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Alla Pinacoteca Cantonale Giovanni Zust di Rancate è in programma una rassegna che mette insieme naturalisti, geografi, artisti, fotografi di ieri e di oggi. Opere che rappresentano un viaggio originale alla scoperta del Canton Ticino. Protagonista indiscussa, la figura femminile 

Come da consuetudine la Pinacoteca Zust di Rancate propone rassegne che contribuiscono a conoscere e approfondire nuovi aspetti di storie e protagonisti del territorio elvetico ticinese. Va in questa direzione anche la mostra “L’incanto del paesaggio. Disegno, arte, tecnologia. Naturalisti geografi, storici dell’arte nel Ticino del passato prossimo” curata da Paolo Crivelli, Giulio Foletti e Filippo Rampazzi, con il coordinamento di Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla. Dedicata al paesaggio elvetico e ai suoi indagatori tra metà Ottocento e inizi del Novecento, prende avvio da una stele antropomorfa di 4.500 anni fa, in parte sbozzata, che rappresenta la più antica testimonianza di statuaria nel Canton Ticino, per arrivare alle incredibili immagini effettuate da Stefano Romani coi droni sulle testimonianze monumentali. Ci racconta uomini innamorati del territorio ticinese, naturalisti, geografi, geologi, artisti o, a volte, semplicemente appassionati viaggiatori di un ambiente caratterizzato da varietà geografica, curiosità storiche, bellezze paesaggistiche e artistiche. 

Sui tre piani del museo ecco allora la possibilità di avvicinarsi al territorio attraverso un racconto corale che attinge alle più disparate fonti: dalle carte topografiche spettacolari Dufour e Siegfrid, allestite con criteri geodetici e trigonometrici dei primi indagatori, alle strumentazioni esposte nelle vetrine utili a misurare le velocità dei venti, le altitudini, e quant’altro occorreva a chi ne vuol sapere del territorio, alle narrazioni, di panorami e paesi, incise nelle piastrelle degli altari delle chiese. È il caso della Chiesa di San Pietro in Dongio, dove Francesco Solari lasciava un delizioso paliotto d’altare con paesaggio, nel 1732. La tecnica è in scagliola dipinta e intarsiata su lastra. Si arriva poi anche alla fotografia, frutto di una meravigliosa scoperta che cambia e stravolge anche l’arte del Novecento. Dalle fotografie storiche della frana della Vallemaggia, testimonianza utile per chi voleva studiare certe tipicità morfologiche, a quelle di oggi realizzate con drone che permettono di ritrovare realtà del territorio inavvicinabili altrimenti. 

Notevoli in mostra anche gli antichi taccuini da viaggio, già tipici dei viaggiatori del Grand Tour, che usavano riprodurre a matita i luoghi visitati, ponti, montagne, laghi, in disegni che sono davvero piccoli capolavori. Alcuni naturalisti come l’abate Bartolomeo Verda (1744-1820) e il medico Giuseppe Zola (1789-1831) furono tra i precursori della botanica. Luigi Lavizzari (1814-1875), fu anche importante politico, si distinse tra i pionieri delle scienze naturali ed è considerato il fondatore del Museo Cantonale, per aver dedicato studi e vita a un’assidua ricerca sul campo. Insegnante al liceo di Lugano (già dei padri Somaschi) di chimica e storia naturale, si premurò di istituire in sede un gabinetto di storia naturale. Le vetrine coi laboratori, ricostruiti fedelmente in mostra, presentano strumentazioni e oggetti di diversa natura. E rivelano anche l’alto interesse naturalistico verso insetti, uccelli impagliati, lepidotteri, conchiglie di molluschi che hanno abitato e ancora abitano nei luoghi umidi del territorio. 

