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Ai blocchi di partenza il decreto "competitività"

Sostegno alle imprese favorendo l'innovazione, rafforzando il mercato interno e spingendo sulla semplificazione amministrativa (a costo zero). Queste le linee di azione del governo nell'annunciato decreto sulla competitività, che fatica però a concretizzarsi avendo molti ostacoli, e molte lobby, da superare. Ma per la fine di marzo…

Alla fine la montagna ha partorito, per fortuna, qualcosa di più di un topolino. La vicenda del provvedimento sulla competitività rischiava di diventare una delle tante storie all'italiana in cui dopo mesi di dibattiti, polemiche, proposte e promesse ci si ritrova tristemente con poco più di un pugno di mosche. E invece il governo è riuscito a presentare una serie di misure interessanti, un passo importante nella direzione giusta, pur tenendo conto dei vincoli di bilancio, pur condizionato dai contrasti tra i ministri, pur costretto a far i salti mortali per le infinite discussioni sulle liste per le elezioni regionali.
In effetti proprio in questi primi mesi dell'anno sono emerse con sempre maggiore evidenza le difficoltà in cui è costretta a muoversi l'industria italiana. La perdita di quote di mercato nel commercio internazionale, le deludenti performance del prodotto interno lordo e della produzione industriale, l'estendersi dello stato di crisi in centinaia di imprese, hanno infatti portato drammaticamente di attualità il tema del rischio di un declino industriale a cui nessuno può assistere con rassegnazione.
L'esigenza di misure specifiche per rilanciare la competitività delle imprese era comunque ben presente fin dall'autunno scorso tanto che, in un primo tempo, i provvedimenti avrebbero dovuto essere inseriti all'interno della stessa legge finanziaria, legge che per mille ragioni ha preso poi un'altra strada. A metà dicembre tuttavia il ministro delle Attività Produttive, Antonio Marzano, garantiva al più presto possibile e sicuramente entro fine anno un apposito decreto in cui "saranno inserite la semplificazione amministrativa e burocratica e incentivi alla crescita dimensionale delle imprese". Anche questo decreto è rimasto solo un'ipotesi e lo stesso ministro Marzano annunciava nel giorno della Befana che sarebbe stato convocato a breve un incontro con le parti sociali per mettere a punto un nuovo provvedimento, ovviamente urgente. L'incontro si è svolto in realtà solo alla fine di febbraio anche perché nel frattempo la competenza sulla materia passava a Domenico Siniscalco, ministro dell'Economia, con il compito di coordinare la discussione per il varo, ovviamente con la massima urgenza, di un nuovo provvedimento a sostegno delle imprese.
E' a questo punto Siniscalco a tirare le fila degli incontri tra i ministri e le parti sociali e ad annunciare il varo di un provvedimento, ovviamente urgente, non solo sulla competitività, ma anche per inserire compiutamente l'Italia nella strategia europea che va sotto il nome di "obiettivi di Lisbona", cioè rilancio del capitale umano e della conoscenza come elementi di base per sviluppare la competitività e le imprese.
Le buone intenzioni del governo sono state sempre indubbiamente meritorie, così come meritorie sono state tutte le ipotesi, le proposte, i progetti e le analisi che si sono susseguite in questi mesi che hanno dato a lungo, tuttavia, l'impressione di aumentare solo il numero di parole, di polemiche, di promesse.
Si era partiti subito dopo l'estate a ipotizzare una forte riduzione delle imposte, in particolare dell'Irap, sulle imprese nell'ambito di quella strategia di abbassamento della pressione fiscale che il governo aveva fatto propria e difeso con forza. Il taglio fiscale è poi avvenuto nell'ambito della legge finanziaria, ma si è tuttavia realizzato quasi unicamente in favore delle imposte personali sui redditi.
Ma le preoccupazioni delle imprese sono aumentate quando, nel passare dalle parole ai fatti, uno dei provvedimenti del governo è andato nella direzione esattamente opposta rispetto alle attese: l'aumento delle tasse sui brevetti. Per fortuna, l'abolizione di questo aumento è rientrato tra le promesse all'interno del nuovo pacchetto.
Alla fine di febbraio una luce è quindi apparsa in fondo al tunnel. La presentazione da parte del governo alle parti sociali di una vasta serie di provvedimenti per facilitare la funzionalità delle imprese costituisce certo un significativo sforzo di avanzare sulla strada di una maggior concorrenza, di un migliore funzionamento del mercato.
Le norme riguardano infatti un vasto spettro di interventi: la riserva di fondi per la ricerca, la legge obiettivo per le città, una più rapida introduzione del mercato elettrico, la previdenza complementare, le semplificazioni burocratiche, la riforma degli incentivi, una (pur limitata) liberalizzazione delle professioni, il rafforzamento del sistema doganale, un sostegno al vero non profit, un miglioramento degli ammortizzatori sociali, uno snellimento delle procedure per i rimborsi dei danni, la soppressione della "nuova" Ici sui grandi impianti, la possibilità di dedurre fiscalmente le donazioni alle università e ai centri di ricerca.
Molte di queste misure sono "a costo zero", si tratta cioè di modifiche procedurali che non richiedono ulteriori spese e che non spostano gli obiettivi di bilancio. Anche queste sono un passo nella direzione giusta, un passo tuttavia che dimostra come ci sia molto da disboscare nella selva di normative, procedure e disposizioni che costituiscono spesso un aggravio di costi e di tempo per la vita delle imprese.
Vanno in questa linea le semplificazioni amministrative, così come l'uso più ampio del silenzio-assenso, dell'auto-certificazione, della firma elettronica e il potenziamento di quello "sportello unico" tanto decantato, quanto spesso istituito in modo più formale che sostanziale. Ma va in questa linea anche quella riforma del diritto fallimentare che attende da anni di essere approvata. Ora le cause di fallimento si prolungano per anni (in media dieci) e garantiscono tassi molto bassi (meno del 20%) di recupero dei crediti: il che porta a rischi più elevati per le banche e a costi maggiori per le imprese.
Ma la riforma della legge fallimentare, anche in una versione "stralcio", ha di fronte a se molti ostacoli perché viene a toccare interessi diversi, non ultimi quelli degli avvocati e delle banche. Così come molti ostacoli, e molte lobby, devono superare provvedimenti di banale semplificazione (come l'abolizione del passaggio notarile per il trasferimento di auto e moto) che hanno semplicemente il fine di allineare l'Italia alle prassi in vigore negli altri Paesi.

02/25/2005

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