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Il Federalismo torna in Parlamento

Il Governo ha approvato il disegno di legge delega sull'autonomia fiscale di Regioni ed Enti locali. Tante le novità a partire dal riparto dei fondi che non si baserà più sui livelli di spesa passati. Tutti i dettagli di un testo che ora approda alle Camere. Con i dubbi dei governatori delle Regioni.

Un disegno di legge che ogni anno il governo dovrà presentare, insieme al Dpef, per fissare un tetto alla copertura delle spese degli Enti locali; il passaggio dal sistema della spesa storica a quello basato sui costi standard di produzione per il riparto dei fondi alle Regioni; nuovi meccanismi di sanzione, questa volta automatici, per gli Enti che si discostano dagli obiettivi programmati di spesa. Il federalismo fiscale muove i suoi primi passi dopo anni di stallo. E lo fa con il disegno di legge delega approvato dal Consiglio dei Ministri agli inizi di agosto. Uno scatto in avanti che ora, però, dovrà fare i conti con l'iter parlamentare, che non si preannuncia di certo facile, e con le proteste delle autonomie locali che già hanno alzato voci di protesta. Tanto che il testo ha superato la prova del governo senza il consenso della Conferenza Unificata, l'organo che coinvolge Regioni, Province, Comuni e Comunità Montane nelle scelte che l'esecutivo è chiamato a fare nelle materie di comune interesse.
I pareri sono discordanti. Bastano solo due esempi per capirlo. Il ministro dell'Economia Tommaso Padoa-Schioppa ha definito il decreto "una buona base da cui far partire il confronto”. Per il governatore lombardo, Roberto Formigoni, invece, si tratta "di un testo ambiguo, poco coraggioso”. Nulla più. Come dire: il federalismo, in materia fiscale, è qualcosa di ben diverso. Opinioni divergenti, opposte. Pretattica in attesa della partita vera, quella che dovrà dare contenuto, in una legge, al disegno del governo. Questioni di opinioni, politiche. Distanti anche all'interno dello stesso Consiglio dei Ministri e della maggioranza.
Sta di fatto, però, che una cosa è certa: il federalismo fiscale è rientrato nell'agenda politica italiana dopo un lungo periodo di parole a cui i fatti non sono seguiti. Il legislatore si era arenato e ora prova ad uscire dalle secche nelle quali era entrato dopo la riforma del titolo V della Costituzione, avvenuta sei anni fa. Ci si prova. Ma come? A partire da cosa?
Il decreto approvato da Palazzo Chigi si basa sulla maggiore autonomia finanziaria concessa a Regioni ed Enti locali da raggiungere con un nuovo sistema di distribuzione delle risorse. Quello finora esistente, che si basava sulla spesa storica, andrà in soffitta. Le Regioni, in altri termini, non riceveranno più soldi in base a quanto avevano speso fino all'anno prima. Un punto dirimente, sul quale si gioca gran parte della partita. Perché avere in base a ciò che si è avuto, è il concetto dei federalisti doc, è inconcepibile in termini di efficienza. Il rischio è di premiare chi ha sempre scialacquato. Dunque, stop agli sprechi: d'ora in avanti il criterio che lo Stato seguirà nel dare fondi alle Regioni sarà quello di guardare al costo reale standard dei servizi necessari al funzionamento delle amministrazioni. E su questo basare i calcoli e le somme erogate. Il tutto senza dimenticare il principio di solidarietà: servizi minimi saranno comunque garantiti. Assistenza sanitaria e trasporto pubblico regionale non dovranno subire tagli tali da implicare ricadute sui cittadini.
Ma alla carota, si affianca il bastone. Perché se i diritti non si toccano, gli sprechi verranno puniti. Per gli Enti che sforeranno nei risultati gli obiettivi programmati saranno previsti meccanismi di sanzione automatici che si baseranno sui tetti stabiliti in sede di presentazione del Documento di Programmazione Economica Finanziaria. Ogni anno, insieme al Dpef, infatti, il ministro dell'Economia, dopo un confronto con la Conferenza Unificata, dovrà predisporre un disegno di legge per fissare le fonti di copertura. L'intero sistema fiscale sarà dunque più coordinato. Verrà stabilito un livello massimo di pressione per tutti i livelli di governo, centrale e locali, e il gettito sarà ripartito in proporzione alle funzioni. Proprio in questa sede, detta di perequazione, un potere in più sarà dato alle Regioni che avranno competenza nel finanziamento ai Comuni di più piccole dimensioni. Il Parlamento dovrà fissare la quota dei residenti che farà da spartiacque. Per le amministrazioni più grandi a fare da filtro per l'erogazione dei fondi sarà ancora lo Stato.
E forse è questo uno dei punti che ha portato il sindaco di Varese, Attilio Fontana, a definire il Ddl del governo "una presa in giro”. Un'opinione frutto delle cifre che il primo cittadino è stato costretto a leggere sulla stampa locale, quelle che il ministero dell'Interno ha pubblicato sul suo sito Internet e relative ai dati preventivi di entrate e spese dei Comuni per il 2007. Tabelle dalle quali emerge come Varese riceva dallo Stato fondi di gran lunga inferiori a quelli di Comuni del Sud Italia di medesime dimensioni. Un esempio per tutti, che ha fatto scalpore, è stato quello di Cosenza. All'amministrazione calabrese, infatti, lo Stato trasferisce 444 euro pro capite contro i 195 di Varese. Più del doppio.
Ma alla protesta dell'opposizione per un federalismo fiscale, quello del governo, che non piace, fa da contraltare l'opinione del deputato varesino Daniele Marantelli, componente della maggioranza, che considera il progetto del governo una prova che lo sguardo di Roma nei confronti del Nord sta cambiando.
Ora, però, la parola passa al Parlamento e ai tavoli di trattativa con le Regioni. Il testo è un disegno di legge delega, in pratica una scatola che solo il potere legislativo delle Camere può riempire di contenuti. Quali saranno e con quali tempi sono gli interrogativi ancora aperti.

09/21/2007

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