Città-a-caccia-di-una-nuova-normalità

Dalle maniglie auto sanificate, alle postazioni per smart working all’interno dei parchi, fino ad arrivare ad edifici interamente integrati ed aumentati: come stanno cambiando i centri abitati dopo l’avvento di Covid-19? 

A Singapore un robot con sembianze canine avrà il compito di pattugliare i parchi, evitando assembramenti tramite sensori e videocamere. Le porte saranno dotate di maniglie che si autodisinfettano grazie ad anelli scorrevoli che rilasciano sostanze germicide, ideali per luoghi affollati come hotel e bagni pubblici. E finiremo forse per giocare ad un grande Twister posizionato sui pavimenti di supermercati e shop di tutto il mondo, grazie ai semafori comportamentali: sul bollino verde si cammina, sul giallo si sosta brevemente e sul rosso ci si ferma. Tutte idee già in via di sviluppo, in Italia come in molti Paesi in cui il Coronavirus ha lasciato traccia del suo travolgente passaggio.

In altre parole, il futuro post- pandemico che ci attende si prospetta costellato di soluzioni altamente tecnologiche in grado di rendere più vivibili e sicuri gli spazi comuni del quotidiano di ciascuno di noi. Ma i centri abitati, grandi o piccoli che siano, come affronteranno questa transizione? Come sta cambiando e come cambierà il modo di concepire gli spazi e le città nel post Covid-19? Secondo Elena Brusa Pasqué, Presidente dell’Ordine degli Architetti della provincia di Varese, il passato ha molto da insegnare in questo senso: “Eravamo convinti di essere in un mondo sicuro, ma già nel 2015 Bill Gates profetizzava l’esistenza di un nemico infinitesimamente piccolo che avrebbe potuto scuotere il mondo. Le pandemie sono sempre stati momenti di trasformazione, in termini di qualità della vita delle persone e questa non farà certo eccezione”.

Elena Brusa Pasqué: “L’unica cosa di cui abbiamo certezza oggi è che i nostri telefoni controlleranno tutto, dalle luci alla temperatura dell’aria di casa o dello studio, ci controlleranno il battito cardiaco, se abbiamo la febbre, se siamo felici o infelici”

Ed è proprio la storia a ricordarci che stravolgimenti sociosanitari come il Coronavirus ritornano ciclicamente, sempre in modi differenti, ma non per forza lasciano dietro di sé solo conseguenze negative. “Per colpa di una pandemia è nato il Central Park a New York, per garantire il distanziamento tra le persone, così come i larghi viali di Boston e le ampie strade americane, costruite per realizzare delle fognature in grado di portare l’immondizia lontano dai centri cittadini – spiega ancora Brusa Pasqué –. Come in passato, anche dopo Covid-19 l’arredo urbano subirà delle trasformazioni sostanziali: appariranno ovunque fontanelle a pedale accanto a distributori di igienizzanti per le mani. L’uso di energie alternative per il riscaldamento degli edifici e l’introduzione della mobilità sostenibile stempereranno l’inquinamento atmosferico, che in molti casi è stato concausa di un aumento della virosità”.

Saranno molti i cambiamenti anche nell’organizzazione degli spazi lavorativi, a partire dal numero di postazioni previste in un open space. Filo conduttore: l’innovazione tecnologica. “L’unica cosa di cui abbiamo certezza oggi è che i nostri telefoni controlleranno tutto, dalle luci alla temperatura dell’aria di casa o dello studio, ci controlleranno il battito cardiaco, se abbiamo la febbre, se siamo felici o infelici. Il futuro si sta così digitalizzando che gli ascensori potranno essere chiamati da uno smartphone, evitando la necessità di premere un pulsante, mentre le porte dell’ufficio si apriranno automaticamente utilizzando i sensori di movimento e il riconoscimento facciale”, precisa la Presidente dell’Ordine degli Architetti varesini. In questo scenario caratterizzato da una maggiore automatizzazione, gli edifici smart, sicuri e aumentati saranno protagonisti indiscussi.

