Non solo il prodotto. A definire oggi l’impresa moderna sono sempre più altre due dimensioni: la tecnologia e il mercato di sbocco. Un contesto che impone a territori densamente industriali, come quello di Varese, di dotarsi di strategie per organizzare trasferimenti tecnologici per contaminazione tra supply chain diverse

In tempi di grandi cambiamenti bisogna saper cambiare innanzitutto se stessi. Questo vale per le persone, ma anche per le imprese che in questi anni hanno visto trasformarsi modelli competitivi, tecnologie e modi di rapportarsi. Organizzarsi in filiera, fare network, cercare nuovi spazi per crescere è diventato un imperativo per poter stare sul mercato. È cambiata l’impresa al suo interno, stanno cambiando le organizzazioni, perché sono diverse le persone che vi lavorano, per cultura ed atteggiamento. Si tratta di stimoli che spingono gli imprenditori a riflettere sul modo con cui attivare nuovi contatti (e nuovi contratti).

Si sta passando da un modello semplice che potevamo chiamare 1:1, in cui l’impresa si definiva esattamente per quello che produceva e in cui si poteva ragionare in termini di settori che avevano medesimi comportamenti, ad un modello sempre più complesso di fare impresa. Un modello 1:3 (prodotto, tecnologia, mercato di sbocco) che vede l’impresa reinterpretata in una realtà multidimensionale. Potremmo dire 3D. L’impresa continua sì a definirsi per quello che fabbrica, ma sempre più contano e possono essere valorizzate in termini competitivi almeno altre due dimensioni: la tecnologia di cui è portatrice e la conoscenza di usi e consuetudini del mercato di sbocco. Questa semplice constatazione non appare ancora del tutto assimilata e lascia ampi spazi di azione per chi vuole provare a costruire la propria competitività in reti di collaborazione. Significa passare da un modello di relazione lineare e verticale “cliente-fornitore” ad un modello (almeno) tridimensionale che connette l’impresa ad un network di relazioni e di scambi. 

Si possono scambiare tecnologie tra settori, si possono scambiare ed integrare conoscenze specifiche dei comportamenti del mercato. Si può imparare da chi lavora in un comparto vicino (e non concorrente) come affrontare problemi. Non è utopia. È una realtà che può essere messa a fattor comune se si costruiscono gli strumenti adatti. È un’opportunità che merita investimenti, anche di metodo. È ormai da qualche anno che l’Ufficio Studi dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese sta sperimentando un modello di “censimento tecnologico” per individuare e valorizzare le filiere non solo produttive, ma anche tecnologiche di imprese. Si tratta di una rilettura del potenziale di un territorio che vuole mettere in luce le opportunità di scambio e di collaborazione tra imprese che non necessariamente appartengono allo stesso settore, ma possono condividere gli stessi problemi di natura tecnologica. Si tratta di un lavoro propedeutico che sinora si è concentrato sull’aeronautico, dove il primo censimento tecnologico della filiera è stato preparatorio alla nascita del Lombardia Aerospace Cluster, a cui si sono aggiunte poi in questa opera di monitoraggio le filiere varesine del tessile e abbigliamento, dell’automotive e dell’occhialeria. 

La sfida è di passare da un modello di relazione lineare e verticale “cliente-fornitore” ad un modello (almeno) tridimensionale che connette l’impresa ad un network di relazioni e di scambi. Si possono scambiare tecnologie tra settori e integrare conoscenze specifiche 

Già da questi primi censimenti è apparso chiaro che attraverso essi si possono creare mappe collaborative per favorire il trasferimento tecnologico. Si può creare una diversa consapevolezza nell’impresa che, in un territorio come quello di Varese così densamente e variamente industrializzato, ha un notevole potenziale di aprirsi a nuovi mercati tecnologici. Costruire queste mappe, aiutare le imprese a valorizzare il capitale di tecnologia anche al di fuori del proprio mercato nativo, rendere visibili le competenze accumulate attraverso un uso intelligente delle piattaforme digitali: grandi sfide, su cui, però sempre di più si gioca il futuro competitivo del tessuto manifatturiero locale. Per le piccole e medie imprese, ad esempio, che spesso non godono di visibilità diretta, annegate come sono nelle catene di subfornitura, c’è in gioco l’ampliamento degli orizzonti e la moltiplicazione delle possibilità di crescere. Per le grandi imprese innovatrici che generano brevetti, invece, c’è la sfida di trovare per essi allocazione e impieghi in altri settori. Ma il discorso coinvolge anche singoli settori, come quello dell’industria spaziale le cui imprese sviluppano tecnologie estreme che possono trovare intelligenti applicazioni nella vita quotidiana delle persone. 

Cercare di costruire un ponte tra questi bisogni è stato l’obiettivo di un primo workshop dedicato al trasferimento tecnologico, tenutosi lo scorso 7 novembre e co-organizzato dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese insieme a Rina Spa, Esa Space Solutions, Lombardia Aerospace Cluster e alle altre associazioni imprenditoriali del Sistema Confindustria di Bergamo e Brescia. L’occasione, in questo caso, è stata offerta dalla possibilità di aprire il portafoglio brevetti dell’Esa (European Space Agency) a cui si è aggiunta una selezione di brevetti della banca dati di Leonardo, messi a disposizione di applicazioni di differenti settori: dal meccanico, all’energia, al tessile. La parola d’ordine è stata diversificare le possibilità d’uso. La voglia di collaborare è stata garantita da forme di protezione della privacy. Un esperimento che ha permesso a un centinaio di partecipanti all’evento di aiutarsi l’uno con l’altro nella soluzione di problemi concreti. Insomma, un bell’esempio di “meticciato delle idee”, che può fare da apripista per altre e nuove esperienze da realizzare e mettere a disposizione della crescita della nuova impresa moderna, sempre più 3D. 

         



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