"Qualunque cretino può mettere in piedi una promozione basata sul prezzo; ma ci vogliono genio, fede e perseveranza per creare una Marca”. La celebre massima è di David Ogilvy e mette in evidenza la genialità che sta alla base della cura della Brand Identity, un’etichetta che usiamo più spesso all’inglese per sottintendere quel lato “stiloso” insito nella promozione di un marchio. Ma al di là della genialità, con tutto il fascino che porta con sé, è bene per un’impresa, tanto più oggi, essere molto concreta. E farsi le domande giuste. Quanto conta la cura della propria immagine? Quanto questa attenzione è davvero un fattore di sviluppo, strettamente collegato alla crescita della competitività? L’abbiamo chiesto a Luigi Negrini, esperto di Marketing strategico & Comunicazione, che ha accompagnato il Gruppo Giovanni Imprenditori dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese in un viaggio alla scoperta della Brand Identity e che ci ha spiegato come l’attenzione al proprio brand non sia esclusivo appannaggio delle aziende che si rivolgono direttamente al consumatore per le quali può sembrare più naturale investire in promozione d’immagine.

Dottor Negrini, quella tra brand identity e competitività è una relazione che si dà per scontata ma così non è percepito da tutte le imprese. Possiamo spiegare in che modo costruire e curare la brand identity possa servire per stare sul mercato e – diciamolo pure – per fatturare?

Il valore dell’azienda e dei suoi prodotti sono fondamentali argomenti di scelta da parte dei clienti. In un mondo sempre più globalizzato e competitivo la scelta dei propri fornitori dipende da molti fattori, uno dei più importanti rimane la fiducia e risponde alla domanda: perché utilizzo questo fornitore? Avere quindi una chiara identità aziendale e di marca significa consentire ai nostri clienti di “andare sul sicuro” quando scelgono noi. Questo vale sia per i clienti in portafoglio (non dimentichiamo che i nostri clienti sono il vero tesoro dell’azienda e che, soprattutto quelli costanti ed affezionati, vanno curati e seguiti con grande cura) che per i prospect, quelli che si rivolgono a noi per una prima valutazione o quelli che noi cerchiamo di attirare con la nostra comunicazione. E dobbiamo domandarci, prima, e indicare, poi, quali siano le nostre caratteristiche costitutive (la nostra identità aziendale e di marca, la nostra vision e la nostra mission) sia i nostri vantaggi competitivi nei confronti del mercato e dei competitori.

L’azienda, però, non è solo produzione ma anche valori intangibili, storia, relazioni con i clienti, legame con il territorio: come è possibile valorizzare questo patrimonio?

Rispondendo alla domanda “perché dovrebbero scegliere proprio noi?” troveremo che il cliente vuole certamente prodotti e servizi di qualità, che rispondano alle sue esigenze, vuole assolutamente un controllo feroce sui costi di produzione, ma poi è fortemente influenzato da aspetti meno tangibili e poco misurati come i rapporti interpersonali, la facilità di approccio, la simpatia, la storia delle relazioni, che nel corso con i Giovani Imprenditori varesini abbiamo così sintetizzato: accessibilità cioè facilità di contatto da parte del cliente; capacità di risposta ovvero capacità di trovare soluzioni ai bisogni del cliente; tempestività, cioè rispetto dei tempi e flessibilità; affidabilità ossia mantenimento della promessa del servizio e, infine, gestione della relazione, disponibilità, comunicazione chiara, comprensione delle esigenze, problem solving e orientamento al cliente.

Sulla carta sembra fattibile ma a chi spetta questo compito?

Tutto questo impone che l’intera azienda, anche se piccola, ruoti intorno a queste modalità e quindi spetta a tutti, dal centralino alla contabilità, non solo a vendita e/o a produzione attenersi a queste regole.

Un ragionamento che si applica alla perfezione ai prodotti di consumo. Ma come ci si regola nel Business to Bunsiness, nelle filiere, nelle catene di fornitura? In fondo è lì che si fa la differenza per le pmi.

Queste indicazioni sono ancora più valide per chi, nel mercato, si offre sia come azienda di servizi sia di produttore per un settore B2B, dove la catena dei fornitori è fondamentale per il successo complessivo. La capacità di rispettare queste indicazioni spesso è la vera differenza competitiva che si accompagna poi a tutte le problematiche di prezzo che, in un mercato fortemente competitivo, rimangono l’altra faccia del dilemma della scelta dei fornitori. Ciò porta poi ad analizzare alcuni aspetti del rapporto con i propri clienti: comprendere il business del cliente; sviluppare piani mirati alle sue iniziative di business, verificare le reali necessità del cliente, rivedere con lui i criteri di scelta di una soluzione preliminare, definire la corretta soluzione, chiudere la vendita, negoziare i dettagli e i termini contrattuali. E infine provare poi a capire se vi siano in azienda dei “talloni d’Achille”.

Talloni d’Achille? Ci spieghi meglio.

L’azienda deve imparare come proteggere i suoi punti deboli ma anche come influenzare, accrescere i punti deboli dei concorrenti e soprattutto usarli vantaggiosamente. Infine, deve capire come aiutare i clienti a superare i propri. Lo studio sui talloni d’Achille delle aziende discende dalla teoria dei vincoli, un modo di gestire una azienda o un’organizzazione. Essa è stata creata da Eliyahu M. Goldratt e dai suoi collaboratori lungo un periodo di più di tre decenni.

 

Nuovo logo per i Giovani

Lavorare sul proprio marchio significa anche sapersi rinnovare, valorizzando le proprie radici in chiave inedita. È questa la filosofia che sta dietro il restyling dell’immagine del Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese. “Dal 1° gennaio di quest’anno abbiamo un nuovo logo - racconta il presidente del Movimento, Mauro Vitiello -. L’operazione di rebranding è stata voluta per identificare maggiormente la nostra realtà con l’appartenenza all’Unione Industriali varesina e a tutto il Sistema Confindustria, senza tralasciare aspetti di modernità e attrattività sempre più richiesti dalle nuove piattaforme”.

 

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