L’Italia-che sfonda-negli-USA

"Passione per un mondo migliore”. Questa scritta campeggia in una gigantografia sotto l’immagine di una scheda elettronica Arduino all’entrata dell’MIT, il Massachussetts Institute of Technologies, tra le più prestigiose università al mondo. Un presidio del futuro nell’aristocratica e tradizionale Boston, dove si concentrano le menti migliori del pianeta. Cinque anni fa, al World Business Forum di Milano, Chris Anderson, guru dei makers digitali, pose al pubblico questa domanda: “Chi conosce Massimo Banzi e l’esperienza di Arduino?” Delle oltre duemila persone presenti, tra imprenditori, opinion leader e manager, in pochi alzarono la mano. “Com’è possibile che nessuno li conosca?” disse Anderson con un tono pieno di stupore, giustificato dal fatto che quella scheda era stata sviluppata all’interno dell’Interaction Design Institute di Ivrea, fondato da Olivetti e Telecom. Un esempio perfetto di genius loci italiano, a partire dal nome “Arduino”, omaggio al bar dove si trovavano gli ideatori del progetto. 

 

Gli studenti italiani al MIT

L’MIT ha scelto un prodotto tecnologico progettato dall’italianissimo Banzi per definire il suo posto nell’immaginario collettivo. Secondo Serenella Sferzi, responsabile delle relazioni dell’MIT con l’Italia, che ha accolto i 34 rappresentanti dell’industria lombarda in missione tecnologica a Boston (#TechMission2018), sotto l’egida di Confindustria Lombardia, dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e del Digital Innovation Hub Lombardia, i legami tra la celebre università e il Belpaese sono tanti. A cominciare dalla cupola dell’istituto, che riproduce esattamente quella del Pantheon di Roma, fino ai laboratori condivisi con prestigiose realtà imprenditoriali e di ricerca, tra cui Lamborghini, Loccioni e la Sissa di Trieste. “Qui gli studenti italiani sono molto apprezzati - racconta Sferzi - perché sanno lavorare in team, hanno creatività e una buona preparazione di base”. A qualcuno potrà sembrare un paradosso, ma uno dei cantieri più visitati dagli studenti dell’MIT di Boston è quello di Pellestrina, isola della laguna veneziana, dove si trova il Mose, il dispositivo per evitare il fenomeno dell’acqua alta a Venezia. “Molti professori dell’istituto - commenta la professoressa - ritengono che sia una tra le più geniali invenzioni contemporanee”.

 

Il 14% della popolazione di Boston è di origine italiana, una presenza importante. La città bagnata dal fiume Charles, così chiamato in onore di re Carlo I d’Inghilterra, è tutto fuorché una metropoli americana. Una città di stampo europeo. Elegante, colta, poco caotica e piena di opportunità per chiunque voglia fare business con l’innovazione. La patria ideale per chi proviene dal Vecchio Continente in cerca di un nuovo futuro. Roberto Dolci, dopo una laurea in ingegneria al Politecnico di Torino e un’esperienza in Inghilterra, è andato a cercare fortuna proprio a Boston. Oggi è a capo di Aizoon Usa, azienda che fornisce servizi di innovazione tecnologica, soprattutto industrial Iot, ad oltre cento multinazionali, tra le quali c’è anche Amazon. “Qui tutti studiano le stesse ricette, nessuno esce dagli schemi ed è questo il motivo per cui gli italiani sono molto apprezzati - dice Dolci -. Avere una forma mentis critica e creativa è un valore. La differenza fondamentale con l’Italia consiste nel fatto che negli Usa c’è una cultura d’impresa diffusa e condivisa, fin da quando si è bambini e un sistema che nel suo complesso la sostiene”.

