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La ripresa passa dalla competitività

Antonio Colombo - Direttore dell'Unione Industriali della Provincia di VareseUna crescita del Prodotto Interno Lordo dello 0,3% non può che essere definita recessione. Così è per l'Italia e, con leggeri scostamenti, per alcuni paesi dell'Europa. Non è così, però, altrove. Gli USA, che dopo l'11 settembre sembravano essersi seduti, stanno in realtà camminando ad un ritmo del 3%. Il Giappone, fino a pochi mesi orsono considerato in uno stato quasi amorfo, sta registrando un buon 2,3%. Altri paesi in via di sviluppo, poi, registrano tassi di crescita tipici di questo loro momento particolare: la Cina viaggia al 7,5%, l'India al 5,9%, la Corea del Sud al 4,7%. Perfino l'Argentina (considerata al collasso) sta marciando al 4%, più del 3% del Brasile.
Effettivamente, il nostro 0,3% è poco, molto poco, tanto più se si considera che il PIL medio dell'area dell'euro è pari allo 0,8%. Nulla di eccezionale, ma pur sempre quasi tre volte noi. E' come se il nostro paese fosse ingessato. Anche i tentativi, da parte del governo, di dare impulso all'economia si scontrano con vincoli che è sempre più difficile rimuovere. Difficile avviare i cantieri delle cosiddette “grandi opere”, uno dei cavalli di battaglia del governo, perché le risorse economiche dello Stato scarseggiano. Difficile abbassare le imposte, perché dobbiamo ripianare l'enorme stock di debito pubblico cumulato nei decenni trascorsi. Difficile diminuire, attraverso la riduzione degli oneri contributivi, il costo del lavoro e far quindi recuperare competitività alle imprese, perché il sistema previdenziale, così come è strutturato, andrebbe in tilt. Siamo in tal modo ancora una volta di fronte ad una Finanziaria più di sacrifici che di sviluppo. Ineluttabile? In parte sì, ma solo in parte. Qualche spazio di manovra potrebbe esserci, se si avesse il coraggio politico di iniziare a fare dei tagli nella spesa pubblica. O, meglio, a riqualificarla, diminuendo la spesa corrente e travasando risorse in quella per investimenti. Non si vedono però segnali decisi in questa direzione. Non si vedono da decenni. Le preoccupazioni elettorali esercitano un condizionamento troppo forte, su qualunque governo.
Nel frattempo, si è manifestato un segnale oltremodo preoccupante: l'inversione del saldo della bilancia commerciale, che per la prima volta dopo dieci anni, è tornato ad essere negativo. E' la cartina al tornasole di una perdita di competitività che non possiamo assolutamente permetterci di lasciar scivolare perché, lo sappiamo bene, non abbiamo più, come un tempo, la possibilità di recuperare artificiosamente attraverso la svalutazione competitiva della moneta.
La competitività è il grande nodo da sciogliere. Un nodo che il dibattito estivo sul protezionismo - cui va, peraltro, il merito di aver sollevato la questione della massiccia concorrenza sleale dovuta all'importazione di prodotti contraffatti - ha rischiato di offuscare, inducendo a pensare che i problemi del nostro sistema economico siano di ordine esterno e non anche interno. Per far recuperare competitività alle imprese, occorre sgravarle di quegli oneri che da decenni vengono definiti impropri, ma che sono ancora lì. Per sostenere l'economia, occorre abbassare le imposte e aumentare così la capacità di spesa dei cittadini. Per fare l'uno e l'altro, non c'è altra via che diminuire il drenaggio di risorse da parte del settore pubblico. E ciò richiede delle scelte difficili e coraggiose.

Antonio Colombo

09/25/2003

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