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Era il suo sogno da bambino: “Un giorno prenderò parte ad una missione così grandiosa”. Oggi Gabriele Carugati, a 43 anni, può dire di avercela fatta: “Eccomi qui, alla Base Concordia”, in Antartide. In video-collegamento da uno dei luoghi più ostili della Terra il tecnico di laboratorio dell’Università dell’Insubria in missione al Polo Sud per realizzare campionamenti di neve superficiale e profonda, racconta la sua esperienza di ricercatore 

In Italia sono le 9.00 del mattino, in Antartide, alla Base Concordia, le 16.00 di pomeriggio e il sole sta tramontando. Il monitor alle spalle di Gabriele Carugati segna -66 gradi. “Ma è una giornata molto ventosa. I gradi percepiti sono in realtà quasi – 90”, precisa in video-collegamento dal Polo Sud, uno dei luoghi più ostili della Terra, il tecnico di laboratorio dell’Università degli Studi dell’Insubria di Varese e Como e station leader del Gruppo dei 13 “invernanti” che alloggiano a Concordia. Una missione che rientra nel Programma Nazionale di Ricerche in Antartide (Pnra) ed è finanziata dal Ministero dell’Università e della Ricerca (Mur) e gestito dal Consiglio nazionale delle ricerche (Cnr) per il coordinamento scientifico, dall’Enea per la pianificazione e l’organizzazione logistica delle attività presso le basi antartiche e dall’Istituto Nazionale di Oceanografia e di Geofisica Sperimentale-OGS per la gestione tecnica e scientifica della sua nave da ricerca Laura Bassi. Prima di entrare nel cuore dell’intervista, una sorpresa inaspettata: “Vi faccio vedere il tramonto alle mie spalle”. Carugati gira la telecamera del suo computer verso la finestra e inquadra un meraviglioso cielo infuocato che domina l’interminabile distesa di neve bianca. “Riuscite a sentire l’aria frizzante che entra?” 

Gabriele, perché ti trovi in Antartide? Qual è stato il percorso che ti ha portato al Polo Sud?
Fin da bambino sono sempre stato un amante di questo luogo sperduto e dei ghiacciai in generale. A 11 anni ho iniziato a guardare i documentari in tv e mi sono detto: “Un giorno anche io prenderò parte ad una missione così grandiosa”. Ed oggi, a 43 anni, eccomi qui, alla Base Concordia. Come percorso professionale, ho conseguito la laurea specialista in Scienze ambientali con indirizzo chimico. Ho proseguito i miei studi fino ad ottenere il titolo di dottore di ricerca in Scienze chimiche. A luglio dello scorso anno ho voluto mettermi alla prova e ho inoltrato la mia candidatura al Pnra per la posizione di Scientifico per le attività di Chimica e Glaciologia. I primi di novembre sono partito da Milano Malpensa e adesso sono ormai diversi mesi che mi trovo in questo posto meraviglioso dove resterò per circa un anno. 

Di cosa ti occupi nel Continente antartico? Quali attività di ricerca portate avanti? 
La mia attività scientifica consiste nel realizzare dei campionamenti di neve superficiale e neve profonda e di polveri sospese nell’aria. L’obiettivo del nostro lavoro è quello di capire come evolve l’ambiente in Antartide. Il vantaggio è che in questo luogo non ci sono emissioni antropiche. Diventa quindi più semplice definire quello che in gergo si chiama “bianco ambientale”, ovvero tutto ciò che circolerebbe nell’aria se non ci fosse la presenza dell’uomo. Oltre a queste attività, alcuni colleghi stanno osservando i pianeti che si trovano al di fuori del sistema solare. Parallelamente, stiamo portando avanti degli studi per analizzare i nostri comportamenti in una situazione di completo isolamento. Tra i compiti che mi sono stati affidati per il periodo invernale, c’è quello di essere a disposizione del medico Esa per raccogliere dati per l’Agenzia Spaziale Europea. Ricopro, inoltre, il ruolo di station leader: ho la responsabilità di tenere aperta la Base, di coordinare le attività e gestire i rapporti con il Coc (il Concordia Operational Commitete).

Come ci si prepara per affrontare una spedizione del genere? Contano solo le capacità tecniche oppure a fare la differenza è l’aspetto psicologico?
Prima di partire per questa esperienza ho dovuto fare un vero e proprio periodo di addestramento. Le capacità tecniche, le competenze e l’esperienza contano moltissimo, certo. Ma a fare la differenza è l’approccio psicologico. La preparazione è molto rigida: oltre ad essere sottoposto a visite fisiche, ho dovuto effettuare un test composto da 540 domande e sostenere un colloquio di circa 45 minuti con 3 psicologi. La parte più difficile è quella di dover imparare a convivere per un lungo periodo, isolati dal mondo, con altri compagni che, fino al momento dell’addestramento, sono perfetti sconosciuti. In poche parole, mi sento di dire che in Antartide non c’è posto per la mediocrità.

