Varesefocus.
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
Varesefocus

 
 

Il volo del calabrone

Un insetto che riesce a volare a dispetto delle leggi dell'aerodinamica. Così l'economia italiana nell'anno appena chiuso. E in quello nuovo?



Chi si ricorda dell'agenda di Lisbona? Eravamo nel marzo 2000 e il Consiglio Europeo individuò un obiettivo strategico decennale - ed una strategia per attuarlo - per fa diventare l'Europa la più competitiva e dinamica economia del mondo, in grado di coniugare crescita sostenibile con più lavoro e di qualità, e con maggiore coesione sociale. Preso atto che l'economia del Continente, quella più anziana nella storia dello sviluppo e del progresso, soffriva di cronici appesantimenti, si trattava di reagire iniettando in molti settori dosi robuste di vitalità, di modernità, di flessibilità.
E' opinione comune che i paesi europei, da allora, abbiano fatto molto poco, che l'agenda di Lisbona sia rimasta sostanzialmente inattuata. Ed è anche per tale ragione che l'economia europea continua a registrare una crescita asfittica: nel 2004, secondo il Centro Studi di Confindustria, il Pil mondiale dovrebbe essere cresciuto mediamente del 4,6%, ma solo del 2% nell'area dell'Euro. Per il 2005 è già in vista una riduzione: 4,4% nel mondo e 1,6% in Europa, e c'è da aspettarsi, secondo alcuni, un ulteriore ribasso come conseguenza del possibile rallentamento dell'economia nell'area del Sud-Est Asiatico colpita dal maremoto del 26 dicembre scorso.

La decelerazione della ripresa ciclica, che è già in corso ma che si renderà maggiormente evidente nell'anno da poco iniziato, si sta mostrando più pronunciata di quanto ci si attendesse, soprattutto a causa dei rincari petroliferi. Un aumento di 10 dollari al barile ridurrebbe, si stima, la crescita globale di circa mezzo punto percentuale nell'arco di due anni. E l'azienda Italia ha pagato nel 2004 una bolletta energetica decisamente salata: 28,8 miliardi di euro, vale a dire 2,3 miliardi (il 9%) in più rispetto al 2003. Le tensioni sui prezzi petroliferi sono peraltro uno degli elementi di vulnerabilità dell'economia internazionale, alle prese anche con l'esigenza dell'equilibrio dei deficit dei paesi del continente americano e con le conseguenze della svalutazione del dollaro.
L'economia italiana, oltre a risentire inevitabilmente dei riflessi dello scenario europeo ed internazionale, deve fare i conti con i suoi specifici ritardi e ambiguità. La previsione del Centro Studi di Confindustria è che, dopo essersi ripresa dalla stagnazione, essa non riesca a crescere oltre i livelli modesti e precari del presente. Dopo aver faticosamente risollevato il capo dalla recessione degli anni 2002-2003, ha già urtato contro il soffitto basso e stretto che ne condiziona lo sviluppo. La parabola del calabrone ha per lungo tempo affascinato e confortato i commentatori delle vicende economiche italiane: questo strano insetto, che sulla base delle leggi dell'aerodinamica non dovrebbe volare, eppure vola! Oggi però il volo del calabrone dell'economia italiana urta ripetutamente contro il vetro dei suoi vincoli strutturali. Non riesce ad andare oltre lo spazio angusto che c'è tra la crescita zero degli ultimi anni e quella, modesta (tra 1,4 e 1,5%), prevista tra il 2004 e il 2006. Oltre ai fattori interni, l'economia del nostro paese sconta anche le conseguenze di fattori esterni. Insieme all'aumento del greggio, già accennato, influisce molto negativamente il cambio tra euro e dollaro. Nel febbraio dello scorso anno, quando il deprezzamento del dollaro iniziava a destare preoccupazione, si era stimato che, ove tale deprezzamento avesse raggiunto il 10% (cioè 1,10 dollari per 1 euro) il tasso di crescita nei paesi europei avrebbe lasciato per strada due punti percentuali nel triennio 2004-2006. A fine anno, il deprezzamento del dollaro era proseguito varcando la soglia di 1,35 dollari per 1 euro. E' evidente che, di fronte a una svalutazione competitiva di tale entità, le difficoltà per le nostre esportazioni sono enormi. E si tratta di difficoltà che il made in Italy incontra non solo nell'area del dollaro, ma anche altrove. In Europa, per esempio, perché le medesime difficoltà che incontra la nostra economia sono presenti anche in Francia e in Germania, solo per citare due paesi verso i quali esportiamo moltissimo e i cui destini economici si ripercuotono su di noi. Poi, occorre considerare il fronte delle importazioni: ad essere maggiormente competitivi grazie al dollaro debole non sono soltanto i prodotti e i servizi "made in USA", ma anche quelli dei paesi la cui moneta è agganciata al dollaro, Cina in testa.
Le difficoltà sono evidenti. A ottobre 2004 le esportazioni italiane dirette fuori dall'Unione Europea erano scese del 7,5% rispetto ad un anno prima, mentre le importazioni erano aumentate dell'11,4%. Il saldo era rimasto ancora positivo per 537 milioni di euro ma si trattava di meno di un quinto del saldo dell'ottobre 2003. E in provincia di Varese nei primi nove mesi del 2004 le esportazioni sono cresciute ad un tasso del 4,2%, qualcosa in meno del 6% totalizzato nell'intero 2003 rispetto al 2002. Per contro, le importazioni dei primi nove mesi dovrebbero essere cresciute del 2,9% quando invece, nel 2003, erano diminuite del 4% rispetto al 2002. Naturalmente ci si augura che i dati del consuntivo reale, quando saranno resi noti, possano rivelarsi migliori. Resta il fatto che la provincia di Varese si conferma, sì, una realtà in grado di tenere i mercati meglio di altre aeree, che invece hanno subito delle flessioni nelle esportazioni, ma con una difficoltà crescente.
Di fronte a questi andamenti, dopo che per mesi la Banca Centrale Europea e, da ultimo, anche l'Ecofin hanno tenuto una politica di non intervento con la preoccupazione di non innescare un aumento dell'inflazione in Europa, la stessa BCE e la Commissione Europea hanno fatto un passo ufficiale verso gli Stati Uniti, il Giappone e la Cina per chiedere un intervento globale che eviti l'eccessiva volatilità dei tassi di cambio.
Insieme alla manovra sul fronte valutario, che spetta all'Unione Europea, l'economia italiana necessita, per risollevare le proprie sorti, di altre misure che spettano, invece, alle nostre autorità. La legge finanziaria non sembra destinata ad imprimere quella scossa che ci si attendeva. Difficile pensare che il risparmio, limitato, sull'IRPEF - la pressione fiscale, ha dichiarato il ministro Domenico Siniscalco, scenderà dal 41,8% del 2004 al 41,2% del 2005 - potrà servire a rimettere realmente in moto i consumi. E anche la riduzione dell'IRAP - decisa non in forma generalizzata, ma solo sul costo del lavoro riguardante i lavoratori impegnati nella ricerca e i neo-assunti - vale soltanto come segnale di una inversione di tendenza. Comunque, un segnale importante, in aggiunta a quello di voler contenere la spesa pubblica imponendo finalmente dei limiti di spesa. Una direzione verso la quale occorre continuare a camminare, perché soltanto facendo risparmi, da un lato, è possibile, dall'altro, restituire risorse al sistema e rimetterlo su un percorso di crescita.
Verso tale obiettivo tende il provvedimento sulla competitività predisposto dal ministro Marzano. Un pacchetto di misure a costo zero comprendenti: semplificazione degli adempimenti per avviare un'impresa; crediti di imposta per progetti di ricerca e acquisti di brevetti; premio di concentrazione per le piccole e medie imprese che si aggregano; migliore accesso al credito da parte delle imprese minori; riqualificazione degli impianti produttivi anche sotto il profilo ambientale.
Le idee non mancano, il vero problema è la scarsità di risorse. Ecco allora che occorre fare tesoro delle esperienze straniere. Dopo un approfondito benchmarking, Confindustria ha avanzato quattro suggerimenti:

