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Orgoglio manifatturiero

In un manifesto il Club dei 15 ha tracciato le linee guida su cui si gioca il futuro competitivo del Paese. Partendo da un presupposto: l'Italia rimarrà una potenza economica solo se potrà contare su un'industria forte e vitale. Come quella del Quarto Capitalismo, fotografata da uno studio del Laboratorio Confindustria-Mediobanca presentato in un convegno a Prato.

Alberto Ribolla
Riassunto in uno striscione, in stile tifoseria calcistica, il messaggio sarebbe risuonato così: "Orgoglio manifatturiero". Quello andato in scena a Prato e riportato al centro dell'opinione pubblica nazionale da un convegno organizzato da Confindustria, Unione Industriale Pratese e il Club dei 15, il raggruppamento formato dalle associazioni industriali territoriali delle province dove maggiore è l'incidenza del manifatturiero sul Pil locale. Insieme per rivendicare un ruolo centrale nell'economia nazionale. Per smentire le cassandre che ancora oggi parlano di un declino industriale del Paese. Senza tenere conto dei numeri. Che dicono come "non può esserci una crescita in Italia degli altri settori, senza un manifatturiero forte e robusto". Queste le parole, risuonate come un monito, pronunciate dal coordinatore del Club dei 15, Alberto Ribolla, ex presidente dell'Unione Industriali varesina. Alle quali hanno fatto da eco quelle del Presidente di Confindustria, Luca Cordero di Montezemolo: "L'Italia è stata, è, e sarà una potenza economica solo con un'industria forte e vitale".
Non degli slogan basati semplicemente sullo spirito di appartenenza, ma delle conclusioni tratte dopo la presentazione di uno studio svolto dal Laboratorio Confindustria-Mediobanca. A parlare sono le cifre delle performance messe a segno, nel decennio 1997-2006, da quello che è stato ribattezzato il Quarto Capitalismo. Imprese manifatturiere medie, fino a 500 dipendenti, o medio grandi, con un fatturato che non supera i 2 miliardi di euro. Le cosiddette multinazionali tascabili che, nel fatturato dell'ultimo decennio, sono cresciute ad un ritmo medio annuo del 5%, contro il 3% dei grandi gruppi. Un successo che ha avuto un riflesso anche sul valore aggiunto, cresciuto annualmente tra il 2,6% e il 3,7%, mentre le grandi hanno registrato livelli invariati. Ed il passo è stato più lungo, la marcia più sostenuta, anche sul fronte delle esportazioni. Del 6% il balzo in avanti messo a segno ogni anno dal Quarto Capitalismo, quando le imprese più strutturate si sono fermate a un 4%.
Carta canta, premiando quello che lo studio ha definito i vantaggi competitivi di un sistema d'impresa basato "sulle competenze disseminate sui territori, nelle atmosfere industriali delle aree distrettuali e di media impresa". Un modello tutto italiano. Vincente.
Il manifatturiero si è guardato allo specchio, e mentre i più parlano di un'inevitabile terziarizzazione del Paese, l'immagine riflessa era invece quella di un settore che, ha spiegato Ribolla, "ha portato con sé sviluppo e crescita del benessere sociale ed economico". Il quale dipende ancora in gran parte dall'industria: "Il manifatturiero rimane la grande vocazione dell'Italia.
È dal suo radicamento nei territori e dalla sua competitività che prendono vita i servizi che gli sono strumentali e tutte le altre attività del terziario, contribuendo alla diffusione del benessere". Sul punto il coordinatore del Club dei 15 ha voluto essere chiaro: "Il manifatturiero è il nostro futuro!". Il punto esclamativo non è casuale, nel suo intervento, anzi, Ribolla lo sottolinea dicendo che "una semplice affermazione, ormai, non basta più". Bisogna declamare il concetto. Con parole, punteggiatura e un manifesto, il "Manifesto del manifatturiero".
Al di là dei numeri, al di là della fotografia scattata sulla capacità dell'industria di creare ricchezza, è questo il documento più importante presentato a Prato. Otto punti, affissi sul portone della competitività, sui quali si giocano le sorti del manifatturiero e con esso dell'intero sistema economico. A partire dall'apertura al mondo, perché, ha spiegato Ribolla, "non vale più la competizione di prossimità". E poi, intuizione dei bisogni ("devi continuamente anticipare il tuo mercato"), visione del nuovo ("devi saperti muovere in uno scenario che innova"), capacità ("devi sviluppare il tuo saper fare"), reattività ("devi sapere che il tempo è variabile competitiva"), efficienza ("è la prima qualità per esserci, altrimenti scompari dal mercato"), sinergia ("con quello che c'è"), accessibilità ai capitali ("per poter afferrare il futuro"). Firmato, Club dei 15. Che con questo manifesto ha tracciato le basi concettuali di un sistema di lavoro portato avanti quotidianamente e nei fatti dalle medie imprese del Paese. Con un obiettivo: riportare al centro dell'attenzione quelle che sono le esigenze del manifatturiero.
In questo caso sguardi e parole sono rivolti alla politica. "Alla quale - ha tenuto a precisare Ribolla - non facciamo una lista della spesa". Semmai il concetto è che il manifesto per il manifatturiero del futuro deve basarsi "su una rinnovata alleanza tra impresa e sistema politico e sociale". Quello che serve, è stato il messaggio, "è un piano strategico per il Paese. Non per applicare le regole dell'impresa a ciò che impresa non è, ma per darsi un modello di sviluppo. In momenti di cambiamento epocale, come quello che stiamo vivendo, non si può procedere navigando a vista". Occorre una bussola, dove il punto di riferimento non può che essere il ruolo centrale che ancora oggi il manifatturiero riveste nell'economia italiana. Da qui l'appello alla classe dirigente "di aprirsi al nuovo, di maturare una visione del nuovo, di reagire con velocità, di organizzarsi".
È questo ciò che serve al Quarto Capitalismo. Creatosi, come una selezione naturale darwiniana, per evoluzione. A cui il sistema produttivo italiano è approdato dopo il primo capitalismo di fordista memoria, dopo il capitalismo di Stato del dopoguerra, dopo quello basato sui distretti. Fino al modello vincente delle medie e medio-grandi imprese.

01/18/2008

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