Da oltre 20 anni c’è un programma che fa spostare i ragazzi dai 17 ai 30 anni. Si tratta del Servizio Volontario Europeo che da un anno ha cambiato nome. Ecco chi sceglie di partire e perché

Con l’Unione Europea anche il volontariato giovanile è mobile: dal 1996 ad oggi con la formula dello Sve (Servizio Volontario Europeo, oggi Corpo Europeo di solidarietà) si sono mossi circa 100mila giovani, di età compresa tra i 17 e i 30 anni. Tra questi, ci sono anche i ragazzi partiti e arrivati a decine nel nostro territorio dove l’ente di invio e accoglienza di riferimento è il Csv (Centro di servizio per il Volontariato) Insubria.

Cosa significhi nel concreto questa opportunità ce lo racconta proprio uno di loro Kanthavel Pasupathipillai, partito da Varese per un progetto di volontariato europeo in Portogallo nel 2007 come laureando in filosofia, tornato lo scorso anno con una seconda laurea – questa volta in matematica applicata – e un lavoro, che gestisce da qui, come data scientist per una FinTech portoghese.  “La mia esperienza come volontario Sve – racconta – è durata un anno: ero a Moura, cittadina al confine con la Spagna e mi occupavo dei bambini della comunità rom. Il Portogallo mi piaceva come Paese in cui vivere e quindi ho deciso di fermarmi là, trasferendomi a Lisbona”. A dispetto della collocazione nell’ambito del terzo settore, l’esperienza è a tutti gli effetti legata a una dimensione di crescita non solo personale, ma anche professionale. “Questa esperienza mi ha permesso di conoscere molte persone – dice Kanthavel – ma anche di comprendere meglio cosa era importante per me nella mia vita personale e professionale”.  

Andare all’estero mettendosi a disposizione di associazioni o enti che lavorano nel terzo settore significa infatti imparare a gestire tempi e incarichi esattamente come accade in un luogo di lavoro, tanto che il 98% di chi ha fatto questa esperienza la giudica utile per il suo impiego professionale. Ad attrarre molti giovani è spesso proprio la possibilità, oltre che di imparare una lingua, di mettersi alla prova in ambiti nei quali si aspira a lavorare (ad esempio l’ambito della cultura, dell’ambiente, dell’educazione dei più piccoli o quello della disabilità). Questa scelta è spesso anche molto gettonata da chi, finito il liceo o la laurea triennale, desidera concedersi un gap year, ovvero una sorta di anno sabbatico per orientarsi rispetto alle scelte future.

 

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