  1. Se si vogliono rilanciare gli investimenti e le esportazioni nette, occorre puntare ad una forte integrazione internazionale dei processi produttivi, come insegnano le esperienze tedesche e/o irlandesi. Non basta migliorare la competitività e cercare di esportare i prodotti. Occorre internazionalizzare i processi produttivi, insediarsi sui mercati di sbocco, attrarre investimenti diretti dall'estero.
  2. Se si vuole rilanciare la competitività e riposizionarsi strategicamente su settori e ambiti produttivi più avanzati e di qualità, occorre puntare su ricerca innovazione e tecnologie con strategie di sistema, come nel caso dei «sistemi nazionali di innovazione» della Finlandia e della Francia, con politiche industriali flessibili che mirano a creare un contesto favorevole agli investimenti (business environment) come in Svezia, con alleggerimenti del carico fiscale e degli adempimenti burocratici sulle imprese come in Germania e in Svezia, con politiche avanzate dell'education e dell'apprendimento nell'intero arco della vita (come in Svezia e Finlandia).
  3. Se si vogliono evitare le delocalizzazioni, la perdita di posti di lavoro industriale e l'emorragia di cultura industriale, occorre puntare sulla moderazione salariale, sulla flessibilità, sulle ristrutturazioni produttive, che consentono di mantenere la produttività e i costi unitari del lavoro entro limiti compatibili con la concorrenza internazionale, così come si sta facendo con il contributo delle parti sociali in Germania, in Irlanda, in Francia e in Svezia.
  4. Se si vuole infine dare una iniezione di fiducia, che stimoli gli investimenti produttivi, e tenga elevata la propensione al consumo, occorre "fare squadra" mobilitando il complesso delle forze sociali, le forze politiche, le imprese, le banche, ciascuno per la sua parte e tutti, insieme, in quanto classe dirigente del paese. Abbiamo esempi concreti di come queste strategie possano essere messe in opera e dare risultati in Svezia, Irlanda e Finlandia.

Per informazioni:

Editoriale
Focus
Economia
Inchieste
L'opinione
Territorio

Politica
Vita associativa
Formazione
Case History
Università
Storia dell'industria
Natura
Arte
Cultura
Costume
Musei
In libreria
Abbonamenti
Pubblicità
Numeri precedenti


 
Inizio pagina  
   
Copyright Varesefocus
Unione degli Industriali della Provincia di Varese
another website made in univa