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Diana Bracco: l'economia ha sete di ricerca

Da alcuni anni è cresciuto l'interesse generale per il tema della ricerca ed innovazione, in particolare, per gli effetti che esso ha e, sicuramente, dovrà avere sul futuro della nostra economia. Diana Bracco, Vicepresidente di Confindustria con delega per la ricerca, l'innovazione e lo sviluppo tecnologico, parla dello stato dell'arte.

Le imprese oggi sono sempre più sottoposte alla pressione competitiva determinata dal processo di globalizzazione e dall'accelerazione del cambiamento tecnologico. E' dunque evidente - e le imprese lo sanno bene - l'esigenza di promuovere una politica più attenta alla diffusione dell'innovazione, alla formazione delle competenze, alla crescita della cultura scientifica, così da sviluppare un contesto favorevole per operare e competere con successo sui mercati mondiali.
E' quindi compito del mondo politico introdurre le riforme necessarie a rendere possibile quest'evoluzione, recuperando il ritardo scientifico e tecnologico accumulato dal nostro Paese, a partire dagli anni Settanta.
Un recupero possibile solo se saranno create le condizioni per spingere le imprese ad investire di più in quest'ambito. Le riforme di cui si sente l'esigenza, dunque, non sono solo nel campo specifico ma anche relative alle politiche fiscale, finanziaria, del lavoro e dell'istruzione.
Già da qualche anno l'Italia ha progressivamente perso quote di mercato in diversi comparti ad alta e media tecnologia. E' un indicatore, questo, che non dipende dalle congiunture economiche: quando si perdono quote di mercato vuol dire che si è persa competitività.
Sarebbe, tuttavia, un errore correlare tale situazione ad uno scarso spirito imprenditoriale. Negli ultimi anni, infatti, l'innovazione non è certamente mancata, ma è stata principalmente un'innovazione di processo, servita a controbilanciare la rigidità e l'elevato costo del lavoro, con l'aiuto, sotto quest'ultimo profilo, delle svalutazioni della Lira.
Oggi l'innovazione di processo pur necessaria non è più sufficiente; e la svalutazione non è più uno strumento disponibile. I mercati sono guidati da una domanda molto esigente, le tecnologie pervadono anche i settori tradizionali, caratterizzandone la qualità.
Diventa indispensabile puntare su forme di innovazione più strutturate, definite nel medio-lungo periodo, che prevedano, soprattutto nel caso dell'innovazione di prodotto, l'integrazione di tecnologie, a volte apparentemente lontane dai processi produttivi tradizionali. Ad esempio, l'utilizzo delle nanotecnologie nella meccanica e nel biomedicale, o dell'ottica nella metallurgia e nella lavorazione del legno.
Ciò significa che l'innovazione più formalizzata, quella generalmente più vicina alla ricerca, dovrà assumere un peso maggiore.
Tutto questo significa che per entrare nei mercati evoluti e rimanervi servono prodotti ad alto contenuto tecnologico, quelli, insomma, per i quali i costi di produzione non sono la discriminante principale.
Negli ultimi anni, gli indicatori di spesa delle imprese per la ricerca hanno rivelato un notevole incremento e costituiscono una misura, per quanto imprecisa, dell'innovazione. Senza contare il forte aumento dei progetti presentati a valere sui Fondi per il finanziamento pubblico della ricerca & innovazione, oltre all'aumento di quelli presentati da imprese italiane nell'ambito del V Programma della Ricerca Europea. Negli ultimi bandi dei progetti Craft, riservati alle piccole e medie imprese, l'Italia ha fatto la parte del leone, insieme al Regno Unito. Coerentemente è cresciuta l'occupazione di giovani ricercatori.
Questo processo ha dato i suoi risultati. In Italia, le aree di eccellenza non mancano anche nei settori a maggior contenuto tecnologico.
Quote di mercato più significative si registrano, però, in microsettori a media tecnologia, soprattutto nel campo della componentistica, della macchine specializzate e della chimica. Tuttavia, questi comparti rappresentano un numero di imprese e occupati relativamente piccolo rispetto ad altri Paesi.
Esiste dunque la possibilità di "costruire" su competenze esistenti, aumentando la dimensione media e il numero delle imprese che si impegnano in ricerca.
La situazione, quindi, della competitività tecnologica della nostra industria non è confortante, ma sta maturando una nuova consapevolezza del valore strategico dell'innovazione.
