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Prove di federalismo fiscale

In provincia di Varese crescono i trasferimenti di soldi pubblici dallo Stato alle amministrazioni comunali. Ma aumentano pure i tributi locali. Che succede?

Il sasso nello stagno l'ha lanciato il Cerst, il centro di ricerca sull'economia del territorio dell'Università Cattaneo-LIUC, che ha reso nota una propria elaborazione sui dati riguardanti i cosiddetti "trasferimenti" dallo Stato ai comuni e alle amministrazioni provinciali dal 2000 al 2003. Dall'esame dei dati riguardanti il flusso di risorse economiche che, dall'erario, fa ritorno verso la periferia, risulta che negli ultimi tre anni - con l'entrata i vigore della riforma del titolo quinto della Costituzione - qualcosa si stia lentamente modificando nella redistribuzione del gettito fiscale tra le autonomie locali. Se infatti nel 2000 i comuni del nord e del centro partecipavano ai trasferimenti statali per il 55,2%, a tre anni di distanza la loro quota è salita al 57,3% mentre quelli del sud e delle isole sono passati dal 44,7% al 42,7%.
Detto così, sembra che il centro-nord ci abbia guadagnato a discapito di sud e isole. Se però si considerano i dati dei trasferimenti pro-capite - misurati cioè in rapporto alla popolazione residente - si scopre che, se tra il 2000 e il 2003 essi sono aumentati in valore assoluto da 214 a 219 euro, è anche vero che nella ripartizione tra centro-nord e sud si è passati da 185 a 196 euro per i cittadini del centro-nord e da 267 a 260 euro per il resto dell'Italia. E' vero quindi che i trasferimenti pro-capite nel centro-nord sono aumentati del 5,9% e nel sud sono diminuiti del 2,4%, ma è altrettanto vero che nel sud i trasferimenti rimangono strutturalmente più elevati. E non di poco: parliamo infatti di un +32,6 %. Il federalismo fiscale - se così si può chiamare quello che per ora è semplicemente l'avvio di un processo che dovrebbe indirizzarsi, a regime, verso una sempre minore dipendenza economica degli enti locali dallo Stato in virtù di una capacità impositiva autonoma - sembra dunque trovarsi ancora allo stadio delle semplici prove tecniche. Certo, l'inversione di tendenza è coerente con il principio secondo il quale la perequazione nella distribuzione delle risorse, tra aree più ricche e aree più povere, non dovrebbe privare più di tanto le prime dei mezzi per mantenere una dotazione di servizi adeguata alle necessità. "La verità - ha fatto notare il sindaco di Varese Aldo Fumagalli - è che il nostro era un comune sotto-dotato, cioè aveva meno degli altri". Dalle statistica risulta che il Comune di Varese nel 2000 riceveva trasferimenti statali pro-capite per 166 euro, meno della metà, ad esempio, dei 413 che riceveva Potenza e quasi un quarto dei 646 di Napoli. Nel 2003, Varese ha ricevuto pro-capite 222 euro contro i 345 di Potenza e i 611 di Napoli. "Si può dunque dire - prosegue il sindaco Fumagalli - che quest'aumento ha perequato un pochino la situazione, considerato che Varese è il comune che dà più tasse allo Stato".
L'affermazione del sindaco varesino introduce in effetti un secondo ragionamento. Quanto versa il Varesotto alle casse dello Stato e quanto ne riottiene? Sulla base degli ultimi dati disponibili nel sito Internet del ministero delle finanze, risulta che, per l'anno 1999, i 590.011 contribuenti Irpef della provincia di Varese hanno versato un'imposta netta complessiva di oltre 2 miliardi 31 milioni di euro. A questi si devono aggiungere i versamenti dell'Irpeg, l'imposta sul reddito che grava, sostanzialmente, sulle attività economiche esercitate in forma di società, ma i relativi dati non sono disponibili. Un anno dopo, nel 2000, i 141 comuni del Varesotto hanno ottenuto dallo Stato trasferimenti per meno di 123 milioni di euro, solo il 6% di quanto versato per la sola Irpef. E' d'obbligo precisare che tale quota è relativa alle spese che i comuni sostengono per la gestione ordinaria e per i piccoli investimenti. Sono ovviamente esclusi gli stanziamenti per le opere pubbliche più importanti - come ad esempio le infrastrutture di trasporto o l'edilizia ospedaliera - che, avendo rilievo sovracomunale, hanno canali di finanziamento appositi. E qui si aprirebbe un altro capitolo su cui riflettere.
