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Dopo lo tsunami

L'immane tragedia provocata dal maremoto nei paesi che si affacciano sull'Oceano Indiano ha portato con sé, in aggiunta alla devastazione e alla morte, anche un germoglio di speranza per il futuro della convivenza tra i popoli. La corsa alla solidarietà da parte di molti altri paesi, non solo quelli più avanzati, e il fronte comune che ha visto accantonare, nelle località sinistrate, le rivalità etniche, religiose e politiche per lavorare fianco a fianco, durante le operazioni di soccorso e di prima ricostruzione, sono stati segnali di una ritrovata consapevolezza che le divisioni e le contrapposizioni sono un ostacolo al bene comune e che, al contrario l'unità è qualcosa di altamente desiderabile per fronteggiare avversità che, nel villaggio globale, vengono percepite sempre più come un problema di tutti.
Rimanere, anche dopo l'emergenza, nei paesi colpiti sarà una grande opportunità per intensificare, con realtà etniche diverse da quelle del mondo occidentale, relazioni solidali e rafforzare così legami di amicizia tanto importanti per un futuro di pace nel mondo. Ancora una volta l'economia potrà svolgere un ruolo importante, direi essenziale, per assicurare un bene universale, la pace appunto, la cui importanza, come tanti altri valori, si apprezza purtroppo quando viene a mancare. Rimanere oltre l'emergenza avrà, in altri termini, una valenza strategica che supera i pur apprezzabili e necessari interventi contingenti di solidarietà. Avrà lo scopo di contribuire alla ripresa economica di quei paesi conseguendo in tal modo un duplice risultato: da un lato, quello di evitare che sprofondino in una spirale di povertà nella quale troverebbero alimento le lotte interne con il rischio di farne un pericoloso focolaio per il mondo intero; dall'altro, quello di recuperare in fretta al circolo dello sviluppo economie la cui crescita è una delle condizioni per la stabilità economica anche dei paesi più avanzati.
E' con questa preoccupazione, del resto, che all'indomani del maremoto del 26 dicembre gli osservatori economici si sono affrettati a monitorare gli andamenti delle Borse, in tutte le maggiori piazza del pianeta e che con sollievo hanno constatato che, generalmente, i listini avevano tenuto.
La forte integrazione dei sistemi economici, commerciali e finanziari rende infatti tutti vulnerabili di fronte alle difficoltà di qualcuno, mentre la forza dei singoli fa da moltiplicatore al successo altrui. E', in fondo, il medesimo significato dell'accordo di Maastricht, in base al quale i paesi dell'Unione Europea si impegnarono reciprocamente a garantire un percorso di risanamento della propria finanza pubblica come condizione necessaria per assicurare tassi di crescita economica più robusti.
Il percorso delineato in quell'accordo - non meno di quello con il quale si chiuse il successivo vertice di Lisbona - è ancora ben lontano dall'essere concluso e il persistere di una situazione di debolezza, che l'economia europea non riesce a scrollarsi di dosso, sembra proprio esserne la conseguenza prevista. Se dobbiamo allora persistere nel restituire competitività all'Europa, non possiamo però neppure fare a meno di continuare a sostenere le economie dei paesi più deboli pensando al futuro, loro e nostro insieme.
La gestione del dopo-tsunami richiede un'azione a favore dello sviluppo per la quale la sfera della politica e quella dell'economia hanno entrambe un ruolo essenziale. E' necessario che esse procedano in unità di intenti, con la sicura consapevolezza che un aiuto oggi è, anche, un investimento per il domani.
Vittorio Gandini

01/14/2005

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