Industria-tedesca-investe-a-Busto-Arsizio

Tradizione manifatturiera, know-how diffuso, posizione strategica a due passi da Malpensa e dalla capitale della moda, Milano: ecco perché la multinazionale bavarese Rudolf, specializzata nel finissaggio dei tessuti, ha deciso di aprire un laboratorio
nel pieno centro bustocco

Perché, nonostante la burocrazia canaglia, una certezza del diritto che farebbe desistere anche la dea della giustizia, infrastrutture inadeguate e un sistema di tassazione non proprio amico delle imprese, una multinazionale chimica tedesca, specializzata nel finissaggio dei tessuti, che da quasi un secolo prospera in Baviera, nel 2019 è venuta a investire in Italia? La domanda è tutt’altro che retorica, anzi. Se poi si considera che l’investimento riguarda un hub per l’innovazione della chimica per il tessile, questa scelta diventa ancor più sorprendente. 

Quando Alberto De Conti, manager della Rudolf, nel suo ufficio di Monaco rimuginava su dove aprire il nuovo centro di ricerca, Hub 1922, due erano le risposte che gli venivano continuamente in mente: Olanda e Italia, proprio in quest’ordine. “La prima era una scelta naturale, perché Amsterdam è la capitale europea del denim - racconta De Conti - mentre per l’Italia la destinazione predestinata era Milano. Fin da subito però abbiamo spostato la nostra attenzione ancora più a nord, a Busto Arsizio, perché lì c’erano una tradizione, una storia legata al tessile e un ecosistema favorevole”.

Per un’azienda che fattura 300 milioni di euro ed esporta il 90 per cento di ciò che produce, avere un aeroporto internazionale come Malpensa praticamente fuori dal cancello dello stabilimento è un vantaggio competitivo non da poco. A questo poi si deve aggiungere la vicinanza con Milano, conosciuta nel mondo per il suo sistema-moda, e ancora più a nord con il Canton Ticino, la “Fashion Valley” della Svizzera, popolata dai grandi marchi. Un arcipelago di 320 aziende, tra cui Ermenegildo Zegna, Hugo Boss, Gucci e Guess, solo per citarne alcune. Presenze molto attive sul mercato con i loro centri di sviluppo, produttivi, commerciali, logistici e direzionali. “Accanto alla storia e alla tradizione - continua il manager di Rudolf - qui c’è anche il futuro, rappresentato dai giovani talenti che vanno a scuola e studiano cose che a noi interessano molto, supportati da un efficace sistema formativo”.

Alberto De Conti, manager della Rudolf: “Accanto alla storia e alla tradizione qui c’è anche il futuro, rappresentato dai giovani talenti che vanno a scuola e studiano cose che a noi interessano molto, supportati da un efficace sistema formativo”

Il confronto con altri Paesi, appunto, come la Germania, eterno avversario dell’Italia per il podio più alto della manifattura in Europa, secondo Alberto De Conti, ha proprio nel percorso di formazione degli studenti italiani il suo aspetto più interessante. “Il tedesco, così come il giapponese e l’americano, è fortemente specializzato. Socialmente funziona così: se sei un chimico organico sai tutto della chimica organica, ma sai poco o nulla di tutto il resto. Il tedesco è un ottimo esecutore sul terreno che gli è congeniale, ma se vuoi innovare devi avere spirito critico, qualità tipica degli italiani, frutto della loro formazione”.

La presenza di molte scuole, soprattutto istituti tecnici superiori e università, è stato dunque un argomento fondamentale per orientare geograficamente l’investimento della Rudolf e la storia personale di De Conti sembra confermare la sua teoria. Un diploma all’istituto alberghiero (“grandissimo errore”), due anni di studio matto e disperatissimo, per recuperare terreno all’università, e una laurea in Scienze e tecnologie alimentari, non sono proprio passaggi coerenti per fare carriera in un’azienda che fa chimica per tessuti tecnici.
Il passato di Busto Arsizio, un tempo soprannominata la Manchester d’Italia, è ancora in grado di emanare un grande fascino per chi lavora nel tessile-abbigliamento, nonostante una crisi del settore divenuta ormai strutturale. La Rudolf i suoi prototipi, utilizzati dai grandi marchi per produrre capi di abbigliamento, li fa confezionare in provincia di Treviso.

Le aziende che hanno resistito alla crisi strutturale del tessile “lo hanno fatto molto bene. In Italia trovi ancora una qualità che è quasi impossibile ottenere da altre parti”. Quello che manca è, forse, un’adeguata narrazione di queste capacità 

“In Italia c’è stato un impoverimento generale - spiega il manager -. Nel business del tessile alcuni luoghi sono stati più colpiti di altri e forse, all’inizio degli anni Novanta, quando lavoravo per la Levi’s in Belgio e pianificavo le risorse, anch’io ho contribuito a questo impoverimento. Le aziende che hanno resistito lo hanno fatto molto bene, purtroppo hanno chiuso anche realtà che avevano grandi competenze e un saper fare unici. Nonostante tutto ciò, in Italia trovi ancora una qualità che è quasi impossibile ottenere da altre parti”.
Manca forse un’adeguata narrazione del nostro sistema che, una volta varcate le Alpi, appare claudicante più di quanto non lo sia nella realtà. Sul territorio si continua infatti a innovare molto, soprattutto nei tessuti tecnici. Certo, è un’innovazione incrementale, tipica delle piccole imprese italiane, ma è proprio quello che cercano i bavaresi della Rudolf che, con la loro impronta ingegneristico scientifica, vogliono scardinare alcune logiche di conservazione, tipiche di un settore maturo, senza però cancellare il passato. E l’aver scelto un edificio dell’800 nel pieno centro di Busto Arsizio, che un tempo ospitava l’azienda tessile Stefano Grassi, è un gesto coerente con questa visione.  “Nell’Hub 1922 - conclude De Conti - prendiamo la chimica funzionale e la iniettiamo nel mondo della moda per creare un’innovazione imprevedibile. Siamo stati fortunati perché l’ingegneria tedesca e lo stile creativo italiano insieme funzionano bene”.  



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