|
Pro e contro
Abbiamo domandato a sei esponenti politici della provincia di Varese, tre del Centro-destra, tre del Centro-sinistra, una valutazione sul processo legislativo di riforma dello Stato in senso federale. Si tratta di uomini politici tutti accomunati dall'impegno, presente o trascorso, nell'amministrazione di enti intermedi e locali: Marco Reguzzoni, Lega Nord, è presidente della Provincia di Varese; Giuseppe Adamoli (Margherita) è vicepresidente del Consiglio Regionale; Daniele Marantelli (Ds) è consigliere regionale; Gianluigi Farioli, consigliere regionale di Forza Italia, è presidente della Commissione Statuto del Pirellone; Graziano Maffioli, senatore Udc, è stato sindaco di un piccolo comune come Casale Litta; Claudio Brovelli è sindaco del più grande comune della provincia di Varese tra quelli a guida Centro-sinistra, quello di Somma Lombardo.
Giuseppe Adamoli: paradossalmente, questa riforma apre al centralismo dello Stato.
La riforma costituzionale oggi in discussione al Parlamento peggiora il nuovo titolo V della Costituzione modificato negli anni scorsi. Non credo proprio che i cittadini sentano il bisogno di togliere allo Stato le sue residue ma significative competenze in materia sanitaria, o quello di attribuire alle regioni dei nuovi quanto dubbi e incerti poteri nel campo della scuola e della polizia amministrativa.
Questa confusa "devolution" ottiene peraltro l'incredibile risultato di spalancare le porte all'intervento centralista dello Stato, ogniqualvolta esso lo ritenga opportuno, anche nelle materie che ora sono di competenza esclusiva della regione senza nemmeno ricorrere alla Corte Costituzionale per dirimere le controversie. E ciò per effetto della clausola d'interesse nazionale voluta da alcune forze della maggioranza per controbilanciare la devolution.
Il Senato Federale poi è un obbrobrio. Basti pensare che agli oltre duecento senatori, che saranno eletti pressapoco come adesso, si aggiungono due soli rappresentanti per ogni regione, i quali non avranno neppure diritto di voto. L'attuale conferenza Stato-Regioni al confronto è, per le Autonomie Locali, una manna. Chiamare "federale" questo Senato è un vero imbroglio.
Non c'è dubbio che nello scontro tra Alleanza Nazionale e Lega Nord sulla riforma costituzionale abbia vinto un compromesso deteriore che peserà sulle spalle dei cittadini in termini di costi aggiuntivi per le burocrazie statali e regionali. E' il prezzo che pagheremo per tenere insieme una maggioranza politica divisa ed eterogenea.
Servirebbe invece correggere e completare il titolo V della Costituzione riaffermando un forte autogoverno regionale e locale, dotato anche di propri introiti fiscali, ma riportando alle competenze dello Stato materie quali le grandi reti infrastrutturali, l'energia e le telecomunicazioni.
Claudio Brovelli: una mediazione di bassissimo profilo tra le contrapposte anime della maggioranza.
Sinceramente non penso che la strada imboccata sia quella che possa risolvere alcuni problemi di fondo. Anzi, intravedo alcuni ulteriori aspetti preoccupanti. Ad esempio in materia sanitaria - diritto fondamentale per ogni cittadino, ovunque risieda - ritengo necessario, su tutto il territorio nazionale, il consolidamento di una forte e omogenea presenza della Sanità Pubblica. La sua completa regionalizzazione, così come prevista, rischia invece di creare ulteriore diseguaglianza. Questo discorso può essere esteso ad altri comparti, come la scuola, mentre paradossalmente in questa riforma vi sono passaggi che configurano un vero e proprio diritto di veto da parte dello Stato Centrale su scelte che dovrebbero essere esclusivamente locali.
