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L’importanza dell’industria tessile e dell’abbigliamento non sta solo nei numeri che fanno di questo settore “un asset strategico per tutto il Paese”, come ricorda nell’intervista che apre questo nuovo numero di Varesefocus, il Presidente di Sistema Moda Italiana, Marino Vago. Il sistema manifatturiero dei tessuti e della moda pur essendo tra quelli tradizionali e storicamente radicati da più tempo sul territorio è anche un universo di esperienze aziendali in profonda trasformazione. L’impegno sui fronti della sostenibilità, dell’economia circolare, del digitale fanno delle imprese dei vari comparti della filiera, interamente presente sul nostro territorio (cosa più unica che rara a livello europeo), una delle realtà più in fermento del nostro panorama industriale sia nazionale, sia locale.

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Ma l’impresa tessile è anche altro. Può trasformarsi ad esempio in uno strumento per abbattere i muri della disabilità attraverso il lavoro, come racconta la storia di Pappaluga che troverete nelle pagine di “Più Coraggio”. Può essere anche fonte di ispirazione artistica come ricorda la stessa copertina che abbiamo scelto per questa edizione del nostro magazine e che ritrae uno dei quadri dell’artista Alberto Magnani che esporrà le proprie opere in una mostra a Varese, presentata nella rubrica di arte.

Insomma, come avrete capito, questo numero di Varesefocus rappresenta in più parti un tributo ad un settore industriale che, con i suoi mille volti e aspetti, è parte integrante di un territorio di cui ha fatto la storia e di cui rappresenta oltre che il presente, anche il futuro. Questa definizione non vuole essere uno slogan e nemmeno un auspicio ottimistico. Il settore di cui parliamo in queste pagine è uno di quelli che più ha sofferto l’impatto della globalizzazione, ma che allo stesso tempo, come dimostrano le storie e i progetti che qui raccontiamo, rappresenta anche un laboratorio di innovazione della storia industriale del nostro Paese. Le imprese varesine del tessile e abbigliamento, con il loro impegno, dimostrano che non ci sono settori maturi destinati a rimanere in balia dei fenomeni internazionali senza poter far nulla se non portare avanti il proprio quotidiano. I cambiamenti per riposizionarsi organizzativamente e, permettetemi, anche con una diversa filosofia sul mercato sono sempre possibili.

Recentemente ho scritto ad una imprenditrice tessile che in una email mi confidava le difficoltà che sta attraversando la sua azienda, nonostante le ultime statistiche mettano in evidenza una generale ripresa dei livelli produttivi e di export del settore. Nelle sue parole si coglieva tutto il dolore e il dispiacere per una vita di sacrifici messa a rischio di chiusura con possibili conseguenze sul futuro dei lavoratori. Non è un caso isolato. Sappiamo che nel settore c’è una profonda differenza dell’andamento tra azienda e azienda, anche in base ai mercati di riferimento e alla specializzazione produttiva. Il tessile è uno di quegli spaccati industriali in cui la crisi ha picchiato più duro e più a lungo e dove gli scenari internazionali hanno rovesciato rapporti di forza e paradigmi organizzativi.

Nella sua intervista Marino Vago riassume tutto ciò in maniera lucidissima: “Il destino delle nostre imprese ha rappresentato la merce di scambio politica per diversi accordi internazionali”. Occorre cambiare subito registro. Non bastano i lievi progressi congiunturali. Serve darsi una visione globale e strategica di lungo periodo per creare quelle necessarie sinergie in grado di permettere, anche alle imprese ancora in difficoltà, di poter essere trainate da chi, invece, riesce a crescere. Ciò anche attraverso nuovi modelli di distretti industriali e nuove forme di collaborazione tra imprese su progetti specifici. In questo non c’è differenza tra piccole e grandi aziende. La strada è unica ed è quella di creare logiche e politiche di sistema. Le imprese e le loro associazioni di rappresentanza, come spiegano gli articoli che seguono, stanno facendo la loro parte. E le istituzioni? E la politica? Quali sono i punti dell’agenda di politica industriale del nuovo governo? A tale domanda manca ancora una risposta che si fa sempre più urgente e da cui dipende buona parte del futuro occupazionale del Paese.



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