Sofinter-smaterializza-l’energia

Il Gruppo di Gallarate, specializzato nella realizzazione di impianti e componenti per la produzione di vapore e di elettricità, è in prima linea nello sviluppo delle tecnologie legate all’idrogeno. Ma non solo. La ricerca di combustibili in grado di bruciare senza emissioni di anidride carbonica va avanti  anche su altri fronti. Tra i più interessanti, l’ammoniaca e la ossicombustione

Nel 2002 venne pubblicato in Italia un saggio di Jeremy Rifkin dal titolo Economia all’idrogeno, trasformatosi in poco tempo in un best seller. Secondo Rifkin, la smaterializzazione dell’energia coincide con quella dell’attività economica. In particolare, la decarbonizzazione ha significato non solo una progressiva eliminazione degli atomi di carbonio, ma anche la smaterializzazione degli stessi combustibili, passati dallo stato solido (carbone), allo stato liquido (petrolio) e infine a quello gassoso (idrogeno). La Commissione Europea in quello stesso anno dichiarava che l’Europa sarebbe diventata la prima economia completamente integrata e fondata su idrogeno da fonti rinnovabili. Abbiamo dovuto attendere diciotto anni per veder muovere i primi passi agli stati membri in quella direzione, sotto la pressione di un’opinione pubblica allarmata dall’emergenza climatica. Nel novembre 2020 il Mise (Ministero dello Sviluppo Economico) ha pubblicato il National Hydrogen Strategy Preliminary Guidance in cui si indicano i principali obiettivi: investimenti per 10 miliardi di euro suddivisi fifty-fifty con il settore privato, 5 gigawatt di elettrolizzatori installati da qui al 2030, 200mila posti di lavoro, un impatto di 1,5 punti percentuali sul Pil e una penetrazione di mercato nei prossimi dieci anni pari al 2% con una prospettiva di crescita al 20% nel 2050.

Alcune aziende del settore si sono organizzate da tempo per affrontare il passaggio auspicato da Rifkin e dalla Ue. Tra queste c’è anche il gruppo industriale Sofinter di Gallarate specializzato nella realizzazione di impianti e componenti per la produzione di vapore per uso industriale e per la produzione di energia elettrica. Del Gruppo fanno parte marchi importanti come Macchi, leader mondiale nella progettazione e costruzione di caldaie industriali e di caldaie a recupero per cicli cogenerativi e AC Boilers formerly Ansaldo Caldaie.

Per gruppi strutturati come Sofinter, il tema centrale in questa fase è la gestione della transizione. “Non abbiamo un interruttore — sottolinea Angelo Alfieri, direttore delle risorse umane e comunicazione — e decarbonizzazione non significa che si chiude una fase per passare immediatamente a energie verdi. La transizione va gestita con tecnologie meno impattanti dal punto di vista ambientale e più efficienti, come il turbogas e con misure di mercato adeguate il capacity market è una di queste. Una corretta transizione deve portarci da qui al 2050, come stabilito dalla conferenza di Parigi, con sempre meno emissioni di anidride carbonica e per ottenere questo risultato dobbiamo far sì che gli strumenti siano il più possibile allineati a quegli obiettivi”.

In Europa esiste già una finestra di attività piuttosto ampia, grazie soprattutto alle aziende del settore che negli ultimi anni hanno fatto investimenti per farsi trovare pronte per questo passaggio. Sofinter investe circa il 10% delle risorse di ingegneria in ricerca e sviluppo e dispone di uno dei più importanti centri europei sulla combustione, il CCA, all’avanguardia nelle tecniche innovative a bassa produzione di inquinanti e ad elevata sostenibilità ambientale. È inoltre proprietaria della società Itea, che possiede un brevetto innovativo sul processo di ossicombustione, che ha un impatto ambientale prossimo allo zero.

La consapevolezza di una necessaria riduzione delle emissioni ambientali all’interno di Sofinter ha radici lontane, particolare che ha permesso al gruppo di gestire le varie transizioni sempre con un certo anticipo. Si è cominciato a metà degli anni ‘80 con la riduzione delle emissioni delle polveri conseguente a combustione di oli pesanti quando imperava lo slogan “il metano ti dà una mano”, per passare alla riduzione degli ossidi di azoto, che contribuiscono al fenomeno delle piogge acide, per arrivare all’abbattimento delle emissioni di anidride carbonica per contenere l’effetto serra. “La riduzione delle emissioni di anidride carbonica non si ottiene solamente con il miglioramento dell’efficienza degli impianti — sottolinea Marzio Ferrara, Technical Director di M hi Boiler — ma anche utilizzando i cosiddetti flare gas, oggi scaricati in atmosfera attraverso torce e utilizzando combustibili che non producono anidride carbonica come l’idrogeno. Per quanto riguarda l’uso di quest’ultimo in Macchi siamo stati dei veri precursori, avendo maturato una grande esperienza nelle raffinerie dove l’idrogeno si ottiene dal gas naturale. Abbiamo realizzato un centinaio di impianti dove si brucia idrogeno in varie proporzioni, spesso miscelato con gas naturale. In tempi recenti abbiamo testato con successo la combustione con idrogeno puro al 100%”.

L’idrogeno entusiasma perché con il suo utilizzo si va a monte del problema: la combustione non genera anidride carbonica e bruciando questo gas libera energia producendo soltanto acqua. Il nodo da risolvere, per un utilizzo su vasta scala, è la realizzazione di infrastrutture di trasporto in piena sicurezza, essendo un gas facilmente infiammabile e ridurre i costi di produzione. Detto questo, la sua capacità di abbattere le emissioni è notevole. “Pensiamo, ad esempio, a una caldaia industriale da 100 megawatt termici installata in un impianto di teleriscaldamento di una città di medie dimensioni — spiega Ferrara — se la facessimo funzionare a idrogeno la riduzione di anidride carbonica in atmosfera sarebbe equivalente a quella di 100mila auto e, considerando che una macchina emette una tonnellata all’anno di anidride carbonica, il conto è presto fatto”. Alla Sofinter è già iniziata la fase Idrogeno 2.0, ovvero la ricerca di altri combustibili che bruciando non generino anidride carbonica. L’ammoniaca secondo i tecnici del Gruppo è tra i più interessanti candidati da esplorare. Altra frontiera molto importante è l’uso della tecnologia dell’ossicombustione industriale che, utilizzando come comburente l’ossigeno puro e combustibili tradizionali come il metano, consente la rimozione e la cattura della anidride carbonica.

I tempi sono dunque maturi per iniziare il cambio di rotta. Lo chiedono le istituzioni nazionali ed europee, lo chiede l’opinione pubblica mondiale e soprattutto lo chiedono i committenti alle imprese. “Un grande stimolo sui temi della sostenibilità arriva dai questionari dei nostri clienti — conclude Giorgio Bona, General Manager di Sofinter — molti dei quali chiedono una fabbricazione made in Europa, sia per accedere ai finanziamenti sia per attenuare il rischio di una supply chain diventata sempre più fragile a causa delle ripetute crisi. Questo momento è particolare perché con la pandemia tutti hanno capito che una supply chain è tanto più solida, quanto lo è la sua parte più debole. Noi abbiamo sempre mantenuto una buona parte di fabbricazione del nostro core business all’interno delle fabbriche di Fagnano Olona, Marghera e in Romania. La grande reputazione di cui godiamo dipende dal fatto che riusciamo a governare tutto il processo rispettando i tempi del contratto e non ritardiamo sulla parte core della fornitura. Fino ad oggi non abbiamo mai pagato per ritardata consegna”.

 

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