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e-commerce: per molti ma non per tutti

L'e-commerce in Italia: tra economia e costume, tra bilanci e prospettive. E i consigli per non cadere "nella rete”.


C'è chi dimostra un entusiasmo contagioso e in internet acquista dal vinile introvabile alle specialità alimentari. Chi vorrebbe tanto farlo, ma ha ancora una connessione tartaruga - se ce l'ha - che gli rende impossibile la navigazione. C'è chi non si fida assolutamente, di solito uno zoccolo duro di over 50/60, convinto che i siti che vendono on line siano imbrogli legalizzati.
C'è poi la controparte, quella dei venditori: divisi in pure player, nati esclusivamente per il web, imprese che hanno puntato in maniera efficace sul canale on line ma che hanno alle spalle una realtà off line già affermata, e, infine, imprese tradizionali (commerciali o "produttrici” di beni o di servizi) che hanno scelto di destinare al commercio elettronico risorse ridotte, più per senso del dovere che per reale convinzione.
Una realtà estremamente complessa, quella del commercio elettronico, in rapida evoluzione sia per quanto riguarda i numeri (numeri di ordini e somma totale delle transazioni, due variabili non necessariamente correlate), sia per quanto riguarda le tendenze.
Negli ultimi anni, prenotare un viaggio on line su eDreams o Lastminute è diventato un'abitudine comune, "girare” per saldi su Yoox o Glamonweb o acquistare "stramberie” su Dmail il massimo del trendy, comprare un libro su Bol perfettamente normale. Senza contare la determinante diffusione di quel paradiso dei naviganti che è e-Bay. La casa d'aste on line più famosa al mondo, con oltre 200 milioni di utenti registrati, è oggi una sorta di centro commerciale virtuale, dove alle vendite da parte dei privati si accostano sempre più le iniziative delle piccole e medie imprese. Per chi ancora non lo conoscesse, un dato per tutti: tra il 2005 e il 2006 le transazioni italiane sono cresciute all'incirca dell'80%.
Nonostante questo sviluppo, che ha reso l'e-commerce una quotidiana abitudine per molti, i margini di miglioramento per le aziende che si lanciano sul web, ci sono. Mentre fotografiamo la situazione di oggi, nel mondo nascono nuove iniziative, in Italia un po' meno. Qual è dunque il futuro dei nostri acquirenti? Come si muoveranno le imprese nazionali? Difficile prevederlo, ma on line - com'è giusto che sia - si scatenano le analisi, le previsioni, i consigli su siti di enti specializzati, ma anche su forum privati. Dando l'idea di un fenomeno economico e di costume, su cui imprese e commercianti dovranno presto riflettere, se non l'hanno già fatto.

L'e-commerce dà i numeri
Una interessantissima ricerca sull'e-commerce in Italia nel 2006, realizzata da Netcomm e dal Politecnico di Milano (scaricabile on line, ovviamente) offre alcuni spunti di riflessione. I dati si commentano da soli: con un giro d'affari di oltre 4 miliardi di euro e un incremento del 45% circa sul 2005, il fenomeno del commercio on line B2C conferma, per il sesto anno consecutivo, una crescita superiore al 40%. In termini di penetrazione, sul totale del valore dei beni e servizi acquistati dai consumatori finali, l'e-commerce rappresenta, però, ancora meno del'1%. Un dato ancora piuttosto lontano da quello USA e del resto d'Europa.
Se, tuttavia, si concentra l'attenzione su alcune categorie merceologiche (in primis, il turismo, ma anche l'elettronica di consumo) la percentuale sale di diversi punti.
Rispetto all'anno precedente aumenta il numero di ordini, ma diminuisce il valore medio dei singoli acquisti, il che potrebbe giustificarsi con un maggiore interesse da parte del consumatore, che contemporaneamente diventa sempre più price sensitive. In breve, si compra di più, ma si spende meno.
La modalità di pagamento più diffusa è la carta di credito, anche prepagata, specialmente per quanto riguarda i servizi, (utilizzata per circa il 70% degli acquisti), seguita da Paypal (soprattutto grazie a eBay), bonifico e contrassegno. Contro ogni previsione dei diffidenti!
La ricerca mette in luce la presenza nel mercato nazionale di una crescita a due velocità: quella dei grandi operatori, una ventina di leader, che rappresentano il 75% dell'e-commerce italiano, e quella dei piccoli, dove per grandi e piccoli non s'intende la dimensione aziendale, ma la portata della realtà on line. A questo proposito si evidenzia, a fronte dei vantaggi ormai acquisiti dai top player (notorietà, affidabilità, qualità percepita, know-how specifico), una mancanza di idee originali da parte del resto del mercato. La necessità sembra dunque quella di individuare iniziative nuove: per far questo occorre conoscere le dinamiche, credere nelle possibilità del web e, di conseguenza, investire.
Un altro dato interessante, e probabilmente inatteso a chi guarda con distacco questo fenomeno, è la relativamente bassa propensione all'export delle nostre imprese (comunque in crescita rispetto al 2005, con un tasso quasi doppio rispetto all'e-commerce B2C nazionale). In epoca di internazionalizzazione, saremmo portati a vedere internet come strumento ideale per promuovere il made in Italy all'estero: questo, però, concretamente si scontra con la generale scarsa sensibilità al mezzo da parte delle grandi imprese, come le griffe di alta moda o la grande distribuzione, salvo rare eccezioni. E, inoltre, bisogna fare i conti con le problematiche di costo di trasporto merci. Secondo l'Osservatorio nazionale sull'E-commerce, l'80% degli acquisti europei avviene su siti che servono esclusivamente mercati nazionali, con sistemi logistici dipendenti dagli operatori e dalle infrastrutture presenti sul territorio. Uno scoglio ancora da superare.
D'altro canto, questo terreno ancora da battere offre le maggiori potenzialità di sviluppo, come dimostra l'esperienza di Yoox, sito cult dell'abbigliamento, che ha aumentato le vendite soprattutto affrontando mercati extraeuropei, come Usa e Giappone.

