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Come si allarga l'Europa

Le conseguenze per l'Europa e per l'Italia di un allargamento che si presenta diverso dai precedenti per le caratteristiche dei Paesi in esso coinvolti.

La decisione presa al summit di Copenaghen del dicembre scorso di approvare l'adesione all'Unione Europea (UE) di Cipro, Estonia, Latvia, Lituania, Malta, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Slovenia ed Ungheria ha aperto una nuova fase nel processo d'integrazione europeo. Nel maggio 2004 l'Unione Europea avrà una crescita del 34% del suo territorio ed un aumento della popolazione superiore ai 100 milioni di persone. Il Prodotto Interno Lordo comunitario crescerà invece di pochi punti percentuali data la relativa arretratezza economica dei nuovi entranti. Bastano questi primi dati per capire come quest'espansione dell'Unione Europea sia differente dalle precedenti. Durante gli anni '80 la prima espansione coinvolse Paesi del sud Europa (Grecia, Portogallo e Spagna) con una popolazione ed una differenza di reddito pro-capite rispetto a quello medio comunitario che erano circa la metà di quelli che caratterizzano i nuovi entranti. Maggiori sono le differenze con la fase d'allargamento ai Paesi del centro-nord Europa (Austria, Finlandia e Svezia) dei primi anni '90. In questo caso l'allargamento portò addirittura ad un aumento del reddito pro-capite medio all'interno dell'Unione.
Due ulteriori caratteristiche differenziano quest'ultima fase di allargamento dell'Unione dalle precedenti. In primo luogo, la maggioranza dei nuovi entranti sono Paesi in transizione da un'economia centralmente pianificata ad un'economia di mercato. La valutazione degli effetti economici dell'allargamento dipende molto anche dal grado di trasformazione avvenuto. In secondo luogo, il volume di legislazione dell'Unione Europea che questi Paesi dovranno adottare è molto maggiore di quello delle precedenti fasi. Ciò è dovuto alla creazione ed implementazione del Mercato Unico a partire dalla fine degli anni '80.
Dato questo sintetico quadro, quali le conseguenze economiche? Vari sono gli aspetti a cui guardare. Ne analizzeremo tre: la riallocazione delle risorse produttive all'interno dell'Unione allargata, le conseguenze per il bilancio dell'Unione ed il funzionamento dell'apparato di regolamentazione collegato col Mercato Unico.
La riallocazione delle risorse produttive avviene attraverso vari canali. Due conseguenze tipiche di un processo di integrazione economica sono il mutamento dei flussi di esportazione e di quelli di investimento diretto all'estero (IDE). A proposito di questi aspetti non si attendono forti cambiamenti indotti dalle decisioni del dicembre scorso. Infatti, fin dai primi anni '90 i Paesi entranti hanno libero accesso al mercato dell'Unione Europea grazie agli accordi di libero scambio che hanno eliminato i dazi e le restrizioni quantitative sulle importazioni di beni (con la solita eccezione agricola). Su questo fronte, quello che accadrà nel maggio 2004 sarà l'entrata di questi Paesi nel Mercato Unico e la conseguente progressiva eliminazione delle restanti barriere non tariffarie all'entrata sulle merci provenienti dai nuovi aderenti. Per i Paesi già membri dell'Unione non si attendono consistenti effetti economici, almeno nel breve periodo. Sia per le esportazioni che per gli investimenti diretti all'estero i grandi cambiamenti sono già avvenuti. Per quanto riguarda l'Italia, la seconda metà degli anni '90 è stata caratterizzata da una caduta delle quote di mercato all'esportazione in questi Paesi. Sul fronte degli investimenti diretti all'estero l'Italia svolge in questi Paesi, come già nel resto del mondo, un ruolo secondario: nel 1999 la quota italiana di IDE sul totale UE verso questi Paesi era pari al 3,8%, contro il 39,2% della Germania, il 14,8% dell'Olanda ed il 12% della Francia. In ogni caso, per l'Italia, i Paesi dell'Europa Orientale costituiscono una delle principali mete per l'internazionalizzazione delle nostre imprese (si veda tabella sotto). La presenza italiana (sia come IDE che come outsourcing) è importante principalmente in Romania ed in Bulgaria, Paesi ancora in fase di negoziazione dell'entrata.
Un'altra dimensione della riallocazione produttiva riguarda le migrazioni. Questo è uno dei temi più dibattuti sull'allargamento per via della forte differenza di reddito pro-capite e della vicinanza geografica. Le stime fatte dagli economisti variano molto, ma tutte convergono sull'indicazione che gran parte dei flussi migratori interesserà Austria, Germania, ed, in minor misura, i Paesi scandinavi. Come fronteggiare questi cambiamenti? La prima misura che sembra sarà adottata è l'introduzione della libera circolazione delle persone per i Paesi nuovi aderenti sulla base di un periodo di transizione definito chiaramente in anticipo (CEPR 2002). Altre misure suggerite sono il rafforzamento dei sistemi di protezione sociale di questi Paesi per evitare l'attrazione di forza lavoro ad alta probabilità di disoccupazione.
Per quanto riguarda il bilancio comunitario il dibattito è concentrato sul settore agricolo e sui fondi per le regioni più arretrate. Attualmente il bilancio è pari a poco più dell'1% del PIL dell'Unione ed è ripartito per quasi il 50% a favore del settore agricolo e per un altro 35% a favore dei trasferimenti alle regioni arretrate. Questi ultimi si suddividono tra fondi destinati ai governi nazionali (Fondi di Coesione) e fondi destinati agli individui (Fondi Strutturali). L'obiettivo è di evitare che il processo d'allargamento metta troppa pressione sugli attuali membri dell'Unione che dovranno finanziare i Paesi entranti attraverso la Politica Agricola Comune (PAC) (si pensi alla Polonia col suo enorme settore agricolo) ed attraverso i fondi strutturali. Un altro problema collegato alla PAC è che l'allargamento dell'Unione rende questa mal concepita politica ancora più insostenibile alla luce degli impegni di liberalizzazione presi dall'Unione in sede di Organizzazione Mondiale del Commercio.
Un aspetto più trascurato nel dibattito corrente riguarda l'effetto che i nuovi entranti avranno sul funzionamento del Mercato Unico. Quest'ultimo si basa su alcune politiche di armonizzazione dettate da Bruxelles e sul principio di mutuo riconoscimento degli standard e delle regolamentazioni tra Paesi membri dell'Unione. Tra i 15 Paesi dell'Unione Europea rimangono ancora settori in cui il completamento del Mercato Unico deve attuarsi. Data questa situazione è ragionevole attendersi che l'entrata dei nuovi Paesi nell'Unione possa contribuire a complicare ulteriormente il processo dei completamento.

Partecipazioni italiane all'estero per area geografica dell'impresa partecipata
Aree
Imprese estere a partecipazione italiana al 1.1.
1988
1990
1992
1994
1996
1998
2000
Unione Europea
405
538
700
813
850
867
965
Europa Centro-Orientale
6
19
97
248
337
429
515
Altri paesi europei
39
52
66
89
87
87
108
Africa settentrionale
32
36
42
48
62
72
88
Altri paesi africani
41
40
38
36
37
33
47
America settentrionale
130
154
174
181
183
197
232
America centrale e meridionale
136
164
172
166
210
223
286
Medio Oriente
7
7
11
12
12
14
16
Asia centrale
10
14
23
33
39
56
71
Asia orientale
29
42
60
72
116
178
221
Oceania
8
9
11
11
17
17
23
Totale
843
1.075
1.394
1.709
1.950
2.173
2.572

02/20/2003

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