Non può essere solo un algoritmo, per quanto “intelligente”, a stabilire correttamente il rating bancario di un’impresa: serve un nuovo profilo professionale in grado di comprendere e “correggere” i meccanismi che regolano il giudizio sull’indice di affidabilità attribuita alle aziende 

Più o meno dal 2012, a seguito degli Accordi di Basilea, tutti i grandi gruppi bancari italiani si sono progressivamente dotati, sotto la pressione della Vigilanza, di sistemi di rating interni al fine di transitare da un “credito di vicinanza” (in senso buono) ad un credito erogato alle aziende su basi più oggettive. Ma il punto è che questo massiccio ricorso a sistemi di rating e a “motori intelligenti”, non svilisce affatto il rapporto relazionale tra banca e impresa, anzi, lo fa evolvere verso livelli di maggior profondità e qualità rispetto al passato. Infatti, è vero che i sistemi di rating bancari, testati e validati dalla Vigilanza, riescono statisticamente ad evidenziare la rischiosità dei soggetti esaminati, tuttavia, basandosi su algoritmi, potrebbero non riuscire a percepire appieno le peculiarità di specifiche situazioni. 

Dunque, in assenza dell’uomo, il meccanismo potrebbe anche incepparsi. Ad esempio, una massiccia presenza di immobilizzazioni immateriali (come marchi e brevetti) nel bilancio di una azienda potrebbe “allarmare” il rating bancario a causa della difficoltà oggettiva di valutare queste poste. Tuttavia, una buona conoscenza tra banca e impresa potrebbe evidenziare come, in realtà, sia stato proprio quel brevetto a consentire alla nostra azienda di acquisire nuove commesse così da resistere agli agguerriti competitor tedeschi. Dunque, l’utilizzo dei sistemi di rating interni, paradossalmente, esalta l’importanza di due ruoli in passato spesso trascurati: per la banca, il gestore imprese e, per l’azienda, quello che si potrebbe efficacemente definire l’uomo - rating. La mission del gestore sarà quella di dialogare costantemente con questa figura professionale per evidenziargli, grazie ad una vera conoscenza dell’azienda in portafoglio, tutti quei comportamenti che possono “eccitare” il rating. Da evidenziare che, in determinati casi, il gestore potrà anche, grazie alle informazioni fornite dall’uomo - rating, procedere a modificare il “numeretto” attribuito all’azienda dal sistema (processo di override). 

Da parte sua, questa nuova figura professionale, con l’aiuto del gestore, dovrà comprendere appieno i meccanismi che influenzano il rating (non si parla qui di algoritmi, ma di comportamenti) così da attivare quelle correzioni necessarie ad evitare che il deterioramento del “numeretto” degeneri in un peggioramento del rapporto con la banca. E sarebbe anche molto importante che l’uomo - rating si tenesse costantemente aggiornato su quelle normative di Vigilanza che, ancorché dirette in prima battuta alle banche, finiscono per ripercuotersi inevitabilmente sulle imprese (sconfinamenti oltre i 90 giorni, Past due, ovvero l’esposizione scaduta e sconfinata da più di 90 giorni). 

I sistemi di rating bancari, testati e validati dalla Vigilanza, riescono statisticamente ad evidenziare la rischiosità dei soggetti esaminati, tuttavia, basandosi su algoritmi, potrebbero non riuscire a percepire appieno le peculiarità di specifiche situazioni 

Ma per comprendere meglio l’importanza di questa figura in azienda è necessario capire come si forma il rating. Considerando una PMI, i dati di bilancio dell’impresa concorrono alla formazione del rating stesso per circa il 20%, i dati della Centrale Rischi pesano per circa il 10%, mentre i dati presenti nell’area detta dell’“andamentale interno” arrivano a contare anche per un 70%. In quest’area, fondamentale per le piccole imprese, il rating scruta il rapporto quotidiano tra banca e impresa, controllando, ad esempio, il corretto utilizzo delle linee di cassa (sconfinamenti, utilizzo a tappo dei fidi) e delle linee autoliquidanti (anticipo fatture e ricevute bancarie - RIBA). Ed è proprio qui che è facile intuire l’importanza della presenza dell’uomo - rating in azienda. 
Ad esempio, un imprenditore potrebbe chiedere alla propria banca un anticipo a fronte di ricevute bancarie RIBA pur temendo che i suoi clienti possano pagare in lieve ritardo. Ebbene quando arriverà il pagamento ritardato l’imprenditore, di questi tempi, stapperà comunque una bottiglia di spumante. 

Il problema è che il rating (che non guarda solo se un’impresa paga male, ma guarda anche se una azienda incassa male), potrebbe peggiorare ritenendo che l’azienda non abbia un buon portafoglio clienti. Con ovvie conseguenze in termini di maggiori oneri per l’impresa, accessibilità limitata ai prodotti della banca e difficoltà nel futuro accesso al credito. Nell’ambito di numerosi incontri con Confindustrie del Nord, è emersa ormai una chiara differenza nel rapporto tra banca e impresa, tra le aziende che si sono dotate di un uomo rating, adeguatamente formato, in grado di evitare l’insorgenza delle problematiche sin qui descritte, rispetto ad imprese che non hanno ancora ravvisato questa esigenza. Ora, è evidente che, a seconda delle dimensioni dell’azienda, potrà esser individuata una risorsa specifica per “marcare a uomo” il rating o attribuire questa mission a chi già segue, in generale, il rapporto con le banche. Una cosa però è certa: visto che indietro non si può tornare, è fondamentale che l’imprenditore prenda atto che è molto meglio organizzarsi e gestire questo “numeretto”, piuttosto che illudersi che sia un qualcosa di trascurabile. “If you can’t beet him, join him” dicono gli americani. 



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