Insomma temo che, tra le contrapposte anime dell'attuale maggioranza governativa, si sia raggiunta una mediazione di bassissimo profilo, che creerà, oltre a nuovi costi burocratici, confusioni e caos istituzionali. Questo a totale scapito della necessaria efficienza e efficacia della Pubblica Amministrazione. Abbiamo bisogno di tutt'altro: di una più concreta autonomia, anche fiscale, in un contesto di solidarietà nazionale che mantenga allo Stato Centrale le competenze atte a non minare il principio di eguaglianza fra i cittadini.
Evidenzio infine, anche alla luce della vicenda Malpensa (emblematica del mancato coinvolgimento dei Comuni e di come su alcuni di loro, in nome di una presunta opportunità regionale, si siano scaricati disagi insostenibili), una preoccupazione tipicamente "da Sindaco". A nulla serve decentrare da Roma alle Regioni, se poi queste ultime ricalcano un metodo centralista nei confronti dei livelli istituzionali inferiori. In tal senso, il fatto che la Regione Lombardia, a differenza di molte altre Regioni, non abbia predisposto nemmeno la bozza di un suo rinnovato Statuto è il segno della mancata volontà politica ad affrontare il cambiamento con il necessario coinvolgimento di tutti gli attori istituzionali, Province e Comuni compresi. Anche su questo fronte erano e sono necessarie garanzie e atteggiamenti diversi.
Gianluigi Farioli: la nuova riforma, un passo decisamente avanti sul fronte della chiarezza e della responsabilità.
E' mia personale e radicata convinzione che una significativa riorganizzazione costituzionale che adegui la Repubblica Italiana alle sempre più pressanti esigenze della società moderna necessiti di un'Assemblea Costituente che, libera dalle contingenze della politica quotidiana, affronti tutti i nodi sul tappeto. E' però certo che l'iniziativa risponde ad alcune esigenze indifferibili. In particolare l'assoluta necessità di correggere, completare e incanalare in un più ordinato sistema, l'affrettata riforma della legislatura scorsa. Essa infatti risente eccessivamente delle esigenze propagandistiche che ne hanno suggerito l'approvazione a poche settimane dalle urne con solo quattro voti di maggioranza. Eccessiva è infatti la sovrapposizione ed ambiguità di competenze, la non chiara identificazione di livelli di responsabilità istituzionale. Soprattutto manca il Senato Federale in cui risolvere preventivamente i conflitti. Tutto ciò ha provocato, purtroppo, in importanti settori, confusioni, accademiche discussioni e ciò che è peggio, grave ritardo decisionale. Incontrovertibile riprova ne sono le oltre trecento cause di conflitto costituzionale aperte di fronte alla Corte.
La riforma, avanzata dal governo Berlusconi, ma che in commissione ha saputo intelligentemente far proprie molte delle proposte dei gruppi di opposizione, identifica precise competenze esclusive per le regioni, (organizzazione sanitaria, scolastica e formativa, coordinamento della sicurezza urbana), elimina pericolose sovrapposizioni, riporta allo stato centrale tematiche strategiche ed essenziali, quali l'energia e le dinamiche concorrenziali. Fa fare insomma un passo decisamente avanti sul fronte della chiarezza e della responsabilità, prevedendo tra l'altro l'eliminazione di una delle due camere, l'istituzione del Senato Federale, luogo privilegiato del confronto, dell'approfondimento e della risoluzione preventiva di ogni possibile conflitto tra i diversi livelli istituzionali, la valutazione delle istanze degli enti locali. Prevede inoltre una drastica riduzione del numero dei parlamentari. Certo, questo progetto affronta, per ora ancora in modo non definitivo, il tema del federalismo fiscale, a mio modo di vedere ineludibile per un federalismo moderno, responsabile, e per ciò stesso competitivo e solidale insieme.
Ma inizia, insieme con gli altri provvedimenti di riforma, quel processo di limitazione dell'invadente e oppressiva azione di uno Stato "mangiatutto" che Berlusconi ha così decisamente posto al centro dell'azione politica nelle settimane scorse.
