Nico Scordamaglio-cantautore-dalla-vena-pop

Intervista di Varesefocus al cantante calabrese, al secolo Nico Scardamaglio, che si è recentemente esibito a Varese alle Cantine Coopuf

Domanda di “rito”: presentati per chi ancora non ti conosce

Se dovessi descrivermi in poche parole, direi che sono un cantautore dalla vena pop, sulla scia di Battisti e Battiato, che cerca di essere empatico e dire cose che toccano le corde della gente.

Sulle tue biografie si legge “inesistente in qualsiasi scena musicale fino al 2014”: qual è stato il passaggio che ti ha reso ora così conosciuto?

Sono stati svariati momenti, io non ho avuto una carriera “lampo”, tutto quanto sta arrivando in maniera graduale, una canzone per un film, un disco, poi quello successivo, il tutto accompagnato da un forte passaparola.

Ti aspettavi questo successo per il singolo “Palazzina gialla”?

In realtà devo ringraziare la playlist Indie Italia (su Spotify) che ha inserito questo pezzo, probabilmente per il suo essere così orecchiabile: con questa spinta ha raggiunto moltissime persone.

Cosa hai provato nel ricevere una candidatura ai David di Donatello per la soundtrack del film "Smetto quando voglio" e una alle Targhe Tenco 2015 per il primo album?

È stata un’emozione, una sorta di emancipazione a livello culturale e mi sono sentito molto onorato, anche perché facevo musica da poco tempo.

Cosa è cambiato tra il primo disco “I piedi sul cruscotto” e il secondo “Tormentone”?

Innanzitutto, i suoni, il secondo album poi voleva essere più pop, ma senza tralasciare il cantautorato, rivisitandolo in una maniera tale da renderlo più cantabile.

In “I piedi sul cruscotto” il fil rouge che lega le tracce è una ricerca di rivincita e desiderio di miglioramento: senti di aver già ottenuto la tua rivincita? In cosa, invece, ti piacerebbe migliorare?

L’album voleva essere una risposta a una situazione particolare, vivevo un periodo che, per motivi personali, non era dei migliori: è stato un “volermi buttare”, un modo per reagire. La mia rivincita sta in tante piccole cose e nel procedere a piccoli passi, l’importante è la direzione che, per ora, è sempre stata in avanti.

Per quanto riguarda “Tormentone”, i motivi principali sono una relazione terminata e una persona che non si riesce a dimenticare: parli di esperienze autobiografiche?

In realtà mi piace molto romanzare, il concetto di arte per me è anche arte-fare, la parte autobiografica è presente, ma mi piace anche guardare il lato estetico della realtà. Se ho vissuto un momento, ad esempio, sotto un cielo nuvoloso, ma avrei voluto un tramonto, io modello la storia a mio piacimento, questo è un qualcosa che ho trasferito anche dal mio sogno di diventare scrittore.

Qual è il tuo artista preferito del panorama indie e con chi ti piacerebbe collaborare?

Brunori, che è stato per me fonte di ispirazione per il primo album, quando avrò le “spalle più larghe” mi piacerebbe chiedergli di collaborare; poi mi piace molto Dente e Motta, ma anche artisti più distanti da me come Cosmo o I Cani.

Sei amico di qualcuno di questi?

Ci conosciamo quasi tutti, a Roma ci troviamo spesso alla domenica tra di noi artisti, conosco Gazzelle, Viito, Cimini. Con Marco Rissa, dei The Giornalisti, sono in comitiva insieme.

Scarda è un cantautore dai testi semplici che cercano di fare poesia in maniera forte

È un momento molto florido per l’indie, ma è altrettanto complesso riuscire a contraddistinguersi e a trovare un proprio spazio: hai mai pensato di smettere con la musica o ti sei mai trovato in momenti di difficoltà?

No, per ora non ho mai pensato di smettere, ma succede spesso di trovarsi in difficoltà. E’ un mondo in cui finché non arrivi ad un livello alto è difficile da vivere, bisogna fare molti sacrifici e spesso, quando si va in provincia, raggiungere numeri elevati è veramente complicato. Riuscire a catturare l’attenzione del pubblico con qualcosa di introspettivo, profondo e impegnato è difficile perché la gente vuole pensare in maniera positiva e di conseguenza l’intrattenimento musicale è più immediato. Il mio obiettivo è quello di trovare le parole giuste per far “digerire” il mio messaggio agli ascoltatori; da una parte preferirei che mi venissero naturali pezzi super pop perché in questo modo il percorso sarebbe meno faticoso, ma allo stesso tempo non mi do per vinto e lavoro per trovare la formula giusta. Inoltre, da quando si è scoperto che anche l’indie poteva competere con il pop radiofonico, si è scatenato un fenomeno di emulazione, ma è necessario avere un’esigenza interiore, un bisogno di sfogare un qualcosa, perché altrimenti le persone avvertono che non c’è verità. Calcutta, ad esempio, con l’album “Mainstream” ha compiuto una rivoluzione, ha ridato vita a un linguaggio che era stato da tempo abbandonato ed è riuscito a fare un mosaico di scene e di parole che apparentemente non hanno collegamenti, ma attraverso il quale ci si riesce a rispecchiare nel suo disagio interiore.

Nel tuo pezzo “Bianca” canti “i ricordi sono coltelli, quelli che fanno più male, sono i più belli”: a cosa pensavi in quel momento?

Posso dirti a tanti pomeriggi in spiaggia, passati con una persona.

In “Giulia” invece scrivi “l’amore ti dà tanto però non ti dà tutto”: qual è il tuo tutto?

Nella vita nessuno sta bene al cento per cento, bisogna riflettere su ciò che fai con una persona, ma anche su quello che riesci a fare senza.

Nella traccia “Ventanni” si ascolta “solo se muori avrai sempre i tuoi anni”: cosa significa per te?

Mentre ti parlo, ogni tanto mi guardo allo specchio e mi vedo invecchiato, bisogna fare attenzione e tener presente che se non insegui subito i tuoi sogni, un giorno potresti accorgerti di non poterlo più fare.

Ultima domanda: progetti futuri?

Cercare di crescere sempre di più: ora si andrà avanti con il tour che è in pieno svolgimento e prossimamente farò uscire dei nuovi singoli, magari alla ricerca di una hit, ma sempre con il desiderio che ai miei concerti la gente canti e sia affezionata all’intera scaletta.



Articolo precedente Articolo successivo
Edit