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L'Enel in Francia? Non, merci

L'interessamento di Enel per la Compagnie di Suez ha scatenato reazioni impreviste: dall'Italia accuse di protezionismo, dalla Francia la reazione stizzita di Chirac e da Bruxelles la disponibilità a mediare.

E' diventato subito un braccio di ferro pesantissimo tra Italia e Francia la questione della conquista della “Compagnie de Suez”, storica azienda di servizi energetici europea nata nell'Ottocento, il cui nome deriva da una delle sue prime e più importanti attività: la realizzazione del canale di Suez. All'acquisto del colosso del gas e dell'elettricità francese è infatti interessata Enel, tanto da aver proposto il lancio di un'Opa, un'offerta pubblica di acquisto, per rastrellare sul mercato quote sufficienti per averne il controllo. Una operazione impegnativa per l'azienda elettrica italiana, che per acquistarla dovrebbe mettere sul piatto 50 milioni di euro: anche se, pur di mandarla in porto, si sono offerte a partecipare per garantire la copertura finanziaria tutte le principali banche italiane.
La proposta però è stata congelata ancor prima di essere formulata ufficialmente: e la causa è stata il proclama del primo ministro Francese Dominique de Villepin, che ha dato ufficialmente la "benedizione" del governo alla annunciata fusione tra Suez e Gaz de France. Un'operazione decisa proprio per impedire l'ingresso di Enel nel capitale sociale di Suez.
Un matrimonio nel più perfetto stile nazionalistico, alla "moglie e buoi dei paesi tuoi", molto poco in linea invece con le tendenze della UE sui settori chiave della produzione continentale come l'energia.
Un matrimonio ovviamente criticato dall'Italia, che vuole ancora avere il diritto di giocare una partita europea. Ma visto con preoccupazione anche in Belgio, dove la fusione vedrebbe sancire il definitivo monopolio francese sulla azienda elettrica belga, Electrabel, già di fatto controllata da Suez che ne è azionista di maggioranza fin dal 2003, e che con la fusione acquisirebbe il 90% della società. In una situazione simile, la questione è diventata ben presto politica, investendo i rispettivi governi. Il ministro Tremonti che ha fatto spola tra Roma e Bruxelles per perorare la causa della libera concorrenza nel settore energetico presso il commissario alla Concorrenza Neelie Kroes, che da parte sua ha mostrato nei fatti la sua disponibilità a mediare tra l'Italia e la Francia per trovare una soluzione che riduca le distanze tra le due posizioni. Mentre Inghilterra e Germania (che con la E.on ha subìto analogo trattamento dalla spagnola Endesa) hanno preso posizione a favore di una maggiore liberalizzazione del mercato, in linea con i pareri della Commissione Europea.
Ma per Parigi, fino ad ora, la questione è una sola. Per il ministro dell'economia Thierry Breton infatti esiste solo una proposta concreta per Suez: quella di Gaz de France. E l'Electrabel, società a cui Enel potrebbe essere interessata se il progetto di Opa non funzionasse, non è in vendita.
E così, dopo che i paesi europei sono stati capaci di realizzare il mercato unico in una Europa che non aveva ancora la sua moneta, l'era della moneta unica sembra vedere il ritorno alle spinte protezionistiche. Un'accusa, peraltro, che Chirac ha rimandato al mittente, spiegando che “Nessuno può affermare che la Francia è protezionista senza sentirsi rispondere di andare prima a scuola”: l'ultimo schiaffo francese prima delle decisioni finali.

Reazioni in Francia su Enel-Suez
Jean-Jacques Bozonnet corrispondente in Italia di "Le Monde"La stampa francese ha accolto in maniera critica la reazione di J.Chirac e D. de Villepin all'annuncio di una possibile OPA di Enel su Suez.“Le Monde” ha anche denunciato in un editoriale senza concessioni “il nazionalismo” che caratterizza le autorità francesi.
D'altra parte, l'opinione pubblica francese non è contraria al concetto di “patriottismo economico” che ha portato lo Stato a proteggere le imprese nazionali dai “predatori stranieri”.
In realtà l'episodio, in Francia, non è stato percepito come anti-italiano perché il Capo dello Stato e tutto il governo hanno avuto lo stesso comportamento, recentemente, quando il produttore d'acciaio indiano Mittal ha annunciato un'OPA su Arcelor o quando alcuni rumeni si sono fatti avanti con Danone.
In effetti, l'affare ha suscitato timore soprattutto per le conseguenze sociali. Con il progetto alternativo della fusione tra Suez e Gaz de France, D. de Villepin ha risvegliato l'inquietudine dei sindacati su una “privatizzazione mascherata” di Gaz de France. La quota di proprietà dello Stato risulterebbe infatti diluita dopo gli sforzi fin qui fatti per conservare più del 70% del capitale sociale.

