli successivi i frazionamenti amministrativi e le divisioni tra le regioni e tra zona e zona non favoriscono certamente le sviluppo delle interconnessioni viarie. Così la maglia stradale continua a ricalcare le antiche percorrenze romane che si mantengono nel tempo (sia esemplificativo il caso della strada "ducale" - che si sovrappone alle "stratae" romane - e che riprende anche in parte la "via mercatoria" che da Pavia menava a Sesto - e della quale si ritrovano ancora i "muracci" del ponte di Sesto Calende) e che difficilmente "scavalcano gli ostacoli". Si privilegiano, dunque, le vie litorali e le vie di fondo valle preferendo ridurre gli "sconfinamenti" ed evitando gli ostacoli geografici di maggior impegno.
E' solo con l'Unità d'Italia che possono essere riallacciate talune percorrenze storiche e si può pensare di riattivare le vie di superamento delle Alpi. Il commercio riprende fiato e l'industria preme sempre di più per collegarsi ai mercati europei dai quali importare materie prime ed ai quali inviare materiale lavorato o semi-lavorato. Finalmente, nelle nostre zone, si vedono posare le strade ferrate - è del 1864-67 l'attivazione della Milano-Gallarate-Domodossola (con ramo verso Laveno) sulla scorta di una convenzione per la tratta Gallarate/Sesto del 1860 mentre nel 1882 si apre la Novara-Pino - ed è gioco forza pensare a strutture abbastanza robuste per sopportare (anche fisicamente) i nuovi "carichi". Il Ticino, fino alla metà dell'ottocento difesa, baluardo e, soprattutto, "ostacolo" naturale, deve essere scavalcato e nel 1868 compare il primo ponte ferroviario in legno posato a Sesto Calende. La sua lunghezza è di 270,10 metri ma la sua inadeguatezza è presto evidente se si pensa che già nel 1881 si inaugura il Ponte in Ferro di Sesto. La struttura nasce su un progetto dell'ing. G.B. Biadego e l'impresa costruttrice sono le "Officine Meccaniche di Castellamare". L'opera viene pensata con una funzione un po' anticonformista in quanto viene studiato un manufatto completamente metallico a "tre vie" che costituiscono una grandiosa trave reticolare con ampie briglie incrociate le quali definiscono una sorta di "scatola" in ferro semi trasparente. Il maestoso manufatto (in totale la lunghezza è di 265 metri lineari) viene strutturato su tre lunghe campate (da 83 + 99 + 83 metri) con due pile "in alveo" in pietra e muratura rivestita e con le due testate che vengono gettate "a giorno", in calcestruzzo. Si diceva delle tre vie e dell'anticonformismo che si stava diffondendo tra gli ingegneri italiani: sulla briglia inferiore, infatti, venne subito alloggiata la massicciata della ferrovia mentre sulla via intermedia si realizza la sede per il transito dei veicoli a ruote. Non che questa fosse un'invenzione assoluta (se si pensasse ai "ponti romani" ed ai manufatti - sempre romani - per le realizzazione degli acquedotti) ma, in epoca moderna, è certo che non furono molte scelte di questo tipo fatte, poi, su opere di queste dimensioni. Il ponte originario venne ricostruito, (praticamente "com'era" e "dov'era" dopo le distruzioni belliche), negli anni 1950-51 ed è lo stesso che oggi, ormai "inserito" nel paesaggio lacuale, segna il punto di emissione del lago Maggiore e la ripresa del corso naturale del Ticino, quasi a formare, lui che è servito a riunire le due sponde ormai non più "nemiche", il nuovo confine tra due ambienti ben definiti e riconoscibili.
Eguale e diverso il ruolo e la storia del Ponte di Ferro di Malnate. Anche in questo caso si trattava di un manufatto ferroviario ma l'intorno naturale entro il quale si veniva ad inserire non era certamente quello "sonnolento" del lago ma quello più aspro delle prime forre dell'ambiente prealpino, quando questo si avvicina alle Alpi. Eguale, per la necessità di collegare due fronti opposti e consentire, in questo caso, il passaggio dei convogli che da Milano, Saronno e Como si spingono verso Varese e Laveno. Eguale, perché l'epoca di costruzione é, praticamente, la stessa (1885). Eguale, per l'impiego di una struttura reticolare metallica. Eguale, per la divisione in tre campate varate su due pile (la lunghezza totale è di 190 metri). Eguale, per la provenienza della struttura che, anche in questo caso, giunge da officine di Napoli. Diverso per le "pile" originarie, qui completamente in ferro e di altezza notevolissima, che si innalzavano entro il profilo vallivo. Diverso per l'architettura che presentava unicamente due vie, delle quali venne sfruttata unicamente la via superiore sulla quale correva la ferrovia. Diverso, infine, per la sorte successiva in quanto, anziché per una ricostruzione fedele, si optò, negli anni 1927-28, per una sua ricostruzione totale in calcestruzzo, abbandonando così il progetto originario dell'ing. A. Cottrau, perdendo la levità dell'opera metallica per riportarsi ad una tipologia ben più massiccia. Forse che gli ingegneri di inizio secolo fossero ritornati "scienziati" abbandonando la "poesia" ?
05/08/2000
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