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Statuto del Contribuente verso l’affondamento?

Doveva essere una conquista di civiltà per il nostro Paese. Ma un’incredibile serie di cavilli burocratici lo sta rapidamente svuotando di significato.

La gestazione era durata ben quattro anni, prima dell'approvazione parlamentare alla metà del luglio 2000.
Eppure, lo Statuto del Contribuente - che avrebbe dovuto rappresentare il primo, importante passo di un cammino destinato a cambiare radicalmente il quadro dei rapporti tra cittadini e macchina finanziaria dello Stato - ha già perso gran parte del suo rilievo e rischia di trasformarsi in un’ennesima beffa ai danni proprio dei cittadini contribuenti.
E’ bastato un emendamento inserito nel decreto legge sugli sgravi fiscali per far saltare quella soglia minima di civiltà nei rapporti tra cittadini e amministrazione finanziaria così faticosamente costruita grazie allo Statuto. Basta leggere quella che appare come una “ben particolare” premessa all’articolo 1 di questo decreto legge: “le prescrizioni di cui alla legge 27 luglio 2000, n. 212 (concernente disposizioni in materia di Statuto dei Contribuenti), in quanto incompatibili, non si applicano al contenuto del presente decreto”.
Una disposizione che, nella sostanza, stabilisce la disapplicazione dello Statuto per le nuove norme fiscali introdotte da quella stessa disposizione.
E’ vero che, nel caso in questione, si è trattato in gran parte di misure favorevoli al contribuente, ma resta l’inquietudine per una scelta che rischia di risultare un vero e proprio grimaldello capace di rendere vuoto di significato un provvedimento che avrebbe dovuto rappresentare una conquista di civiltà per il nostro Paese. E’ una scelta che può tranquillamente ripetersi. Infatti, è lo stesso Statuto a contenere una disposizione che introduce la possibilità di deroghe purché queste siano disciplinate “espressamente”.
E’ evidente che la possibilità di ripetute deroghe rischia di svuotare la portata dello Statuto.
E il ricorso alle deroghe è potenzialmente illimitato, in quanto lo Statuto è una legge ordinaria, non è una norma costituzionale. Così, se in una legge dello Stato non si vogliono rispettare i principi sanciti dallo Statuto, basta precisarlo nel testo e il risultato
(di certo poco rispettoso nei confronti dei contribuenti) è facilmente ottenuto.
E’ quanto nuovamente accaduto, infatti, con l’ultima Finanziaria, che tra le sue numerose disposizioni ha anche stabilito lo slittamento al 31 dicembre 2001
dei termini per la liquidazione e l’accertamento d'ICI che scadevano il 31 dicembre 2000:
una deroga al principio, sancito dallo Statuto, in base al quale i termini di prescrizione e di decadenza per gli accertamenti di imposta non possono essere prorogati. Una piccola cosa, in fondo, se si considera che la Finanziaria conterrebbe, secondo il quotidiano economico Italia Oggi, oltre duecento violazioni dello Statuto.
E non è tutto qui, perché anche il testo del decreto attuativo dello Statuto del Contribuente, all’esame del Parlamento, tende in molti punti ad attenuarne la portata. Qualche esempio? L’esclusione d'obbligo di allegare un precedente atto d'amministrazione finanziaria, richiamato in un atto successivo, se in quello precedente era stato a suo tempo già conosciuto o ricevuto dal contribuente.
Oppure, l’inesistenza di un richiamo esplicito alla norma dello Statuto che esclude, per il contribuente, l’obbligo di produrre documentazione già in possesso d'amministrazione o, ancora, a quella che prevede la nullità degli atti compiuti dal Fisco violando il termine di trenta giorni concessi al contribuente per spiegare le proprie ragioni dopo la contestazione di un errore formale in dichiarazione dei redditi. Emblematico è poi il caso d'interpretazione che viene data al termine di permanenza dei verificatori fiscali nella sede del contribuente: trenta giorni o sessanta per le verifiche più complesse.
L’aver fissato un termine è stato certamente un indice di civiltà giuridica, a tutela soprattutto delle attività economiche contro la tendenza a dilatare oltremodo una presenza che rischia, in diversi casi, anche quando non ci sono elementi di particolare gravità, di compromettere la normale attività di un’azienda.
La Guardia di Finanza interpreta questo termine non come soglia temporale massima di calendario tra l’inizio e la fine della verifica, ma come numero delle giornate di effettiva permanenza. Un’interpretazione che porterebbe a moltiplicare quel termine svuotandone il significato. Insomma, l’impressione è che si stia facendo largo una interpretazione minimalista dello Statuto del Contribuente. Anche da parte delle espressioni più alte della magistratura. Una recente ordinanza della Consulta ha sancito che le spese del processo tributario restano a carico del contribuente anche nel caso in cui l’amministrazione finanziaria riconosca il proprio errore e rinunci alla lite. Spesso, il contribuente ha difficoltà a spiegare in concreto le proprie ragioni. Allora il contenzioso diventa l’unica (costosa) possibilità per il contribuente d’illustrare e vedere apprezzate le proprie ragioni nel caso di rilievi, anche quelli palesemente infondati. Avviata tale fase si può verificare che l’ufficio prenda finalmente atto d'infondatezza della propria pretesa impositiva e vi rinunci ancor prima della sentenza di primo grado.
Ebbene, secondo la pronuncia della Corte Costituzionale, anche in tale ipotesi le spese sostenute dal contribuente rimangono a carico di quest’ultimo.
La Cassazione, dal canto suo, ha affermato che le norme di tutela del contribuente non hanno efficacia retroattiva: lo Statuto, insomma, dispone solo per il futuro, così che tutti i rapporti tra cittadini e Fisco già in essere alla data di entrata in vigore dello Statuto (dichiarazioni dei redditi degli anni scorsi, avvisi di accertamento già notificati, ecc.) restano scoperti.
C’è da chiedersi a questo punto se ci si trovi di fronte ad una semplice interpretazione minimalista dello Statuto del Contribuente o, piuttosto, ad un vero e proprio tentativo di affossamento.

01/18/2001

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