L'Opinione del giurista
Violato il diritto comunitario?
Alberto Malatesta, docente di diritto internazionale presso l'Università Carlo Cattaneo-LIUC affronta la vicenda dal punto di vista del rispetto o meno della normativa comunitaria.

Alberto MalatestaLa complessa vicenda dell'annunciata OPA di Enel sul gruppo francese Suez cui è repentinamente seguito l'annuncio, da parte del governo francese, di un progetto di fusione tra la stessa Suez e Gaz de France ha suscitato forti reazioni politiche nell'opinione pubblica di molti Paesi, in difesa di un vero mercato unico in Europa, e ha sollevato alcune perplessità dal punto di vista giuridico quanto al rispetto delle regole comunitarie.
Sotto il primo aspetto non vi è dubbio che il senso dell'operazione abbia un carattere protezionistico delle imprese nazionali francesi e sia pertanto in contrasto con uno spirito di reale integrazione. Certamente bene ha fatto l'Italia ad attivarsi sul piano diplomatico per protestare contro l'atteggiamento francese e a invocare l'intervento comunitario per una maggiore libertà di mercato. Sul piano strettamente giuridico, alla luce di quanto si sa dell'operazione e della sua complessità, si può ipotizzare una serie di violazioni del diritto comunitario, che tuttavia non sono così evidenti, come dimostra la prudenza con cui si stanno muovendo gli organi di controllo comunitari. A me pare che un possibile profilo di violazione possa essere ravvisato innanzitutto nella violazione delle libertà fondamentali sancite dal trattato CE, in particolare della libera circolazione dei capitali. In base al Trattato CE e alla giurisprudenza della Corte di giustizia, è fatto divieto agli Stati membri di adottare qualsivoglia misura che, ancorché non discriminatoria, possa incidere negativamente sui movimenti di capitali tra Stati membri. Pertanto, qualsiasi impedimento all'acquisizione di quote di una società francese da parte di una società italiana deve senz'altro ritenersi vietato, nella misura in cui ciò sia imputabile allo Stato francese. In altre parole se il governo francese ha attuato azioni o adottato norme legislative o amministrative tali da ostacolare l'acquisizione di Enel, in quanto società straniera, la libertà comunitaria ne risulta compromessa. Potrebbe inoltre venire in rilievo la libertà di stabilimento delle società, allorché l'acquisizione di una partecipazione azionaria sia tale da consentire di esercitare una sicura influenza sulle decisioni di Suez.
In questa prospettiva, i recenti avvenimenti sollevano molti dubbi. L'annuncio del progetto di fusione tra Gaz de France (società a capitale pubblico per l'80%) e Suez è infatti avvenuto immediatamente dopo che un'altra società, Veolia Environment, a seguito di asserite “pressioni” del governo francese, ha interrotto le trattative in corso con Enel per lanciare insieme l'OPA su Suez. Sebbene sia difficile stabilire un legame tra i due avvenimenti, che, se provato, a mio avviso dimostrerebbe l'avvenuta violazione delle norme del Trattato, è tuttavia almeno legittimo dubitare della correttezza del governo francese se non altro dal punto di vista della salvaguardia della trasparenza del mercato.
In altra direzione, l'operazione presenta profili di dubbia legittimità anche sul piano del diritto della concorrenza. E' infatti ragionevole presumere che la fusione tra Gaz de France e Suez possa dare luogo a una concentrazione di rilevanza comunitaria ai sensi del regolamento (CE) n. 139/2004, soprattutto in ragione del volume d'affari complessivo (pari a 64 miliardi di euro), a meno che non si dimostri che il fatturato totale nella Comunità di tutte le imprese interessate si realizzi per oltre i 2/3 all'interno di un solo Stato membro. L'esistenza di una tale concentrazione tra imprese non è di per sé, ovviamente, contraria al diritto comunitario. Occorre tuttavia valutare se da essa non possa derivare un significativo pregiudizio per la concorrenza effettiva, in particolare perché creerebbe o rafforzerebbe una posizione dominante nel mercato comune o in una parte sostanziale di esso. In questo contesto, l'analisi del vantaggio che dall'operazione deriverebbe per i consumatori europei appare centrale.
Insomma, i dubbi sulla conformità al diritto comunitario sono tanti. Quali possibilità di reagire, di sanzionare la violazione e di garantire un'effettiva libertà di mercato in questa situazione? Giova ricordare che in nessun caso il governo italiano potrebbe attuare ritorsioni unilaterali contro imprese francesi, “chiudendo” loro il mercato italiano. A parte il fatto che a rimetterci sarebbero sempre i consumatori, ciò è impedito dall'esistenza di un sistema di controllo giurisdizionale comunitario. Spetta invece alla Commissione UE, o allo Stato italiano solo nel caso questa non agisca, avviare una procedura di infrazione contro lo Stato francese ed eventualmente adire la Corte di giustizia al fine di garantire i diritti di ENEL, ma anche i tanto attesi benefici per i consumatori di energia europei.

03/31/2006

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