Graziano Maffioli: è toccato a un ministro leghista come Calderoli rimediare ai pericoli per l'unità nazionale. Ho avuto il privilegio di vivere la riforma costituzionale facendo parte della Commissione Affari Costituzionali del Senato nonché di ascoltare le riflessioni che hanno condotto, il relatore Sen. D'Onofrio, in un percorso tutt'altro che facile per le implicazioni che ogni modifica dell'impianto della Costituzione vigente fa emergere, al di là degli slogan che vari leader politici di volta in volta lanciano per ottenere consensi. E' importante sottolineare come alcune modifiche del Titolo V, richieste anche dalle opposizioni, siano state introdotte, dopo averle concordate, nonostante il successivo voto contrario espresso dalle stesse minoranze in aula. Non si può dire che la Riforma dia vita ad un sistema federale compiuto né l'opposizione può dire che mette in pericolo l'integrità del Paese. Il testo della Cdl, è attento alle esigenze unitarie e si muove nella prospettiva di un regionalismo forte, adeguato alla realtà italiana. E' paradossale, ma bisogna riconoscere che è toccato a un ministro leghista come Calderoli rimediare ai pericoli per
l'unità nazionale del federalismo sgangherato del Titolo V dell'Ulivo. Con il recupero dell'interesse nazionale, dell'introduzione della causa di supremazia e la riattribuzione alla competenza statale di materie come i trasporti e l'energia, si sono salvaguardate le esigenze unitarie. La polizia regionale è solo amministrativa. Le norme generali sull'istruzione e la tutela della salute sono di competenza dello Stato. Il premierato forte era una convinzione della sinistra nella bicamerale D'Alema. Voglio ricordare che l'Udc è stata protagonista nel richiedere un federalismo come quello che ci avviamo ad approvare, cosi come non posso dimenticare le parole pronunciate dall'allora Ministro Bossi nel corridoio della 1° Commissione: "E' una riforma troppo importante e bisogna capire che serve una certa gradualità: ci vuole pazienza". Alla domenica a Pontida era tornato a gridare devolution, ma il Ministro Calderoli è stato un eccellente interprete del "Bossi pensiero".
Daniele Marantelli: la cultura della Lega ha sempre rappresentato l'antitesi dell'idea di un federalismo vero.Più di trent'anni fa l'attuazione delle Regioni a statuto ordinario fu un'autentica scommessa. Oggi, invece, l'ormai avvenuta territorializzazione dei diritti sociali oltre a quella delle funzioni più tradizionalmente localizzate come l'urbanistica e la pianificazione territoriale, l'agricoltura e l'artigianato apre nuove prospettive. Purtroppo, proprio nel momento in cui ci sarebbero le condizioni per una radicale riforma federalista dello Stato ci troviamo nel bel mezzo di una prolungata e pericolosa impasse di cui l'opinione pubblica non comprende ancora fino in fondo le ragioni. Dopo la riforma del titolo V della Costituzione varata dall'Ulivo, infatti, la Casa delle libertà ha approvato, il 27 maggio 2003, un disegno di legge attuativo del deputato di Forza Italia Enrico La Loggia. Ad esso, però, si è sovrapposto il disegno di legge costituzionale proposto dal ministro Bossi. Al momento, dunque, risulta molto difficile se non impossibile risolvere la questione in modo semplice e coerente. Quello che ormai è certo è che Forza Italia, Lega, Alleanza Nazionale, Udc non sono più in grado di portare avanti il tema del federalismo. E non sono disponibili a investirvi adeguate risorse come dimostra l'ultima Finanziaria che non proroga i trasferimenti statali, circa 750 milioni di euro, previsti per gli incentivi alle piccole e medie imprese. Tuttavia l'Italia continua ad avere bisogno di una incisiva riforma federalista, fondata sul principio di sussidiarietà, sull'autogoverno e la responsabilità delle autonomie territoriali, su forti legami solidaristici e non assistenziali tra gli enti federati. In fondo la cultura della Lega ha sempre rappresentato l'antitesi di questa idea di federalismo vero. La "Padania" non sarebbe altro che un piccolo Stato nazionale, per di più privo di una vera nazione: un progetto di chiusura, di autarchia, figlio della paura, della sindrome da assedio, del timore di non reggere all'urto della competizione economica internazionale.