Quali sono le condizioni fisiche in cui vivi? Come ci si sente ad uscire dalla Base con temperature che toccano addirittura i -80 gradi? 
La Base Concordia ha tutto il necessario di cui abbiamo bisogno: cucina, camere, stanze relax, servizi igienici. Posso dire che non ci manca proprio nulla. Tutto cambia nel momento in cui usciamo per andare a svolgere il nostro lavoro anche se, sicuramente, con il tempo ci si abitua al freddo. Fuori dalla Base ci sono dei container adibiti a laboratori e rifugi (shelter) dove scaldarsi o bere un thè caldo. Quello che conta più di tutto, però, è l’abbigliamento tecnico. Guanti, scarponi e tute devono resistere a temperature estreme e proteggerci. A proposito di questo aspetto, infatti, c’è un grande tema: quello della sfida tecnologica. È fondamentale progettare indumenti e strumenti che sappiano resistere a queste condizioni meteo. Stiamo testando alcuni prototipi di diversi materiali e oggetti, ma è capitato che a -40 gradi si squarciassero degli scarponi oppure che la barella di primo soccorso si fratturasse per il freddo. Non è una sconfitta, ma un incentivo a migliorare. 

Ci racconti una tua giornata tipo in Antartide? La routine sarà molto diversa da quella di casa.
Qui il tempo scorre più lentamente. Mediamente per svolgere un qualsiasi lavoro ci vuole il triplo. Le nostre giornate dipendono dal meteo. D’estate stiamo fuori dalla Base per diverse ore, mentre di inverno non si sta mai fuori più di mezzora. Durante i mesi “caldi”, quando i gruppi sono più numerosi (70 persone circa), si fissano i progetti e si sistemano eventuali problematiche emerse in preparazione dell’inverno. Durante questo periodo, si esce sempre in coppia per motivi di sicurezza. Di norma, la giornata inizia alle ore 8.00 con la colazione tutti insieme, ci si prepara e si organizzano le uscite intorno alle ore 10.00. A mezzogiorno si pranza e nel pomeriggio si riprende con le attività di laboratorio e burocratiche. Oltre a dedicare spazio alle interviste, partecipiamo a incontri con molti giovani delle scuole, dalla primaria alle superiori, per raccontare la nostra esperienza.

Come ci si sente a vivere isolati dal resto del mondo? I pinguini vi tengono compagnia? 
Rispondo subito alla domanda sui pinguini, sempre molto gettonata. Mi dispiace deludervi: non ne ho ancora incontrato uno perché si trovano tutti sulla costa. Concordia, invece, si trova all’interno, a 1.200 chilometri di distanza. Spero, però, prima di imbarcarmi per il viaggio di ritorno verso casa, di vederne qualcuno. Per quanto riguarda il fatto di vivere isolati, sicuramente non è una condizione sempre facile e dipende molto dal carattere della singola persona. A me piace stare da solo, ma mi sono organizzato per riempire il tempo libero guardando film e leggendo. Prima di partire ho messo in conto che ci sarebbero stati momenti “up” e “down”. Se si ha questa consapevolezza, è più facile affrontare le difficoltà. In questo momento siamo in 13: 5 italiani, 7 francesi e 1 svizzera. Tra di noi ci sono professionisti altamente qualificati, fisici, elettricisti, meccanici, chimici, astrofisici, cuochi, idraulici, informatici, elettronici e medici.

Qualche aneddoto di questi mesi? O disavventure?
Molti credono che mangiamo cibi liofilizzati. Non è così, il nostro cuoco svolge un lavoro straordinario per cucinare ogni giorno qualcosa di diverso. Il suo è un ruolo anche di grande programmazione: se vogliamo mangiare la carne, per esempio, bisogna iniziare a scongelarla una settimana prima. Se non si rispettano queste tempistiche c’è il rischio che diventi polvere. Questo è sicuramente un aneddoto curioso. Disavventure ce ne sono state. Una di queste è recente: un giorno si è spento il generatore. Per intenderci, il sistema che ci tiene al caldo. In soli 3 minuti il collega addetto l’ha fatto ripartire. Ma in quei secondi, interminabili, pensi a tutto e inizi a fare un paio di calcoli: ogni ora si perde un grado. In 20 ore, quindi, si è al freddo. Da lì, con le stesse tempistiche, si inizia a scendere sotto lo zero. Sono stati attimi di tensione, ma tutto si è risolto per il meglio.  

      



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