Startup e Silicon Valley sono fra le parole più usate in questi mesi nei media e nelle conferenze, ma probabilmente attribuendo a loro significato equivoci.
Se in Silicon Valley si chiede che cosa è una startup, e lì la sanno lunga sull’argomento, ci si sente rispondere che è un meccanismo per arrivare presto e con grande successo alla exit. Dove exit è il momento in cui chi ha fondato e finanziato la startup considera praticamente finita la sua esperienza imprenditoriale in quella azienda “capitalizzando” il successo conseguito. Realisticamente va subito ricordato che però la exit più frequente (almeno il 99% dei casi) è la chiusura della startup perché non si è riusciti a farla decollare.

Capacità di innovazione, scalabilità, replicabilità e profittabilità: i fattori che fanno di un’impresa una vera startup della Silicon Valley
Startup che si costituiscono e investono per realizzare prodotti per qualche grande azienda senza aver formalizzato con loro alcun accordo preliminare

Basta questo esempio molto particolare, e questa risposta così diversa da come ce la aspetteremmo, per capire quale grande differenza esiste fra il nostro modo classico (italiano ma anche europeo) di gestire un grande successo aziendale con quello che si è consolidato in Silicon Valley e, a cascata, nel resto degli Usa, in Asia e recentemente anche in Europa. “Ma come - viene spontaneo chiedersi - porto con grande fatica una azienda al successo e immediatamente ne prendo le distanze? Non dovrei, come minimo, pensare di lasciarla ai miei figli?” In realtà questo modo di fare non è poi così incomprensibile se si pensa che chi ha investito in una startup di successo si ritrova con un guadagno pari ad almeno 100 volte l’investimento fatto, ma spesso anche molto di più.
Ma che cosa è concretamente questa exit? Tradizionalmente è il momento in cui l’azienda decide di diventare pubblica quotandosi in borsa mediante l’offerta al pubblico delle azioni della società (la famosa IPO, initial public offering). Questa modalità si sta però sempre più riducendo lasciando il posto ad un’altra: la cosiddetta M&A (merger and acquisition) in cui normalmente la startup viene comprata da un’azienda già sul mercato. In ogni caso il valore che la startup ha maturato nella sua storia, anche breve, dà luogo ad un grosso guadagno per chi ha in essa investito, sia in termini di capitali che di tempo: guadagno che può essere in cash o in azioni o in stock option. Quindi una grossa disponibilità di denaro, che può essere investita in nuove iniziative imprenditoriali alimentando in questo modo un circolo virtuoso che sembra essere senza fine.

Il numero impressionante di startup in Silicon Valley (si parla di svariate decine di migliaia) ha dato inoltre origine ad un fenomeno assolutamente nuovo: le grandi aziende (ad esempio Google, Facebook, Linkedin, Twitter, Microsoft), anche se non lo dicono esplicitamente, hanno ridotto notevolmente i propri dipartimenti di Ricerca e Sviluppo perché hanno la quasi matematica sicurezza che il nuovo prodotto o la nuova funzionalità che vorrebbero mettere sul mercato è già in fase di studio da parte di qualche startup. Basta trovarla. E qui la fantasia e l’attitudine al networking che caratterizza la Silicon Valley è scatenata: ogni giorno ci sono decine di party formali ed informali, pitch (presentazioni delle attività in fase di sviluppo nelle startup e che descriverò in un futuro contributo) ed ogni occasione è buona per condividere ciò che si sta facendo (o che si ha in mente di fare).


Addirittura le grandi aziende non si preoccupano tanto di fare piani per nuovi business, basta stare con le orecchie aperte e sicuramente si possono scoprire idee geniali che stanno diventando realtà, già disponibili e pronte per il mercato ed anche molto meno costose rispetto a quello che si dovrebbe investire per implementarle all’interno; ma anche questo non verrà mai detto pubblicamente.

Vi sono anche startup che si costituiscono e investono molti soldi e molto impegno per realizzare prodotti già studiati espressamente per qualche grande azienda senza aver formalizzato con loro alcun accordo preliminare. Quando i primi prototipi sono pronti la contattano e le probabilità di avere successo sono piuttosto alte.
Negli ultimi tempi si verificano acquisizioni di startup apparentemente senza nessuna spiegazione; qualcuno le chiama dark acquisition. I motivi possono essere diversi: alcune startup per esempio danno "fastidio",  magari stanno lavorando su prodotti che a lungo termine potrebbero intaccare il business di aziende già consolidate. Capita quindi che per questo vengano acquistate e poi chiuse senza che nessuno ne sappia più nulla (naturalmente conservando la intellectual property).

Vale la pena di ricordare a titolo di esempio il caso più eclatante di vendita di una startup a una grande azienda: naturalmente si parla dell’acquisizione di WhatsApp da parte di Facebook con un corrispettivo di 16 miliardi di dollari più 3 miliardi in stock option. Questa valutazione non può trovare alcuna giustificazione se si volessero seguire i criteri classici basati sul fatturato e sugli utili: il prezzo pagato si regge solo sulla base della domanda e dell’offerta e da altre circostanze al contorno (sicuramente in questo caso ha pesato l’interesse di Google per WhatsApp e la possibilità per Facebook di entrare nel mercato degli SMS sempre appannaggio delle major della telefonia). Sempre per dare un’idea dei numeri che ruotano attorno alle startup di successo è bene ricordare che Sequoia, probabilmente il più importante Venture Capital mondiale, nel 2011 aveva investito 8 milioni di dollari per il 15% di WhatsApp e nel momento della sua vendita ha ricavato circa 3,5 miliardi ottenendo quindi un risultato pari a oltre 60 volte l’investimento effettuato.

Per comprendere qualche apparente stranezza in alcune operazioni come questa, bisogna tener conto che talvolta i Venture Capitalist dei due “attori“ sono gli stessi.
In conclusione: se si dovesse dare una definizione di startup nella visione della Silicon Valley, immaginario collettivo a parte, si potrebbe paralare di un’impresa che ha alcuni elementi peculiari per essere considerata tale: il forte grado di innovazione, la scalabilità (ossia la capacità di diventare grandi), la replicabilità e la profittabilità. Come direbbero in Silicon Valley: scalable, replicable and profitable.



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