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Native digitali, ma non solo. Le nuove generazioni di capitani d’impresa sono anche sostenibili nel proprio Dna. Un potente motore di sviluppo in grado di sparigliare le carte e che occorre sfruttare per una contaminazione positiva nel sistema produttivo a livello internazionale. Ecco come riuscirci e dar vita ad una vera e propria “cittadinanza d’impresa” in un mondo che punta ad una nuova normalità

Il Gruppo Giovani Imprenditori dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, in occasione della nona edizione del World Manufacturing Forum, ha avuto un ruolo da protagonista nel delineare le traiettorie di sviluppo della manifattura a livello globale. Un contribuito che si è concretizzato nella realizzazione di un white paper di posizionamento, intitolato “I Giovani Imprenditori nella nuova era della sostenibilità e della digitalizzazione: trasformare gli spiriti imprenditoriali dei giovani in una solida cultura organizzativa per il rinnovamento” (in inglese: “Young Entrepreneurs in the new era of sustainability and digitalization”). Il focus group rispettivo, capitanato dalla Group Leader Giorgia Munari, Presidente del Gruppo Giovani Imprenditori di Univa, ha intervistato 18 panelist di provenienze geografiche e professionali diverse, originari di otto differenti Paesi e con background culturali eterogenei (insegnanti universitari, titolari d’impresa, manager, studenti), ma accomunati dall’interesse e dalle competenze sull’imprenditoria giovanile, l’innovazione digitale e la sostenibilità.  

Il paper comincia la presentazione del contesto “esterno” in cui i giovani imprenditori si ritrovano oggi: lo scenario internazionale, a causa degli effetti della pandemia di Covid-19, si mostra più “balcanizzato” che in passato, con rischi maggiori dati dall’interruzione di rilevanti catene globali del valore, l’escalation di politiche protezionistiche degli Stati, l’aumentare delle disuguaglianze. Allo stesso tempo, la corsa verso lo sviluppo tecnologico (intelligenza artificiale, reti neurali, additive manufacturing), la maggiore attenzione alla sostenibilità, i fondi pubblici massivi dell’American Rescue Plan e del Next-Generation EU costituiscono fattori di stimolo importanti. È su questo scenario che si basa l’analisi del contesto “interno” del background culturale dei giovani imprenditori. Dalla discussione coi panelist emerge innanzitutto che i giovani imprenditori sono nella maggior parte dei casi portati a introdurre disruption nei contesti aziendali, con una mentalità votata più all’azione e alla performance, sia nella forma di crescita e scale-up delle start-up che nel rinnovo generazionale di aziende consolidate. Tale capacità innata di disruption favorisce una maggiore propensione verso la digitalizzazione rispetto alle generazioni passate, mostrata dalle rilevanti competenze digitali dei più giovani (per lo più “nativi digitali”), sia nell’utilizzo esteso del web e dei social media, con prospettive interessanti per la comunicazione d’impresa e l’innovazione tecnologica dei processi produttivi.

Nei fatti, tale apertura può costituire un volano importante per la trasformazione dalla vecchia cultura hardware del fare industria, fortemente incentrata su macchinari e asset tangibili, a una più leggera e smart di software, in cui i macchinari vengono accompagnati dalla dematerializzazione di alcuni processi produttivi, la data transformation e la servitization (come vendita del prodotto manifatturiero con servizi digitali intelligenti ad hoc). Queste trasformazioni sono peraltro fortemente legate a un altro tema verso cui i giovani imprenditori pongono attenzione: la propensione verso la sostenibilità. Le giovani generazioni sono già “native di sostenibilità”, poiché cresciute a ritmo di summit internazionali sul clima (a partire dai Protocolli di Kyoto). Questo, secondo il gruppo di esperti, ha incentivato una cultura non di “sola” Corporate Social Responsibility, ma di vera e propria Corporate Citizenship, in cui l’impresa viene concepita dai giovani come una parte integrante del contesto socioeconomico in cui si colloca. In questo modo, il fare azienda diventa un’attività fortemente attenta alle necessità degli stakeholder, seguendo un percorso di sostenibilità a 360°. Da qui discendono le raccomandazioni finali del paper. Un manifesto per valorizzare il ruolo dei giovani imprenditori nelle trasformazioni del sistema produttivo verso attività sempre più digitali e sostenibili.

A livello di imprese: favorire l’interdisciplinarietà in ogni azienda manifatturiera, sia per le hard skills che per le soft skills, al fine di garantire una cultura organizzativa capace di durare nel tempo e di non lasciare indietro nessuno; definire la missione dell’impresa e la sua visione, imprescindibili per tessere una strategia di mercato efficace e poter fare uno storytelling delle iniziative di innovazione e sostenibilità; concepire sostenibilità e tecnologia come strettamente interrelate, in quanto interdipendenti nel processo di trasformazione circolare del manifatturiero. A livello di ecosistema: puntare sulla contaminazione positiva tra start-up e aziende consolidate, queste ultime devono portare l’expertise manageriale e gli asset tangibili che mancano alle nuove imprese che a loro volta possono mettere sul piatto di percorsi di crescita condivisi la capacità di innovazione, disruption e la propensione al rischio imprenditoriale; potenziare nuovi canali di comunicazione e networking per i giovani imprenditori, assieme all’implementazione sempre maggiore della servitization. A livello di advocacy: favorire il coinvolgimento delle associazioni imprenditoriali al fine di facilitare la solidità delle imprese dei giovani; convogliare un dialogo attento e consapevole coi decisori pubblici, al fine di limitare l’eccessivo interventismo e favorire dall’altra parte significative collaborazioni pubblico-privato e l’accesso ai mercati esteri. I giovani imprenditori sono capaci di cogliere le sfide del futuro, e ne hanno la volontà. Non per un cambiamento “di facciata”, ma per la costruzione di un vero e proprio New Normal.  

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