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A Villa Panza sono in mostra, fino al 6 gennaio 2025, le opere di 23 artisti che si interrogano sul concetto di tempo. Gregory Mahoney, Hanne Darboven, On Kawara, Jan Dibbets, Franco Vimercati: questi alcuni dei nomi presenti nella collezione dello spazio espositivo varesino, che conta 59 istallazioni e 5 sezioni. A chiudere il percorso è il film muto di Buster Keaton “Seven Chances”, nota opera cinematografica del 1925

S’intitola Nel tempo la mostra di Gabriella Belli con Marta Spanevello, realizzata per Villa Panza, in collaborazione con il Comune di Varese, visitabile fino al 6 gennaio 2025. Dal 1981 al 2011 impegnata nel Museo trentino di Palazzo del Buonconsiglio e nel Museo di Arte Contemporanea di Trento e Rovereto, quindi Direttrice per 11 anni dei Musei Civici di Venezia, Belli è ora curatrice della programmazione scientifica e delle mostre temporanee della villa varesina. A chiamarla alla villa sono stati Marco Magnifico e la famiglia del collezionista Giuseppe Panza, memori dell’amicizia e collaborazione tra i due, datata già ai primi anni di lavoro a Rovereto, quando la Direttrice Belli chiamò Panza ad esporre le opere di artisti da lui collezionati. Nella luce accomunante le opere di Panza, Belli riconosceva quella stessa luce che spingeva il collezionista ad avvicinare gli autori e sceglierli nell’intenso lavoro di ricerca, suo, ma anche portato avanti dagli stessi per decenni. 

Ora 23 artisti, presenti nella collezione della villa, sono in mostra con 59 loro opere, accomunate dall’idea di tempo. Quella di “un tempo, osservato da un doppio registro narrativo, che è insieme tempo eterno e tempo della realtà”. E che fa da guida alle 5 sezioni della mostra: il senso, la durata, i luoghi, il rumore e l’esperienza del tempo. Un tempo intenso e meditativo, alacre e pigro insieme, in cui il lavoro degli artisti s’esprime come fosse preghiera quotidiana, spesso in silenzio. Quasi monaci e sacerdoti di un servizio mistico da svolgere in armonia e lontano dagli eccessi del mondo. Così era la vita di Panza, del suo approccio agli artisti, spesso inseguiti nei deserti d’America come James Turrell, i cui lavori vertono principalmente sulla percezione della luce e dello spazio. Ma anche nei loro studi bui, odorosi di colore e fatica, a volte invitati poi a lavorare tra le stanze della villa varesina. Come Dan Flavin che venne qui ad installare i suoi tubi fluorescenti. E li dedicò al fratello morto in Vietnam: nella “stanza rossa”, un’opera palpitante di luce, che vive nel tempo. 

Il tempo eterno, appunto. Tema molto caro anche ad Anna Bernardini, che ha diretto con amore e raffinata perizia per anni la villa. Tema caro al conte e oggi ripreso da Belli. Tema che è anche specchio e ritmo palpitante di vita e lascia il segno di chi si sa raccontare. Coi colori, coi fiori o coi semi di soffione, con rattoppi di panni o ferite di sgorbie nel legno, con foto sottratte a quell’indomabile tempo e investite in buoni per l’eternità. Tutto questo abbiamo imparato per anni visitando le sale della villa: da varesini, da addetti ai lavori, da curiosi e amanti dell’arte in cerca di nuove ispirazioni e conoscenze, in un mondo sempre in evoluzione. La mostra, vogliamo ricordarlo ai lettori, è ancora parte di quel ciclo espositivo del quale vi abbiamo raccontato in numeri precedenti della rivista, soprattutto seguendo le ultime due mostre presentate alla villa. Non è mancata mai qui la capacità di osare. E innovare. Perché i primi stupori e le diffidenze dei no Abstrart (i negazionisti dell’arte astratta) furono messi da parte, negli anni, dalla coppia Panza-Bernardini.

