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Quelle aperture offuscate

Alberto RibollaAl tema delle regole che presiedono il mercato del lavoro, così come a quello dell'internazionalizzazione, della ricerca e dell'innovazione, l'assemblea degli industriali varesini ha dedicato quest'anno particolare attenzione ritenendo che quei temi rappresentino tre importanti leve in grado, se ben azionate, di ridare smalto alle nostre imprese. Dai lavori assembleari sono emersi tanti interessanti spunti di riflessione, crediamo utili sia per gli imprenditori presenti, sia per i rappresentanti del mondo politico e delle istituzioni, chiamati a favorire un ambiente socio-economico nel quale le imprese possano dare il meglio di sé. Ne viene fornita una sintesi nelle prime pagine di questo Varesefocus.
Ma, indubbiamente, l'attesa maggiore era rivolta a ciò che avrebbe potuto dire il segretario generale della Cgil Guglielmo Epifani, essendo nota ai più la posizione del suo sindacato su una questione molto sentita, dai lavoratori e dalle imprese, come la preannunciata riforma (o abrogazione?) della legge Biagi. Ed Epifani ha detto, effettivamente, delle cose interessanti, che sono state peraltro offuscate dall'episodio del brusio su alcuni passaggi del suo intervento (né fischi, né ululati, come ha riferito certa stampa, secondo la quale lo stesso Epifani avrebbe lasciato anzitempo, ma non è stato così, l'assemblea).
A proposito della legge Biagi, Epifani ha riconosciuto che flessibilità non equivale necessariamente a precarietà e che il ricorso reiterato nel tempo ai contratti a tempo determinato si verifica non nel manifatturiero, ma in larga parte nella pubblica amministrazione e talvolta nelle aziende del para-stato. Un riconoscimento importante.
Gli imprenditori, di fronte a questo tema, non possono che ribadire le loro ragioni e cioè che la Biagi altro non ha fatto se non allineare l'ordinamento legislativo del nostro paese a quello degli altri paesi maggiormente industrializzati con i quali siamo in competizione sui mercati del mondo. E se della Biagi si fa un uso improprio da parte di alcuni settori, si intervenga per eliminare le distorsioni, senza però far mancare a chi ne fa invece un utilizzo appropriato quegli strumenti di flessibilità pensati per mettere le imprese in condizioni di parità con i competitor. Occorre cioè affrontare la questione con un approccio non ideologico, ma pragmatico, per non trasformare un provvedimento di legge utile in un feticcio pietrificato.
La precarietà, infatti, si combatte creando le condizioni per lo sviluppo. Non basterà caricare di oneri contributivi i contratti diversi da quelli a tempo indeterminato per evitare che vi si faccia ricorso. Forse, è meglio fare come in Spagna, dove si utilizza il sistema inverso: si premia chi stabilizza l'occupazione.
Ciò non significa avere privilegi, ma regole certe e moderne per poter competere ad armi pari.

06/16/2006

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