All'estero sono più "maturi”
Confronto al nostro, il mercato americano è più stabilizzato, con una crescita del 19% rispetto al 2005. Anche oltreoceano turismo e informatica hanno la fetta maggiore. Hanno un peso importante, però, due settori da noi poco rilevanti: quello automobilistico e quello dei prodotti per la casa, forse spinto da un'attenzione più spiccata per l'arredo d'interni. Per quanto riguarda le forme di pagamento, vincenti sono le carte di credito, le debit card e PayPal.
Nel resto dell'Europa occidentale, l'e-commerce cresce velocemente (+30% sul 2005), ma meno dell'anno precedente. A farla da padrone è sempre il turismo, seguito però dall'abbigliamento (con un tasso di crescita del 45% circa), il settore più in espansione insieme al grocery. Il mercato più rilevante è quello britannico, seguito da quello tedesco e da quello francese. La forma di pagamento più gettonata è la carta di credito, ma rispetto agli USA, tengono, come da noi, le formule tradizionali off line di bonifico e pagamento in contrassegno.

Pronti, partenza, via. O no?
In questo quadro di complessivo dinamismo, si inserisce un problema tecnologico: l'e-commerce non può prescindere dal livello di informatizzazione di imprese e privati. Si tratta di problemi banalissimi di connessione, per quanto riguarda gli acquirenti, ma anche di sicurezza o di capacità tecnologica di supportare i sistemi di vendita per le aziende. Secondo l'Istat (dati Eurostat), le famiglie italiane sarebbero in ritardo rispetto alla UE dei 25 per internet in casa: il nostro paese si colloca al 40% rispetto alla media europea del 52%, classificandosi solo al 15esimo posto. I principali limiti delle nostre case sono l'assenza di pc (53,9%) e la mancanza di accesso alla rete dalle abitazioni (64,4%). Tuttavia, al di là della tecnologia e dei suoi costi - problemi che in prospettiva andranno ad attenuarsi anche grazie all'introduzione del WiMAX, wireless a banda larga - ci sono motivazioni di natura socioculturale. C'è chi non naviga in rete per disinteresse (39,6%), incapacità (31,9%) ma la maggior parte delle famiglie, afferma l'Istat, "non percepisce l'utilità di questo strumento o non si ritiene in grado di utilizzarlo".
Per quanto riguarda le imprese, sempre secondo i dati 2005 dell'istituto di statistica, la situazione non è migliore. Le realtà italiane non amerebbero il commercio on line. Il nostro Paese è, infatti, al penultimo posto sia per gli acquisti, sia per le vendite tramite internet all'interno dell'UE. Nonostante questo, il livello di utilizzo della rete è pari al 93%, poco al di sotto della media europea pari al 94%. Per quanto riguarda le tecnologie a banda larga, nonostante gli sforzi in questi ultimi anni, l'Italia è in ritardo rispetto alla media europea. Infine, le nostre imprese sarebbero più portate ad acquistare che a vendere on line.


L'utente di profilo

Paese di navigatori... Sono più gli uomini (24,8% contro il 15,4% delle donne) a fare shopping on line: giovani fra i 25 e 34 anni (27,3%), di buona cultura, vivono nel centro nord rispetto al sud (42,6% contro 21%). Le donne acquistano più frequentemente viaggi e libri, mentre gli uomini film e musica, prodotti tecnologici, oltre alle ricariche telefoniche.

02/23/2007

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