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Torniamo a parlare di politica industriale

Le ampie polemiche estive sulle vicende che hanno coinvolto alcune banche e taluni investitori hanno dato l'errata impressione che, nel nostro paese, l'economia possa semplicemente identificarsi con operazioni finanziarie, con attività speculative (per di più, anche di dubbia correttezza). E' una brutta immagine, certamente non aderente alla realtà, men che meno quella rappresentata dai tanti imprenditori che faticano ogni giorno per mandare avanti la propria azienda in un contesto di competizione mondiale sempre più arduo. Nel quale le imprese non devono essere lasciate sole.
Il governo francese, convinto della necessità di sostenere il sistema produttivo, ha deciso di reimpostare la politica industriale in maniera selettiva, dando impulso ai distretti industriali e facendo leva sulla promozione della ricerca e dell'innovazione. L'obiettivo è il rilancio della crescita economica e dell'occupazione, la riduzione del gap tecnologico con i paesi più avanzati, l'aggancio di uno degli obiettivi dell'Unione Europea individuati nell'Agenda di Lisbona che impone ai partner di investire ogni anno almeno il 3% del Pil in ricerca.
E' stata creata, a tal fine, un'Agenzia per l'Innovazione e sono stati lanciati 67 distretti produttivi con l'intento di farne dei poli di competitività e di eccellenza raggruppando le competenze di gruppi industriali, centri di ricerca e università, in grado di operare insieme su progetti comuni e facendovi convergere finanziamenti pubblici, nazionali e comunitari, nonché facilitazioni fiscali e contributive. Diverse sono le specializzazioni produttive considerate (neuroscienze, sistemi informativi complessi, aeronautica e spazio, salute, nanotecnologie, telecomunicazioni informatiche, costruzioni ferroviarie, biocarburanti, chimica industriale, multimedia, attività legate all'agricoltura o al mare e altre ancora).
E' un esempio, ma certamente di grande interesse.
Da noi - dove, si noti, le ultime stime dell'Ocse indicano una crescita nel 2005 dello 0,2% contro una media dei paesi europei dell'1,3% - il Ministro delle Attività produttive Claudio Scajola ha annunciato il varo di un piano triennale con due obiettivi prioritari.
Nel lungo termine, focalizzare la specializzazione produttiva dell'Italia verso settori in cui si è in grado di primeggiare. Nel medio termine, indirizzare gli strumenti disponibili verso il riposizionamento competitivo dei settori a forte vocazione nazionale e verso la salvaguardia degli asset industriali che hanno grandi capacità di recupero e di consolidamento. Può essere la giusta via.
E' importante ed è tempo che in Italia si torni a parlare di politica industriale, dopo che questa è risultata sostanzialmente “annacquata” all'interno delle ultime manovre finanziarie di fine anno. Le quali hanno, peraltro, la funzione di far quadrare i conti dello Stato più che di introdurre riforme di valenza strutturale. Fare politica industriale non significa adottare provvedimenti di natura contingente e ancor meno assistenzialistica.
Significa generare e favorire la creazione di condizioni di contesto più adeguate perché l'economia tutta possa svilupparsi nel modo migliore. E, con l'economia, l'occupazione e il benessere. Ciò richiede scelte lungimiranti, ancorché difficili e non immediatamente paganti sul piano politico. Scelte che chi ha la responsabilità di governare ha il dovere di assumere, nell'interesse primo del paese, con la rapidità e il rigore necessari.

Alberto Ribolla

09/23/2005

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