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Le opinioni: Riecco in scena le segreterie di partito

C'è un dato che, a proposito delle recenti elezioni amministrative a Varese, si impone su tutti gli altri. Non sono i segnali di risveglio della Lega, non è la sinistra che insiste a farsi del male e non è nemmeno l'alta percentuale di astensionismo, sulla quale una riflessione dovrà pur essere spesa.
La recente tornata politica ha segnato il ritorno in grande stile del ruolo delle segreterie di partito. Accordi presi fuori dei palazzi istituzionali, trattative condotte da persone non investite di potere da parte dell'elettorato, moltiplicazione degli incarichi pubblici sono già sotto gli occhi di tutti. Bello o brutto che sia, questo è il primo evidente segnale di cambiamento rispetto agli ultimi dieci anni.
Il potere d'interdizione dei partiti è in parte frutto di un fatto ineluttabile: dopo un decennio di enti governati da monocolori leghisti si è tornati a fare i conti con coalizioni composite. E questo impone giocoforza delle mediazioni. Mediazioni che però non sono state condotte da chi ne era formalmente investito (ad esempio i sindaci) ma molto spesso dagli uomini delle segreterie; e questo è un altro paio di maniche. Il rinato meccanismo della partitocrazia ha posto sul tavolo un immediato, importante interrogativo: le prime scelte di sindaci e presidente della Provincia rispondono a un reale disegno strategico o piuttosto al mantenimento di equilibri politici territoriali?
In soldoni: l'assessore tal dei tali è stato scelto per le sue capacità, perché le sue competenze specifiche rispondono al programma di governo dell'ente o piuttosto solo per soddisfare meccanismi di lottizzazione? Il sospetto che la risposta esatta sia quest'ultima è purtroppo forte ed è sorretto da diversi elementi concreti.
Ci muoviamo nell'ambito di un "processo indiziario" ma, come diceva Agatha Christie, spesso tre indizi fanno una prova. Vediamo di analizzarli.
Il primo: fatta qualche eccezione - ad esempio quella dell'ex giudice Francesco Pintus - non ci sono "esterni" o tecnici privi di collocazione politica chiamati a governare Varese. Tutti i nuovi assessori hanno una ben precisa colorazione all'interno della casa delle Libertà.
Secondo: il numero degli incarichi, come detto, è cresciuto e addirittura il Comune di Varese si appresta a modificare il suo statuto per "aggiungere posti a tavola": le poltrone in giunta non bastavano a collocare tutti i pretendenti.
Terzo: i compiti sono stati distribuiti con criteri che lasciano perplessi. Ci si chiede, ad esempio, quale reale potere possa avere in una amministrazione provinciale un assessorato alla sicurezza. Istituzionalmente la prevenzione dei reati spetta ad altri soggetti dello Stato e non saranno certo i pochi componenti della polizia provinciale a poter cambiare le forze in campo.
O ancora: in Comune a Varese è stato introdotto un assessorato alle grandi opere, rimane quello ai lavori pubblici, la viabilità fa capo a un terzo componente di giunta ed è comparso, per un quarto componente, la delega all'abbattimento delle barriere architettoniche.
Non è un po' troppo? Quinta e ultima considerazione: non sempre il curriculum di chi ci governerà brilla per competenza specifica ai settori loro assegnati.
Tutto ciò disegna un quadro all'interno del quale i nuovi amministratori rischiano di essere ostaggio, di avere un "debito di riconoscenza" verso quanti li hanno collocati ai loro posto. Vale a dire le segreterie di partito. Poco male se i partiti fossero oggi, come a lungo è stato nelle storia d'Italia, pieni di militanti, teatro di un vivace dibattito interno; essi assomigliano piuttosto a oligarchie investite di un potere improprio.
Esattamente l'invadenza di questa casta, proprio la partitocrazia fu una delle ragioni che a partire dagli anni '80 scavò il solco tra cittadini e politica.
Quella distorsione rischia ora di riaffacciarsi molto prima di quanto si potesse credere. Spiace che a farsene protagonisti siano movimenti politici che in anni recenti avevano fatto della guerra alla spartizione partitica, al "teatrino della politica" uno dei loro cavalli di battaglia. Resta da analizzare il dato sulle astensioni: mai a Varese la scelta del sindaco aveva registrato una affluenza così bassa (64%), più bassa addirittura di quella rilevata tre anni fa per la scelta di una istituzione "lontana" come il parlamento europeo.
A volte dati del genere sono semplicemente la spia di una società dove la conflittualità è in calo, dove i bisogni fondamentali sono ampiamente soddisfatti.
Cosa ha realmente da chiedere oggi un abitante di Varese alla politica? I servizi fondamentali sono garantiti, restano in gioco le grandi scelte strategiche per la città.
Non è un argomento da poco ma paradossalmente scalda molto meno gli animi di un marciapiede malridotto e di un parco tenuto male.

Claudio Del Frate

06/20/2002

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