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Una Finanziaria elettorale?

Ogni buon padre di famiglia sa che, quando si hanno entrate straordinarie, non si può innalzare stabilmente lo standard di vita.

Ai tagli fiscali non si guarda in bocca.
E questo si può ben dire della Finanziaria 2001, che riduce le imposte per 22mila miliardi l'anno venturo e per 35mila a regime nel 2004. Beneficiando per 22mila miliardi le famiglie; il resto alle imprese (due terzi-un terzo).

Etichettare questa Finanziaria come elettorale è riconoscere una lapalissiana verità: perché è l'ultima manovra di questa legislatura, cioè quella che precede il rinnovo del Parlamento.
E' elettorale in senso oggettivo.
E in senso soggettivo: in ogni sistema democratico i Governi in carica usano l'ultima cartuccia di politica di bilancio per cercare di conquistare voti. Non è uno scandalo.

Luca Paolazzi, giornalista ed editorialista de "Il Sole 24 Ore"Infine, è legittimo ritenere che questa manovra coroni un percorso, un programma politico di risanamento finanziario portato avanti lungo l'intera legislatura, culminato con la partecipazione all'Unione monetaria e proseguito con una crescente restituzione di imposte.
Aveva iniziato nel '99 l'ultima Finanziaria Prodi e aveva continuato nel 2000 l'unica Finanziaria D'Alema, anche se con effetti poco visibili. Se questa triplice lettura pende in direzione delle ragioni della maggioranza, l'opposizione non ha torto nell'affermare che la restituzione è parziale e sospettare della copertura dei tagli delle imposte.

Non ha torto, perché questa restituzione non fa che mantenere la pressione fiscale dell'intera pubblica amministrazione (misurata escludendo le entrate extra-tributarie) là dove sarebbe comunque stata senza la manovra. Infatti, le proiezioni a legislazione vigente, cioè prima degli interventi, dell'ultimo Documento di programmazione economica e finanziaria davano un 41,1% del Pil nel 2004 (contro il 43,3% del '99).

Ciò vuol dire che la riduzione è spontanea e non deriva da correzioni nella composizione e nel livello di entrate e spese del bilancio: semplicemente il Governo si è trovato in cassa quest'anno un eccesso di incassi (“il malloppo”, come l'ha chiamato l'opposizione) e lo ridà indietro.

Ed è il lato qualitativamente debole della Finanziaria: non coprire le minori entrate con misure di correzione delle spese. Questa lacuna ne porta con sé un'altra: impedisce di inserire i tagli in un programma pluriennale, che dia una chiara prospettiva di continuo e graduale alleggerimento delle imposte. In questo modo, la manovra appare come un una tantum, per giunta non sostenibile nel tempo.

E ciò, come ha più volte sostenuto Confindustria, ne mina la credibilità presso i cittadini, imprese e famiglie, che quindi sono indotti a non modificare in modo sostanziale e sostanzioso i loro programmi di spesa. Proprio perché temono che, avendo il Governo scantonato la spinosa riduzione della spesa pubblica, le imposte dovranno poi essere riaumentate.

Se ciò accadesse, si affloscerebbe nuovamente la crescita e si accentuerebbe la caduta di competitività delle aziende. Peraltro non molto aiutata dalla composizione dei tagli fiscali: perciò è giustificata la richiesta, avanzata da Confindustria, di una più coraggiosa diminuzione dell'Irpeg, inizialmente al Sud, ma in seguito in tutto il Paese. A rafforzare quel timore c'è una doppia e cruciale considerazione.

Anzitutto, il sospetto che una parte dei tagli abbia una copertura fragile e che le tendenze già in atto della spesa pubblica (specie quella degli enti locali) siano tali da non consentire di rispettare l'obiettivo di deficit pubblico l'anno venturo.
Anche qualora le previsioni di crescita economica, su cui sono basate le proiezioni di entrate e spese, si realizzassero, molti centri di ricerca e analisti vedono il deficit pubblico 2001 più prossimo all'1,5% del Pil che allo 0,8% cui punta il Governo; con uno sfondamento di quasi 13mila miliardi, la metà del bonus fiscale per l'anno venturo e, guarda caso, pari alla differenza tra le cifre di tagli alle imposte circolate durante l'estate e quella poi messa in Finanziaria.

In secondo luogo, le maggiori entrate appaiono come il frutto non di un innalzamento strutturale del prelievo, quanto della migliore congiuntura. Se ciò è vero, al primo peggioramento del ciclo economico il deficit tornerebbe ad allargarsi rapidamente e occorrerebbe approntare un rapido aggiustamento.

Ogni buon padre di famiglia sa che, quando si hanno entrate straordinarie, non si può innalzare stabilmente lo standard di vita. L'impiego migliore di tale manna è il risparmio, in vista di tempi peggiori.
Per l'Italia ciò avrebbe significato tradurre l'inatteso miglioramento spontaneo del saldo nei conti pubblici in minor debito. E questa riduzione del debito avrebbe aiutato ad alleviare una seria ipoteca che zavorra le prospettive di sviluppo del sistema Paese e a gettare serie basi per future diminuzioni delle imposte.
L'impostazione della Finanziaria lascia spazio almeno a una speranza: esaurite le risorse disponibili per abbassare l'imposizione, si dovrà senza scampo mettere mano alle spese. Così da consolidare i tagli fiscali già effettuati e prepararne di nuovi.

11/06/2000

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