Come spiega Andrea Vicario di ABB, multinazionale elettrotecnica operante nel campo della robotica, dell’energia e dell’automazione in oltre 100 Paesi: “La pandemia ha cambiato la nostra quotidianità e i nostri bisogni. La conseguenza sarà una trasformazione degli spazi in cui viviamo, lavoriamo e passiamo il nostro tempo libero. Gli edifici aumentati mettono al centro la qualità della vita di chi li vive, rispondendo alle nuove necessità. Tutti gli stabili, nuovi o preesistenti, possono essere aumentati: centri commerciali, industrie, ospedali, uffici, case, hotel, stadi e sale concerti”. Ma qual è il vantaggio di vivere un edificio aumentato, dotato di impianti e dispositivi “intelligenti” in grado di comunicare tra loro? “Pensiamo al massimo da ottenere da un edificio in termini di comfort e vivibilità. Parliamo di realtà totalmente gestibili e continuamente implementabili, perché la tecnologia permette di aggiungere nuove funzionalità a quelle già esistenti, praticamente giornalmente. Senza parlare poi del minor impatto ambientale che questi edifici hanno, contribuendo ad un significativo risparmio energetico”, spiega ancora Vicario. Ma se da un lato l’innovazione tecnologica la farà da padrona nella ridefinizione degli ambienti interni degli edifici, cosa accadrà agli spazi esterni? Quelli così vietati durante il periodo di lockdown e di isolamento forzato. “Le città diventeranno molto più verdi, la cultura della campagna sarà portata in città – spiega di nuova Elena Brusa Pasqué –. Dalla storia e dall’esperienza contemporanea emerge che le pandemie hanno sempre avuto un maggior impatto negativo nelle aree urbane rispetto a quelle di campagna.

Andrea Vicario di ABB: “Gli edifici aumentati mettono al centro la qualità della vita di chi li vive, rispondendo alle nuove necessità. 

Prima di Covid-19, le previsioni indicavano che il 61% della popolazione mondiale, circa 5 miliardi di persone, si sarebbero concentrate, entro il 2030, nelle principali città del mondo: questo fenomeno di deruralizzazione manterrà le previsioni o si modificherà? Ci sarà sicuramente una flessione del fenomeno con un’immediata fuga verso la campagna o forse più probabilmente verso le città medie, quelle che offrono tutti i servizi delle grandi città ma in scala più umana e soprattutto con costi più accessibili, come Varese che con i suoi 80 ettari di parchi urbani, l’architettura diffusa e non concentrata che ha contribuito ad una minor contaminazione, favorendo il naturale distanziamento, si è rivelato un luogo ottimo in cui abitare, nonostante le circostanze”. In altre parole, non saremo in grado di rinunciare alle città, che dovranno necessariamente diventare più sostenibili e vivibili, guardando sempre più ai modelli delle cittadine di provincia. “Sarà la città che si adatterà a questa post pandemia e non viceversa.

Nasceranno perciò giardini condominiali organizzati, progettati con panchine e arredi urbani più tecnologici con postazioni dotate di Wi-Fi e caricabatterie, per permettere a chiunque di fare smart working direttamente da un parco. Varese e città simili immerse nel verde dovranno scommettere sul marketing territoriale, per attirare non solo turisti ma potenziali nuovi abitanti”. Dello stesso avviso è Gabriele Pasqui, docente di politiche urbane al Politecnico di Milano, convinto che le città, una volta superata questa pandemia, dovranno essere in grado di riconvertirsi ecologicamente, con soluzioni alternative a quelle messe in campo fino a qualche mese fa: “Un esempio sarà la mobilità: il trasporto pubblico dovrà essere approcciato in maniera diversa dal passato, con una diversa densità d’uso. Come sarà possibile garantire la sicurezza nel trasporto pubblico, senza ingorgare le città di automobile? Favorendo la mobilità dolce, ciclabile, ripensando i ritmi urbani e della città. La vera questione cruciale sarà come immaginare la vita in pubblico, negli spazi aperti: parchi, marciapiedi, piazze dovranno essere ripensati per adeguarsi alle nuove prossemiche, in maniera del tutto inedita rispetto al passato. La sfida che abbiamo davanti, imprese, cittadini ed istituzioni, è immaginare un futuro urbano che si faccia carico di un tema ecologico e anche del cambiamento climatico, non solo della pandemia.

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