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“Su le dentate scintillanti vette/salta il camoscio, tuona la valanga/… a questa luce angelica esultante,/rendi la patria, Dio; rendi l’Italia/ a gl’italiani”. Qualcuno dei nostri lettori avrà fatto in tempo a studiarseli a memoria, durante le scuole elementari, i versi traboccanti amor patrio e fedeltà ai Savoia dell’ode “Piemonte”, oggi pressoché dimenticati. Ma quando Giosuè Carducci li pubblicò, fra l’estate e l’autunno 1890, fecero in fretta il giro del mondo accademico italiano che li salutò con grande enfasi. Poche settimane più tardi –era la sera del 6 ottobre- il poeta stesso declamò il componimento in una sala del Grand Hotel Excelsior, la struttura alberghiera più sfarzosa di Varese, oggi sede di Provincia e Prefettura. Se non un’anteprima, quasi. Carrozze laccate di nero e tirate a lucido, signore dell’alta società in abito bianco merlettato, camerieri in livrea: il clima prealpino risente ancora del clima estivo e la stagione della villeggiatura riempie le camere d’albergo della bella società mitteleuropea.

La visita di Giosuè Carducci a Varese e Gavirate. Era l’autunno 1890 e la plaga viveva i suoi anni turistici migliori
 “Quasi” Senatore del Regno
Atmosfera ideale per il Nostro, che di sicuro amava essere circondato dall’ammirazione di tutti e che già meditava sulla sua nomina (ormai imminente) a Senatore del Regno. “Sempre gentile, sempre accondiscendente, scriveva sui carnet delle signore inglesi ospiti dell’albergo qualche brano delle sue liriche o qualche improvvisazione – scrisse Giovanni Bagaini, il fondatore della Cronaca Prealpina-. Acconsentì anche a recitare il suo più recente lavoro, ‘Piemonte’, che aveva sollevato le più vive discussioni nel mondo letterario”. Senza saperlo, Giosuè Carducci scriveva in tal modo una delle pagine centrali della Belle Epoque varesina, probabilmente l’epoca migliore della cittadina quanto a notorietà e sfavillante ricchezza. Da lì a pochi anni sarebbero venuti i nuovi, grandi alberghi in stile liberty capaci di attirare nobiltà ed alta borghesia da mezza Europa; ma sarebbero stati gli ultimi moti d’entusiasmo prima che i colpi di cannone della Grande Guerra spazzassero via per sempre grandi guadagni e facili entusiasmi. Una gran bella serata, che al grande poeta toscano non deve essere per nulla dispiaciuta.

Sempre gentile, sempre accondiscendente…senza saperlo, Giosuè Carducci scriveva in tal modo una delle pagine centrali della Belle Epoque varesina, probabilmente l’epoca migliore della cittadina quanto a notorietà e sfavillante ricchezza
Prima sulle rive del lago, poi al Sacro Monte
In mattinata era giunto a Varese con il treno, reduce da un breve soggiorno in quel di Gavirate, ospite di amici, dove la storia ancora ricorda certi incontri galanti ai medesimi tavolini in legno e marmo che ancora oggi adornano il Caffè Vegnani: un luogo elegante e riservato posto proprio nel cuore del borgo lacustre, dove pare gli piacesse assaporasse i già famosi Brutti e Buoni intinti nella cioccolata calda. Anche i grandi letterati hanno le loro ingenue debolezze… E dopo la lauta cena preparata appositamente per lui nella fastosa sala ristorante (oggi dedicata allo storico Luigi Ambrosoli ed utilizzata per le conferenze) dell’Excelsior, “l’illustre visitatore –ricordano i giornalisti Luisa Negri e Massimo Lodi - venne condotto al teatro Sociale dove si stava rappresentando la Mignon”, opera lirica dal sapore tragico e del francese Ambroise Thomas che andava per la maggiore. Trascorsa la notte in casa di certo commendator Bartolini, le prime luci del mattino videro Carducci in visita al Sacro Monte di cui, sempre secondo Bagaini, attento cronista innamorato della sua città, “non cessò un solo istante dall’ammirare con entusiasmo la bellezza e l’imponenza del paesaggio che in quel giorno sembrava presentarsi con maggiori seduzioni”. Pare che, in seguito, il poeta abbia parlato in lungo e in largo delle attrattive turistiche prealpine. Ma di un’ode, una strofa, un verso almeno non si degnò di lasciare traccia.



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