Resta il fatto che, come si diceva, qualche aggiustamento nel sistema dei trasferimenti è in atto. Ci troviamo nella direzione giusta? Così non sembra - sempre secondo il Cerst - in quanto le modificazioni in atto darebbe luogo a delle situazioni anomale. Il perché è presto detto. Il modello verso il quale stiamo tendendo prevede che i comuni abbiano sempre meno contributi dallo Stato e partecipino invece sempre di più al gettito nazionale dell'Irpef. Tale partecipazione è stata nel 2002 e 2003 del 4,5 per i comuni. Nel 2004 sarà del 6,5% per i comuni e dell'1% per le province. In pratica, il principio è quello per cui le autonomie locali ottengano risorse in proporzione a quelle che si sono generate sul territorio. Di questo passo - fanno osservare i ricercatori del Cerst - può succedere che i piccoli comuni, non solo al sud, ma anche nel centro-nord, abbiano sempre più difficoltà a sopravvivere. Insomma, pare che il federalismo fiscale non possa prescindere da una attenta valutazione della peculiarità delle diverse situazioni locali. Cosa curiosa è che, nonostante questo aumento dei trasferimenti - che in provincia di Varese, seppure nella diversità tra comune e comune, è stato del 22,3% nel triennio - diversi comuni, anche proprio quelli di maggiore dimensione, abbiano previsto, nel bilancio di previsione 2004, degli aumenti, a volte sensibili, dei tributi locali. Nei due maggiori comuni della provincia, ad esempio, è stato previsto l'aumento dell'aliquota ICI sugli immobili industriali: a Varese dal 5,9% al 6,5%, a Busto Arsizio dal 4,6% al 5,6%. E altri aumenti riguardano la tassa sulla raccolta dei rifiuti, l'imposta di pubblicità, gli oneri di urbanizzazione.
Da che cosa dipende questo fenomeno? Probabilmente, dalla necessità di rientrare da un livello di indebitamento che è cresciuto negli ultimi anni in maniera preoccupante. Su un totale di 103 capoluoghi di provincia, ben 81 non risultano in grado di assicurare i servizi ai propri cittadini senza il concorso alla spesa da parte dello Stato; sono 15 quelli che risultano invece autosufficienti, mentre degli altri 7 non si dispone del dato. Qualche esempio: tra i capoluoghi dove più ampio è il divario tra spese per i servizi erogati e trasferimenti, ci sono Palermo (-531 euro pro-capite), Aosta (- 433), Napoli (-299 euro), Roma (-265). Varese se la cava con -34 euro pro-capite, Milano con -38. Tra i comuni invece virtuosi primeggia Venezia (+457) seguita da Rimini (+246), Padova (+164), Ravenna (+149). Tra i comuni del sud, Benevento (+57) e Bari (+0,38).
Il fenomeno dell'indebitamento degli enti locali è stato rilevato anche dalla Corte dei Conti che, nell'ultima relazione presentata al Parlamento, ha registrato una crescita dello stock del debito tra il 2001 e il 2002 pari al 3,6% per i comuni e al 7,7% per le province, con un peso di 29.093 milioni di euro a carico dei comuni e 5.903 milioni per le province. Sono cifre impressionanti e sarebbe davvero drammatico se, dopo le lacrime e il sangue che il Tesoro sta imponendo al paese per rientrare dal debito pubblico dello Stato, si aprissero nuove falle al livello di amministrazioni locali.
Riuscirà il federalismo fiscale, a parità di risorse disponibili, a far funzionare meglio il sistema?

03/25/2004

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