Anche se, a dire il vero, l'attuale devolution non spacca il Paese ma solo il buon senso restituendo poteri allo Stato centrale e, questo è il nocciolo del mio profondo dissenso, rinviando ancora una volta l'obiettivo del federalismo fiscale.
Noi abbiamo una visione completamente differente: non temiamo le trasformazioni. Anzi, vogliamo governarle, cogliendo pienamente le opportunità che si presentano di fronte a noi. Siamo per l'Italia unita, contro ogni ipotesi antistorica di rottura del Paese. Ma crediamo che il miglior modo per rafforzare l'unità nazionale sia ricostruirla su basi nuove, dimostrare che il sistema è riformabile, che è possibile un reale cambiamento. Siamo convinti che il miglior antidoto al separatismo dettato da egoistici corporativismi sia il federalismo, non la retorica patriottica.
Per questo, dalla periferia, dobbiamo essere in prima linea nel rivendicare la piena attuazione delle leggi Bassanini e nel sostenere ogni possibile miglioramento del nuovo testo costituzionale: un Senato Federale; l'elezione diretta dei presidenti regionali; una ripartizione non centralista dei poteri fra Comuni e Province.
Rilanciare il federalismo significa rilanciare anche la questione settentrionale. Vicende quali la realizzazione della Pedemontana e del sistema tangenziale di Varese, ad esempio, (opere essenziali bloccate dal veto di piccoli Comuni) evidenziano i rischi di un certo campanilismo estremista. E, a proposito di coerenza con il federalismo, ci spiace constatare che, al di là delle parole, la Lombardia è una delle pochissime Regioni a non avere realizzato il nuovo Statuto.
Ha ragione il sociologo Ilvo Diamanti: non è possibile alcuna forma di federalismo se prima non impariamo a capire le nostre contraddizioni e a risolverle.
Ciò richiede, innanzi tutto, un netto cambio di mentalità delle classi dirigenti periferiche. Se non saremo capaci di fare questo salto di qualità in breve tempo l'intero sistema andrà in corto circuito e, a quel punto, il federalismo fallirà.
Non per colpa di Roma, ma perché noi tutti avremo perso la sfida più importante per il nostro futuro.
Marco Reguzzoni: il centralismo è costato e continua a costare in inefficienza, in spreco di risorse usate per l'assistenzialismo.
Nella precedente legislatura, pur con la riforma del titolo V, la Costituzione ha mantenuto la logica della delega tipica del regionalismo in cui lo Stato, di fatto, mantiene tutto nelle proprie mani. Le Regioni hanno forse qualche potere di interdizione contro l'azione del Governo, ma non hanno il minimo potere politico attivo di applicare in positivo il federalismo. Infatti, le competenze delle Regioni non sono certe, ma sono alla mercè delle decisioni della Corte Costituzionale.
E' invece necessario uscire dalle ambiguità per migliorare la Costituzione adattandola realmente e realisticamente all'Italia di oggi che non è più l'Italia di sessant'anni fa. Occorre modernizzare questo paese, così ricco di potenzialità ma limitato dal centralismo.
E' sotto gli occhi di tutti: il centralismo è costato e continua a costare in inefficienza, in spreco di risorse, usate per l'assistenzialismo e non per la crescita di quei territori che, per diverse motivazioni devono ancora essere aiutati. E' solo con la devoluzione che le Regioni cominciano ad avere competenze esclusive acquisendo un ruolo politico positivo.
La riforma che sta per essere approvata in Parlamento non è certamente risolutiva. L'auspicio è che con l'attribuzione di alcune competenze esclusive alle Regioni si vada nella direzione di un vero federalismo, che non è dividere continuamente i poteri tra 100, 1.000 organismi, ma è invece creare responsabilità certe, maggiore capacità di autogoverno, maggiori responsabilità al territorio.
Questo è il federalismo che vogliamo, il federalismo che porta innegabili vantaggi per l'economia e la competitività.
01/14/2005
|