Investimenti nelle connessioni internet su tutti i territori, nei device per studenti e professori, nelle piattaforme digitali per l’insegnamento e nella formazione del corpo docente. Ecco da dove ripartire a settembre. La ricetta delle imprese nelle parole di Giovanni Brugnoli, da poco rieletto Vicepresidente di Confindustria al Capitale Umano

“Siamo riusciti a riportare il tema della formazione tecnica alla giusta attenzione del dibattito pubblico e politico, riaprendo quel link strategico tra mondo della scuola e dell’impresa che stavamo rischiando di perdere”. Il bilancio di Giovanni Brugnoli sui quattro anni passati alla Vicepresidenza di Confindustria con delega al Capitale Umano parte da qui. Da un punto che è, insieme, di arrivo e ripartenza. Perché quella stessa carica l’imprenditore del territorio varesino, titolare dell’azienda tessile Tiba Tricot di Castellanza e Past President dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese, la ricoprirà per un altro quadriennio, grazie alla riconferma all’interno della squadra del neopresidente di Confindustria, Carlo Bonomi. Lo spirito è di chi vuole ora raccogliere ciò che di buono è stato seminato negli ultimi anni: “La scuola è stata per troppo tempo diffidente nei nostri confronti. Pensava che le imprese volessero occupare spazi non loro nella didattica e nella formazione. Invece siamo riusciti come Confindustria a far capire che vogliamo essere per il sistema un supporto con una visione pluriennale. Perché l’alternanza scuola-lavoro rimane e sarà sempre più un perno per il futuro occupazionale dei ragazzi e per la competitività del nostro sistema economico”.

Un imprenditore varesino riconfermato in un ruolo chiave per il sistema della rappresentanza confindustriale, quello del Capitale Umano, per l’appunto. Cosa significa a livello personale e per il territorio?

È il premio al “modello Varese” che siamo riusciti come Unione Industriali e come sistema delle imprese a costruire nel tempo. Pensiamo alle numerose iniziative che portano avanti le nostre imprese con le scuole di ogni ordine e grado. Pensiamo all’impegno e all’investimento nella nascita e nella costante crescita della LIUC – Università Cattaneo. Affidare ad un imprenditore di questo territorio la delega al Capitale Umano è il giusto riconoscimento ad un tenace lavoro di squadra ricco di risultati positivi. Ringrazio tutti i colleghi della nostra Associazione che mi sono stati vicini in questi anni. Riparto con grande impegno e ottimismo, grazie alla forza e al sostegno di tutto un sistema a cui Confindustria guarda come un esempio da seguire.

Un successo degli ultimi 4 anni? “Aver sostenuto la crescita della formazione post-diploma degli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori. L’83% dei ragazzi che li frequenta trova un’occupazione. Un dato incredibile in un mercato del lavoro statico”

Qual è il risultato più importante del suo primo mandato?

Aver sostenuto la crescita della formazione post-diploma degli ITS, gli Istituti Tecnici Superiori. L’83% dei ragazzi che, dopo la maturità li frequenta, trova un’occupazione. Un dato incredibile in un mercato del lavoro statico come quello italiano. Sono fabbriche di occupazione. Gli ITS stanno funzionando, ma, forse per colpa del nome e dell’acronimo, nell’opinione pubblica e nelle famiglie alle prese con le decisioni sul futuro formativo dei ragazzi non riescono a sfondare. Parliamo di un’alta formazione che è una valida alternativa al percorso universitario. Sia in termini di sbocchi occupazionali che di livelli di prime retribuzioni. C’è però bisogno di una programmazione. I fondi del Ministero dello Sviluppo Economico per il loro finanziamento stanno per finire e nell’ultimo Dpcm per la scuola non c’è traccia di nuovi stanziamenti.

Un cruccio degli ultimi quattro anni, su cui lavorare per il futuro?

Il penultimo posto in Europa per iscritti ai corsi universitari scientifici Stem (dall’inglese Science, Technology, Engineering and Mathematics ndr). Un dato che come Paese non possiamo permetterci. Mi preoccupa poi l’aumento dei Neet, i giovani che non studiano, non lavorano e non cercano un impiego. Risorse che stiamo sprecando e che dobbiamo recuperare facendo capire che le imprese rappresentano ancora il principale, se non l’unico, vero ascensore sociale. Per riuscire nell’intento, però, dobbiamo eliminare le differenze che esistono tra territori nelle capacità di dialogo tra scuole e imprese. Là dove le Confindustrie locali sono riuscite a creare le giuste sinergie con gli istituti scolastici è evidente anche una maggiore capacità di placement dei giovani. Dobbiamo fare di questi esempi un modello per tutta la Penisola.

Nel suo mandato per riallacciare un dialogo con i giovani ha puntato molto sulla comunicazione, un esempio per tutti è la trasmissione radiofonica “Il Post in Fabbrica” di Rtl 102.5. È un format che sarà confermato?

Assolutamente sì. Attraverso questa trasmissione l’industria è riuscita a raccontarsi ai ragazzi. In 100 puntate abbiamo parlato di 4.670 posti di lavoro, raccolto 22mila curricula, dato vita a 460 assunzioni. Il mismatch tra domanda e offerta di lavoro si contrasta anche così.

Tanto si discute su come a settembre le scuole potranno riaprire le porte agli studenti e a come organizzare la didattica. Gli imprenditori sono preoccupati?

Per la ripartenza della scuola serve un “Modello Genova”. La scuola è un’emergenza. Non possiamo permetterci di far perdere ai ragazzi slot di opportunità per carenze tecnologiche, di risorse e di competenze.

Un “Modello Genova” per fare cosa?

Serve un piano di 4 punti per una ripartenza delle attività didattiche che metta al centro le pari opportunità tra giovani di varie estrazioni sociali e di vari territori. Primo: connessione internet veloce ed efficiente da Aosta a Siracusa. Secondo: disposizione di device digitali per i ragazzi e i docenti. Terzo: piattaforme digitali per l’insegnamento, sicure e accessibili a tutti. Quarto: formare i formatori. Il docente deve cambiare pelle, gli skill digitali, lo abbiamo visto durante il lockdown, devono far parte del patrimonio di conoscenza dei nostri professori. Non parlo solo di saper usare piattaforme, programmi e dispositivi. È anche una questione di competenze che definirei umanistico/relazionali, capacità di empatia e di comunicazione. Non sappiamo come si riorganizzeranno le classi, ma è difficile pensare che la didattica a distanza scomparirà completamente. È comunque un modello che in alcuni casi e frangenti, se ben impostata e con i giusti strumenti, può entrare a far parte dell’offerta formativa da proporre ai ragazzi. Un’occasione in più da non perdere, magari proprio in un’ottica di re-impostazione nei progetti di alternanza e rapporto scuola-impresa in tempo di distanziamento sociale.

       Giovanni Brugnoli  



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