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Esce postumo il libro “Andar per erbe” dell’imprenditore Paolo Castellini, scomparso nel 2006. Una guida per chi ama raccogliere e consumare le erbe commestibili selvatiche della zona insubrica, con schede storiche e botaniche e dettagliate ricette. Un’iniziativa editoriale voluta dai figli per ricordare la figura e le passioni gastronomiche di colui che per quattro anni fu anche delegato varesino dell’Accademica Italiana della Cucina 

A quasi sedici anni dalla morte, i figli ricordano l’imprenditore tessile ed ex associato dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, Paolo Castellini, pubblicando il libro che il padre, raffinato gourmet e storico del cibo, lasciò incompiuto. S’intitola “Andar per erbe, consigli per cercare e cucinare le erbe spontanee mangerecce dell’Insubria”, trecento copie destinate a chi condivideva la sua passione, professionisti, cuochi, osti, industriali e l’amico di sempre Renato Pozzetto, con periodiche riunioni in esclusivi pranzi conviviali.       

Paolo Castellini, 68 anni, di famiglia milanese, morì il 28 aprile 2006 con la moglie Welma Carità, 70 anni, in un terribile incidente stradale provocato dal salto di corsia di un Tir sull’Autolaghi. La coppia lasciò tre figli, Roberta, Vittorio e Alessandro e un progetto editoriale che il padre aveva nel cassetto, pronto per essere pubblicato con tanto di dedica alla moglie. La figlia Roberta spiega: “È un omaggio postumo alla grande passione di papà. Abbiamo aspettato tutto questo tempo ripromettendoci di completarlo, ma gli anni passavano e abbiamo deciso di pubblicarlo così com’era, senza toccare una riga. Compresa l’auto-presentazione di mio padre, come se fosse ancora vivo, che si legge nel risvolto di copertina”.  

All’epoca Paolo Castellini era da quattro anni il delegato varesino dell’Accademia Italiana della Cucina, l’associazione culturale fondata nel 1953 da Orio Vergani, per difendere le tradizioni gastronomiche del Belpaese. Ma prima di diventare un Indiana Jones della cultura gastronomica prealpina, era stato un imprenditore tessile di successo. Erede di un antico stabilimento di juta, canapa e lino, che produceva sacchi per le Poste Italiane e tessuti rigati per le sdraio del Lido di Venezia, della Versilia e della riviera adriatica, aveva gestito la fusione con la ditta tessile Braghenti di Malnate e se ne occupò per quarant’anni, fino al 1995, quando l’azienda fu assorbita dalla Ratti di Como. La fabbrica, specializzata nella confezione di tessuti in lino, lana e fibra invernale per abbigliamento femminile, negli anni d’oro arrivò ad avere oltre 400 operai. Presidente dal 1982 della sezione tessile di Assind, affrontò la crisi del settore e fu uno dei protagonisti della fusione fra l’Associazione degli Industriali della Provincia di Varese e l’Unione Bustese degli Industriali; fusione da cui, il 18 aprile 1989, nacque l’Unione degli Industriali della Provincia di Varese.

“Andar per erbe” è una preziosa guida pratica di 145 pagine per chi ama raccogliere e consumare le erbe commestibili selvatiche della zona insubrica, corredata da schede storiche e botaniche con dettagliate ricette, disegni e foto. “Mi hanno spinto ad affrontare questo impegno – confessa l’autore – il grande amore per il cibo, in modo particolare per quello che ci viene offerto spontaneamente dalla natura, unito al desiderio di condividere con sempre più persone un godimento sano e piacevole”. Sono erbe che si colgono a mano nei luoghi più impensati, nelle scarpate, ai bordi delle strade e dei canali irrigui, intorno ai ruderi, ai muretti che cintano le proprietà e nei ritagli di terreno dove il contadino non arriva con la falciatrice.

È un patrimonio spontaneo che alimenta golosi menù: fiori di robinia da gustare fritti in tempura o passati in pastella; il tarassaco o dente di cane, in dialetto “pissacan”, che si mangia crudo in insalata oppure lessato per togliere l’amaro; gli spargitt diffusi sulle rive ombreggiate dei torrenti dai germogli simili agli asparagi; il fiore delle violette o viole mammole per decorare insalate e dolci; le foglie tenere dei verzitt, ottime crude nelle misticanze primaverili, nelle zuppe, nelle minestre e nelle frittate. E via con il gustoso campionario di barbe di Giove, aglio orsino e serpentino, bubbole, borragine, code di volpe, crescione di sorgente, erba di San Giovanni, luppolo, mentuccia, millefoglie, muraiolo, orecchie d’asino e di lepre, pan cuculo, rosolaccio, sancarlino, scigolla matta, timo serpillo, uva turca e via elencando (chi è interessato al libro può scrivere a: robix@welma.it).

Al di là della passione per le erbe di campo, Castellini si occupava anche di cucina genuina e tradizionale con idee e proposte originali. Sosteneva che il piatto tipico di Varese potrebbe essere il lavarello in carpione, fritto e coperto di verdure cotte in aceto e vino: “Un tipico modo di conservare il pesce sulle sponde dei nostri laghi quando non c’erano i frigoriferi – diceva –. Un po’ come le veneziane sarde in saor”. Oppure la zuppa di castagne, rape, porri e orzo, una ricetta contadina delle nostre valli nei secoli passati. O ancora la faraona alla creta, una ricetta assai diffusa nel Varesotto un tempo ricco di fornaci, quando gli operai usavano cuocere pollastri e faraone, appunto, nei cocci dalla farinosa varietà di calcare. 

Ai quattro anni della sua gestione accademica si deve la codifica ufficiale, davanti al notaio con tanto di deposito in Camera di Commercio, della ricetta classica dei bruscitti in collaborazione con il Magistero di Busto Arsizio. E infinite cene conviviali dedicate ad argomenti culinari della tradizione come i funghi di primavera, i pesci del lago Maggiore, la cucina lombarda o, appunto, le erbe mangerecce. Per non parlare della collaborazione con l’Istituto De Filippi e con le scuole alberghiere, delle conferenze all’Università della terza età, dei Lions, dei Rotary, dell’associazione professionale femminile Fidapa e degli eventi straordinari come la cena in costume in onore del cuoco rinascimentale varesino Bartolomeo Scappi, nel febbraio 2004, in collaborazione con Palazzo Estense.

Quando avvenne il tragico incidente, la figlia Roberta viveva in Egitto, dove gestiva un villaggio turistico: “Fosse ancora qui – sorride – papà si godrebbe la frescura del lago nella villa di Cerro di Laveno dove ora abitiamo io e mio fratello Vittorio, informatico sviluppatore di software, con le nostre famiglie. L’altro fratello, Alessandro, è operatore turistico in Kenya. Rileggerebbe gli amati libri risorgimentali che parlano del nostro avo, il maggiore garibaldino Nicostrato Castellini che cadde a Vezza d’Oglio nel 1866 nella terza guerra d’indipendenza (a Cerro c’è l’archivio di famiglia che si può consultare a questo indirizzo: www.archiviofamigliacastellini.com) e farebbe qualche puntata nei prati in cerca d’erbe buone da mangiare. Oggi lui e Welma, che era un’apprezzata ceramista, avrebbero tre nipoti, Edoardo figlio di Alessandro e i miei due gemelli, un maschio e una femmina, a cui ho dato i nomi dei nonni”.  



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