Nel bel catalogo, curato dalla Pinacoteca di Mendrisio, Claudio Ferrata così interviene a proposito di paesaggio come immagine e rappresentazione del territorio: “È noto che la parola paesaggio assume un vasto spettro di significati, ed è forse ciò che ne fa la sua ricchezza. Tra le diverse accezioni che può acquisire, il paesaggio viene considerato come una manifestazione degli aspetti formali del territorio (come le forme dello spazio organizzato), un’esperienza dello spazio da parte degli individui che si manifesta attraverso i sensi (la vista, l’udito, l’olfatto, il tatto); come una rappresentazione culturale e un sistema di simboli (dipinti, riproduzioni, narrazioni) da interpretare. È su quest’ultima idea che desideriamo mettere l’accento, ritenendo che la rappresentazione del territorio possa avere una incidenza non indifferente nella costruzione del mondo materiale. Così, per le sue qualità nel campo della rappresentazione, il paesaggio diventa una componente assolutamente imprescindibile per riprogettare il mondo nel quale viviamo. Ma non c‘è comprensione del reale senza l’aiuto delle immagini. Queste danno senso alle cose del territorio e diventano gli strumenti per realizzare il progetto del mondo che desideriamo”. 

E a proposito, dunque, di immagini e paesaggio, a coronamento dell’esposizione, ecco le felici mani degli artisti che al territorio elvetico guardavano con occhio innamorato. E facevano dono, al mondo che sapeva osservare, delle loro impressioni e dei desideri. Tra i maggiori artisti in mostra ci sono Luigi Rossi, Filippo Franzoni, Edoardo Berta e Ugo Zaccheo. Alcune opere sono capolavori della pittura paesaggistica, rivelano la radiosa bellezza della montagna innevata di primo mattino, si veda “Ghiacciaio” di Emilio Longoni, o lo splendore del paesaggio di Filippo Franzoni, “Riva di Muralto,” affacciata sul Verbano, inondata dalla luce in una gioiosa epifania cromatica. O la buzzatiana, misteriosa e insieme imponente, visione della “Valle di Blenio” di Isidoro Solari, un olio del 1924. La “Vista da Lanzo d’Intelvi”, che forse già sa di ‘Realismo magico’, era il 1913, è opera di un altro bravo artista ticinese, Ettore Burzi. 

Da notare come anche in questa rassegna - dedicata in partenza a illustri studiosi - protagoniste dei rasserenanti paesaggi, ma anche di piccole sculture in creta, o lavori in bronzo, siano spesso, se non in prevalenza, figure di donne colte nella quotidianità delle attività contadine tipiche del Ticino tra Otto e Novecento: si veda la bellissima opera “Donna con gerla” di Augusto Sartori (1922), una tecnica mista a olio e tempera. Di Luigi Rossi sono presenti due lavori esposti alla Biennale di Venezia, “La Pianura” e “La raccolta delle castagne” del 1922. Di Edoardo Berta è il famoso bucolico “Messidoro” e “Giugno in montagna” (1915). “L’Isolino” (1900) di Filippo Franzoni è, infine, un’oasi felice nel verde e sull’acqua del Verbano, dove giocano le due nipotine, Marcelle e Lulu, gli abiti e i larghi cappelli bianchi al sole dell’estate. 

A dimostrazione che la donna è sempre ispiratrice e figura centrale dell’arte. Come madre, come lavoratrice, come portatrice di bellezza della quale non si può fare a meno. Nella splendida quiete ticinese, tra primavere e autunni dorati, come quelli immortalati in “L’ultima estate di Klingsor” da Hermann Hesse, abitante illustre della Castagnola, la Collina d’oro sopra Lugano, che ben descrisse nelle sue opere, risplende la figura femminile. Sulla quale già molto anche il museo di Rancate ha indagato con rassegne di rara e raffinata bellezza dedicate in passato alle donne della quotidianità di Luigi Rossi, o alle signore altolocate come Carolina Sommaruga Maraini (1869-1959), ritratta dai pittori della borghesia del Nord Italia. Benefattrice generosa, di natali svizzeri, mai dimenticò la sua Lugano. Alla quale donerà la sua elegante dimora, già in precedenza destinata a sede di attività professionali per le giovani lavoratrici.  

Pinacoteca Cantonale Giovanni Zust di Rancate
Dal 13 novembre 2021 al 25 aprile 2022
Da martedì a venerdì dalle 9 alle 12 e dalle 14 alle 18
Sabato, domenica e festivi dalle 10 alle 12 e dalle 14 alle 18
decs-pinacoteca.zuest@ti.ch

Alcune delle opere in mostra:



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