E' una trasformazione che si trova in una fase critica: la nostra economia resta debole e le imprese sono in difficoltà nel sostenere i propri piani di investimento; inoltre, le risorse nazionali destinate agli investimenti in ricerca & innovazione per il Centro-Nord sono praticamente esaurite.
Va detto che le risorse finanziarie, pur indispensabili, non sono sufficienti. E' urgente creare un "ambiente favorevole" agli investimenti in ricerca. Il che richiede: meno burocrazia, più flessibilità, infrastrutture materiali e immateriali adeguate, forti incentivazioni dell'interscambio imprese-università. La politica ha, insomma, un compito grande e urgente se davvero, come ormai tutti dicono, la ricerca è una priorità del Paese. Confindustria, da parte sua, ha formulato alcune proposte finalizzate a favorire la crescita della Ricerca & Innovazione. Per prima cosa, al fine di garantire l'individuazione di risorse aggiuntive provenienti dai privati, è stato chiesto di introdurre la possibilità di poter destinare l'"otto per mille"anche al sostegno di grandi progetti di ricerca mirati al miglioramento della qualità della vita. Può sembrare una proposta provocatoria, ma risponde alla sensibilità di gran parte della popolazione e può contribuire a rafforzare la consapevolezza della ricerca come valore sociale.
Inoltre è fondamentale il ruolo delle Fondazioni bancarie. Negli ultimi anni hanno aumentato significativamente il loro impegno nel sostenere la ricerca. Quest'impegno potrebbe ulteriormente crescere, se la ricerca scientifica divenisse settore prioritario di investimento per queste istituzioni.
Abbiamo anche proposto di lanciare uno o più fondi chiusi a capitale misto, pubblico e privato, con la partecipazione di Stato e Regioni, per sostenere progetti di nuove imprese ad alto contenuto tecnologico.
Un discorso a parte va fatto per la formazione e l'Università, elementi fondamentali per costruire un ambiente favorevole all'innovazione. In questo campo, l'Italia presenta punti di forza e debolezza che rendono urgenti interventi per invertire il processo di dispersione di risorse finanziarie ed umane. Pensiamo, ad esempio, ai "cervelli" che emigrano e a quelli che restano ma sono penalizzati da sistemi elefantiaci e burocratizzati.
E' necessario diffondere la cultura delle eccellenze e della valutazione, tramite meccanismi che premino i risultati e servano da pungolo per un maggiore impegno di ricercatori e professori. Bisogna, poi, intensificare gli interventi per facilitare il rapporto del sistema pubblico della ricerca con le imprese, al momento limitato e complicato. Per le imprese, infine, è indispensabile poter interloquire direttamente con gli atenei, ovviamente riconoscendo ai ricercatori il giusto ritorno. Questa la linea seguita con successo in altri Paesi.
Ovviamente, lo stesso vale per gli Enti Pubblici di ricerca e per questo va seguita con attenzione la riforma in corso del CNR e degli altri Enti. Fino ad ora, infatti, la ricaduta delle loro ricerche sul sistema produttivo è stata, pur con qualche lodevole eccezione, modesta.
Anche il sistema degli incentivi pubblici va migliorato al fine di assicurare maggiore efficacia, semplicità, rapidità e trasparenza nella distribuzione delle risorse. Va assicurata, poi, la complementarietà tra gli strumenti sia a livello nazionale che regionale, per evitare duplicazioni e confusioni. La validità degli strumenti fiscali è confermata dai risultati raggiunti da analoghe misure adottate in altri Paesi come Gran Bretagna e Spagna.
In questo quadro, non va dimenticata la partecipazione dei nostri centri di ricerca e delle nostre imprese al VI Programma Quadro di Ricerca Europea. Le trasformazioni I nuovi strumenti di incentivazione introdotti, con il forte richiamo ai progetti integrati e alle reti di eccellenza, impongono uno sforzo congiunto a livello Paese per sostenere tale processo.
Si rivela necessario un grande coordinamento tra il nostro Parlamento ed i parlamentari europei, e tra i nostri Ministeri e i funzionari dell'Unione. In questo, i nostri partner europei sono davvero bravi a garantire un collegamento diretto tra il livello nazionale e quello europeo a sostegno delle proprie imprese e centri di ricerca.
II prossimo semestre di presidenza italiano ci offre una grande opportunità in questo campo.
Ci auguriamo che venga colta.

03/27/2003

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