 

Mens et manus

A Boston c’è spazio per “mens et manus”, per intelligenza e manualità, come recita il motto dell’MIT. I tanti cantieri aperti nella città sono il termometro che misura la febbre di cambiamento della East Coast. Dalle finestre della sede della Mass Robotics se ne contano almeno tre. Uno accanto all’altro dove si lavora freneticamente. Tra qualche anno potrebbero essere dei robot a dirigere e realizzare i lavori, e non solo nei cantieri. D’altronde la robotica si applica a tutti i macrosettori: dall’agricoltura alla difesa, dalla cura della persona alla logistica, dalla sicurezza domestica all’automotive. I dirigenti della Mass Robotics stimano che nei prossimi dieci anni il mercato crescerà fino a 67 miliardi di dollari con un impatto complessivo sull’economia di un trilione di dollari. Anche la veronese Ilaria Raniero, direttore design alla Locus Robotics di Boston, startup che sviluppa sistemi di logistica avanzata per l’eCommerce, ha pochi dubbi sul suo futuro e su quello dei robot. “In questo settore c’è un margine di sviluppo enorme - spiega la giovane manager italiana - entro il 2020 i ricavi dell’eCommerce raggiungeranno quota 520 miliardi di dollari. I nostri sistemi raddoppiano la produttività, riducono i tempi di ciclo dell’ordine del 50% e i tempi di addestramento del personale dell’80%. È una vera rivoluzione che porteremo anche in Europa”.

 

 

Il sogno americano

C’è chi, come Emanuele Bianchini, sul suo futuro ha scommesso oltre trent’anni fa. Appena diciottenne e fresco di diploma, questo coriaceo friulano è sbarcato a Boston “per cercare l’America” e realizzare il suo sogno: diventare ingegnere aeronautico. Con una laurea conseguita negli Usa ha lavorato per diverse aziende del settore tra cui anche l’italiana Aermacchi. Oggi è senior manager alla Next, multinazionale del tessile che dà lavoro a 200 mila persone nel mondo. “Qui nessuno ti regala niente - sottolinea Bianchini - devi meritarlo”.
Negli Stati Uniti il primato sull’innovazione tecnologica se lo giocano gli estremi, Boston, da una parte, e San Francisco e la Silicon Valley, dall’altra. Il silicio, dalla celebre valle da cui è partita la rivoluzione digitale, è sparito da così tanto tempo che, secondo Domenico Di Mola, bisognerebbe chiamarla application valley. “Gli imprenditori devono reinventare il loro modello di business - afferma il vice presidente di Juniper Network, società specializzata in communication technology e  tecnologie di rete -. Siamo in un momento favorevole per i cervelli e non per le mani”. È indubbio che l’Italia sia tra i principali esportatori al mondo di materia grigia. Accanto a Di Mola, siede Carlo Tedesco, altro manager italiano che ha passato gran parte della sua vita a creare e far crescere startup. Una leadership che ha portato il fatturato di Juniper a quota 5 miliardi di dollari, l’occupazione a 9.300 dipendenti, distribuiti in 43 paesi nel mondo. “Qui c’è molta trasparenza nelle informazioni - aggiunge Tedesco - il ceo periodicamente incontra i manager e in queste riunioni si può chiedere tutto ciò che si vuole. C’è una buona cultura, basata sulla gentilezza”. Il sorriso e l’intelligenza di Massimiliano Fratoni, professore di ingegneria nucleare originario di Frosinone, sono il biglietto da visita che la Berkeley University consegna alla delegazione dell’industria lombarda. “Devo ringraziare il mio Paese - sottolinea Fratoni - perché mi ha dato una valida preparazione di base. Ma la vera differenza è che a Berkeley ho potuto andare oltre la teoria e partecipare a progetti concreti. Insomma, ho potuto mettere le mani in pasta”.

 

La gratitudine verso il proprio Paese di origine non è un sentimento così scontato tra coloro che hanno deciso di lasciarlo. Per Enzo Carrone, direttore del LAC, uno dei più importanti laboratori di fisica negli Usa, legato all’Università di Stanford, è invece una priorità morale: “Un giorno mi piacerebbe mettere a disposizione dell’Italia l’esperienza maturata qui per restituire quanto ho ricevuto in termini di conoscenza. E mi auguro che lo stesso facciano i miei figli”. 



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