I-gradini-da-scalare-per-tornare-a-crescere

Questo nuovo numero di Varesefocus che vi apprestate a sfogliare è come una sorta di “Ritorno al Futuro”. Abbiamo voluto immaginarci e proporre ai nostri lettori una visione di come potremo essere tra qualche anno. E quali traiettorie potrebbero avere i percorsi obbligati verso cui dobbiamo incamminarci per arrivare a trasformarci nel Paese che noi tutti sogniamo da anni: un’Italia che sappia valorizzare il merito dei giovani; che possa contare su una politica in grado di guardare lontano e non solo al prossimo tweet pensato per spostare di uno zero virgola il grado di consenso misurato con il sondaggio di giornata; con uno stato sociale moderno e all’avanguardia nella protezione dei più deboli; con istituzioni efficienti capaci di mettere al sicuro da qualsiasi rischio il modello di “democrazia liberale” per cui tanto ci siamo battuti; con un debito pubblico che non opprima più qualsiasi ambizione generazionale. Tutti fronti su cui il pericolo di un declino è oggi più che mai tangibile. Allo stesso tempo, però, nonostante le mille difficoltà, l’economia italiana, la sua società, le sue imprese hanno tutte le qualità e le conoscenze necessarie per farcela, per risalire la china un gradino per volta. L’importante è capire quali siano gli scalini giusti da affrontare e con quale grado di intensità e forza nelle gambe. In questa edizione del nostro magazine è ciò che abbiamo provato a fare, partendo dall’analisi di cosa ci attende nei prossimi mesi. Non tanto in termini di possibili tassi di crescita o decrescita del Pil. I numeri, almeno per questa volta, li abbiamo voluti lasciare un attimo da parte, perché pensiamo che in questo frangente qualsiasi previsione sia quasi impossibile e perché più che l’andamento congiunturale misurato mese per mese, sia più importante individuare e comprendere quali siano i trend di medio e lungo periodo verso cui si stanno incamminando i principali settori economico-produttivi presenti sul territorio. Perché è così che si difende il lavoro e se ne crea di nuovo. Non bastano reti di protezione. Serve guardare avanti e impostare politiche sia micro (a livello aziendale e di settore), sia macro (a livello economico e di sistema) in grado di agganciare le grandi e piccole trasformazioni in atto, che ogni crisi porta con sé. Quella scatenata dalla pandemia da Coronavirus non fa eccezione.

Se ci accontentiamo di gestire le difficoltà del presente, rischiamo di perdere le opportunità che ci potremmo aprire sul futuro se avessimo il coraggio di fare delle scelte su mirate politiche di sviluppo. Quando diciamo mirate intendiamo un modello alternativo a quello, pur necessariamente emergenziale, adottato finora: fatto di aiuti a pioggia, spalmati sulla più ampia platea di beneficiari. Le imprese, viceversa, guardano a un modello costruito, appunto, sulle scelte. Che in quanto tali rischiano di essere impopolari da un lato, quello del breve periodo. Ma portatrici di crescita duratura e sviluppo sostenibile dall’altro, quello del lungo periodo. Insomma, bisogna impostare oggi una politica che ci traghetti verso la modernità, ma i cui risultati tangibili e concreti potrebbero arrivare solo dopo mesi o, in alcuni casi, anni. Non tutti i gradini da scalare sono uguali. Alcuni ci possono portare più in alto. Altri potrebbero accontentarci subito, ma, in prospettiva, relegarci ai piani più bassi di un’emarginazione internazionale.

Il problema sta qui. Il nostro sistema politico ha questo coraggio? È abbastanza ambizioso? Oppure pensa solo alla prossima tornata elettorale? E con quale scopo poi? Per una sopravvivenza al potere fine a se stessa? La visione di Alcide De Gasperi è perfetta per i nostri tempi: “Un politico guarda alle prossime elezioni. Uno statista guarda alla prossima generazione”. Sia chi ci governa, sia chi ambisce e si propone a prenderne il posto dovrebbe essere più temerario del dibattito politico oggi in corso. Per non essere mal interpretati in ambito nazionale, si potrebbe fare un ricorso storico oltre confine. Quello inglese di Winston Churchill: non promise mai scelte semplici per il suo Paese che riuscì a trascinare alla vittoria della Seconda Guerra Mondiale, garantendo un futuro di libertà e prosperità per generazioni. Churchill, tuttavia, perse poi le elezioni del luglio 1945. Il suo nome è, però, scritto in maniera indelebile sui libri di storia. Quanti si ricordano il nome di chi lo sconfisse a quel voto post-conflitto? Non ce ne voglia la memoria di un politico, comunque di spessore, quale fu Clement Attlee. Il senso del paragone è solo quello di far capire al nostro sistema politico la posta in gioco: il nostro futuro.



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