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Sconfiggere il pessimismo degli economisti

Le incerte prospettive economiche per il 2003, tra debolezze intrinseche dei paesi industrializzati e venti di guerra. Un segnale incoraggiante: la ripresa della new economy, che potrebbe di nuovo trainare la Borsa.

Mestiere davvero difficile quello del previsore. Destinato a passare sotto silenzio quando le valutazioni espresse si dimostrano giuste, vilipeso, con facilità e soddisfazione, quando esse si dimostrano, come spesso accade, sbagliate.
Nei fatti, egli è costretto ad esercitare delle capacità di mediazione che stanno tra il futuribile ed il concretamente realizzabile disegnando scenari in cui gli operatori si possano riconoscere, contribuendo così, con i loro comportamenti a far sì che essi divengano realtà concreta. Ed è proprio qui, nell’analisi dei comportamenti e di quelli che Keynes chiamava animal spirits, che si gioca gran parte delle possibilità di cogliere nel segno le tendenze. E' esattamente da qui che occorre partire, oggi come non mai, per comprendere ciò che sta avvenendo.
L’Italia, ma come il nostro paese anche altri nostri partner europei, sta attraversando un momento di forte "spaesamento". Un momento in cui, prima ancora che le variabili economiche, sono entrate in crisi alcune certezze di fondo che regolano i comportamenti degli operatori ed i recenti venti di guerra non contribuiscono certo a migliorare lo scenario di riferimento.
Dal lato del consumo privato i segni più evidenti di queste tendenze si colgono nelle analisi del clima di fiducia delle famiglie, che attualmente è sceso a livelli tra i più bassi registrati a partire dalla metà degli anni '90. Un fenomeno in parte spiegabile con motivazioni tecniche legate all’effetto change over (il passaggio dalla vecchia lira all’euro), che sembra essere più accentuato almeno nella percezione dei consumatori italiani che non negli altri paesi dell’area europea.
Su questo versante ha sicuramente giocato un ruolo anche il calo delle quotazioni di Borsa, che tra il secondo trimestre del 2002 ed il corrispondente periodo del 2001 ha comportato per le famiglie italiane la perdita di un terzo del loro portafoglio azionario. Nonostante la ricomposizione del portafoglio a favore dei titoli di Stato, è quindi probabile che le forti perdite registrate dalle famiglie sugli investimenti in titoli azionari contribuiscano in qualche modo a spiegare la debolezza dei consumi. Ma vicino a spiegazioni tecniche hanno via via acquistato sempre più peso spiegazioni "emozionali", attribuibili alla cappa di incertezza, e l’esplosione del caso FIAT è la punta più elevata dell’iceberg, che condiziona le decisioni di spesa e rende molto più cauti nelle prospettive di spesa. Ed è soprattutto su questa componente, che bisogna agire per rimettere in moto i meccanismi della ripresa.
Perché qualche margine per l’inversione del ciclo si è manifestato a fasi alterne nello scenario internazionale, ma bisogna innanzitutto poterci e volerci credere.
Gli occhi di tutti sono oggi puntati sugli Stati Uniti, che sono, lo piaccia a o meno, in questo momento l’unica locomotiva in grado di trainare il treno dello sviluppo, considerate le basse performance della Germania e del Giappone.
In particolare si guarda con interesse al manifestarsi di alcuni segnali confortanti, anche se a fasi alterne, nell’indice dell’attività manifatturiera, alle attese collegate agli effetti del piano di sostegno all’economia varato da Bush nei primi giorni di quest’anno (una manovra da 600 miliardi di dollari) ed alle prime indicazioni di ripresa degli investimenti e della Borsa, che sono tornati a crescere grazie agli incrementi nei settori delle telecomunicazioni e dell’high-tech. Se, come gli analisti prevedono, la ripresa partirà proprio da questi settori ne potrà beneficiare anche l’area europea.
Tuttavia l’Italia dovrà attendere più degli altri perché su di essa pesa la debolezza strutturale del nostro paese nelle produzioni ad elevata tecnologia. Nel 2003 ci potremo quindi aspettare sì un riavvio del ciclo, ma lento e posticipato nel tempo.
Dovremo contare soprattutto sulle nostre forze e sui punti di miglioramento del sistema-paese per renderci più competitivi in un contesto in cui bisognerà navigare a vista ancora per qualche trimestre. Qualche margine per il miglioramento produttivo, quindi, esiste e gli imprenditori, almeno quelli che hanno saputo innovare nel recente passato nonostante le incertezze ed i continui cambi di orizzonte degli ultimi mesi, conservano pur sempre un margine di fiducia nel futuro.
E’ la voglia di continuare ad investire, è la voglia di recuperare quelle quote di mercato mondiale ed europee che negli ultimi anni hanno subito una lenta erosione, che deve guidare le scelte di coloro che hanno deciso di credere ancora nel futuro, sconfiggendo il facile pessimismo degli economisti.
E d’altronde l’imprenditore non ragiona in termini congiunturali, ma in termini strategici quando affronta decisioni di investimento. Per questo è particolarmente importante, nel momento congiunturale attuale, avere degli "affidamenti" da parte del sistema per poter abbassare il rischio di investire.
In questo senso, ora più che mai sono necessarie riforme economiche strutturali, che pongano le condizioni per una rinnovata campagna di crescita. Ciò a maggior ragione alla vigilia di quella importante rivoluzione che riguarderà l’accesso al credito che si nasconde dietro il nome di "Basilea 2". Non si può ignorare che l'introduzione delle nuove regole per la valutazione del rischio da parte delle banche e la conseguente adozione di forme di rating interno potrebbe giocare a sfavore del finanziamento delle piccole e medie imprese. Occorrerà probabilmente mediare tra la rigidità di sistemi di valutazione del rischio di credito che tengano conto solo di informazioni parametrizzabili e standardizzate ed il patrimonio informativo del banchiere locale legato ad un lunga consuetudine di rapporto con le PMI, di cui spesso segue ed indirizza direttamente lo sviluppo finanziario.
La crescita del nostro sistema ha bisogno dell’uno (la razionalità delle tecniche di gestione), ma non può prescindere dall’altro (la valutazione ragionata alla luce delle singole situazioni). E’ questa flessibilità che ha permesso all’Italia di svilupparsi, nonostante tutto. E’ una flessibilità che andrebbe preservata, soprattutto in tempi incerti come quelli che ci attendono.

01/16/2003

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