E quel loro osare è sempre prevalso, nato dall’esperienza del conte e dalla conoscenza di Anna, che in casa ha respirato arte da sempre, grazie alla frequentazione del grande Giovanni Testori, zio materno, critico geniale e colto, originale e innovativo, scopritore di talentuosi artisti. Chi ha seguito passo dopo passo la storia della villa, dopo la sua apertura al pubblico, ha conosciuto anche le difficoltà del dialogo tra il colle biumense e la città. Non solo con la sua gente, ma anche con gli addetti ai lavori, non sempre pronti a incontrarsi, o scontrarsi, con le originalità degli artisti e le novità che il mondo dell’arte contemporanea ha conosciuto col progredire del discorso artistico, a volte supportato da novità espressive. Si pensi alla video arte di Wilson e Viola, che hanno suscitato enormi entusiasmi. I varesini hanno compiuto un percorso di avvicinamento alla città, a un tipo di arte in cui bisogna imparare a entrare. È in quell’abbraccio silente, accarezzato dalla quiete del parco, che abbiamo mosso passi su passi, sui parquet scricchiolanti, interrogandoci sulle stranezze dei protagonisti, ma anche sulla loro ricerca, sulle loro esistenze cresciute nei silenzi dell’America più selvaggia o nelle periferie povere inondate di blues, nei sacrifici della dedizione all’arte più difficile da avvicinare, ma che, se stai lì davanti a osservare, ti pare lo sgranarsi d’una preghiera. 

I 23 artisti presenti, ciascuno nella propria specificità, ci pongono domande a partire dal primo incontro con l’opera di Gregory Mahoney “Time study”, del 2000, che utilizza 20 lettere in acciaio ossidato e fuliggine per comporre la scritta “Time exists in the mind”

Nel tempo i varesini si sono avvicinati alla villa con sempre maggior frequenza, con assiduità che sa di affetto. Così avevano fatto con il recalcitrante Guttuso. Allora l’incontro era avvenuto sul Viale Sacro delle Cappelle ed era scoppiato l’amore anche nel maestro. Qui, entrando in punta di piedi nella signorile e ampia dimora, è scoppiata da subito, in chi ha osato, la pace: un senso di serenità e armonia che raramente si coglie. Per questo stava così bene quella sala allestita con le fotografie di Wim Wenders sul luogo delle Twins abbattute dal male. Perché l’occhio che vede e osserva e tramanda agli altri è come l’occhio di Dio, che ti chiede di non girarti dall’altra parte. Di conservare in te i ricordi, di meditare su quanto è accaduto, di non dimenticare. E trovare la forza di andare avanti. Con lo sguardo proteso a più rasserenanti traguardi. La caratteristica della villa è sempre stata, a sua volta, quella di un luogo di continua scoperta, di totale apertura agli altri, di rinnovamento continuo.

Accade anche in questa mostra. I 23 artisti presenti, ciascuno nella propria specificità, ci pongono domande a partire dal primo incontro con l’opera di Gregory Mahoney “Time study”, del 2000, che utilizza 20 lettere in acciaio ossidato e fuliggine per comporre la scritta “Time exists in the mind” (“Il tempo esiste nella mente”), interrogando i visitatori sul valore del tempo, sulla nostra limitatezza nella storia. “Emerging time” (2002) è invece una piccola scultura di Franco Monti, ma prova a ricordarci la pesante supremazia del tempo che avanza su di noi, ci precede e procede. Allan Graham, Susan Kaiser Vogel, Grenville Davey e William Metcalf raccontano nelle loro opere prive di coordinate temporali il senso di un ubi consistam (punto d’appoggio) forse irraggiungibile, metafisico e assoluto. Ma sono anche presenti artisti legati al concetto di durata del tempo come Hanne Darboven, On Kawara, Jan Dibbets, Franco Vimercati, Walter De Maria, Cioni Carpi, Maurizio Mochetti, Robert Tiemann. E curiosità maggiore della sezione è l’opera “One Million years” di On Kawara, che prevede la lettura di un milione di anni scritti sotto forma di date in 10 grandi volumi, con performance aperta al pubblico (ma è gradita la prenotazione).  

Vincenzo Agnetti, Pier Paolo Calzolari, Stephen Dean, Lawrence Carroll e Ron Griffin sono presenti invece quali sostenitori del tempo come elemento legato al dato biografico, a coordinate geografiche e temporali. Sono loro a porsi come “difensori dei luoghi della memoria e del ricordo”. Di quel ritaglio della eternità che è il tempo, come lo definiva Sant’Agostino. Michael Brewster e Michele Fogliati con le installazioni sonore e le macchine in movimento, ci portano a considerare il rumore e il fluire del tempo. Joseph Kosuth con l’installazione “Investigation. Proposition 3”, nella sala dei rustici, scuderia piccola, è pronto a sua volta ad accogliere i visitatori e proporre loro di sedersi, per sfogliare i quaderni esposti, mentre sulla parete scorrono le lancette di 24 orologi con orari diversi. A chiudere il percorso è il film muto di Buster Keaton “Seven Chances”, notissima opera cinematografica del 1925.   

Nel tempo

Fino al 6 gennaio 2025
Villa Panza, Piazza Litta 1, Varese
Da martedì a domenica, dalle ore 10.00 alle 18.00



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