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La Grande Muraglia… che non c'è più
In un mondo che cambia con una rapidità mai vista prima, il nostro paese - e un po' tutta l'Europa - stanno mostrando a volte scarsa attitudine a fronteggiare i nuovi scenari.
Un esempio è dato dall'approccio allarmistico che ha scandito nei mesi scorsi il dibattito sulla globalizzazione dell'economia. Il dito è stato puntato in particolare sulla Cina, colpevole di immettere sul mercato ingenti quantitativi di merci contraffatte a basso costo. In qualunque modo le si chiamasse, sono state invocate misure di protezione. Poi è accaduto un fatto singolare. Dopo l'annuncio, da parte del governo di Pechino, di misure per raffreddare la propria economia e modificare il rapporto yuan/dollaro - misure a gran voce richieste a protezione delle economie occidentali - l'effetto è stato la caduta delle Borse proprio nei paesi occidentali.
Ed è anche singolare che, mentre solo pochi mesi fa si temevano le importazioni dalla Cina, poco dopo ci si sia trovati in difficoltà perché la Cina ha aumentato il proprio fabbisogno di acciaio (molto del quale importato) e, conseguentemente, ha ridotto le esportazioni di coke destinando quest'ultimo al consumo interno.
Sono fatti, questi, che dimostrano quanto la globalizzazione abbia più facce e tutte originali e come non sia possibile, dunque, affrontarla con approcci semplicistici. Nel villaggio globale le interdipendenze tra i sistemi economici e finanziari sono tali per cui la debolezza di un'economia non procura vantaggi a quella del vicino, ma pregiudica entrambe. Nel villaggio globale lo sviluppo è, evidentemente, per tutti.
Anziché temere la globalizzazione, occorre piuttosto coglierne le opportunità. Certo, non è semplice. Certo, occorre fare un salto culturale. Occorre anche cambiare le nostre abitudini. Ed è qui, soprattutto, che mostriamo delle debolezze. E' qui che ci scopriamo ad essere troppo conservatori. Due esempi: Melfi e Alitalia. La vicenda di Melfi ha riproposto lo scenario buio di un anno fa in occasione del rinnovo del contratto di lavoro dei meccanici con la successiva vertenzialità spinta, attuata da una sola delle tre più importanti componenti del sindacato dei lavoratori, per far sottoscrivere un contratto alternativo. Le agitazioni fuori dalle regole del personale di Alitalia ci ha invece riportato all'autunno dello scorso anno, quando il paese fu bloccato dagli scioperi dei ferrotranvieri.
Sono vertenze motivate da cause diverse tra loro - nel caso di Alitalia, conseguenza anche della protratta assenza di una vera politica del trasporto aereo e dalla mancata liberalizzazione e privatizzazione del settore - ma che hanno una radice comune, non nuova: l'idea che occupazione e salario possano essere delle variabili indipendenti. Gli sforzi della Fiat di riprendere quota nel mercato automobilistico, da un lato e, dall'altro, il dissesto economico della compagnia di bandiera, sembrano essere cioè delle circostanze ininfluenti.
Le logiche particolaristiche sono dannose, a tutti i livelli. Così come, nello scacchiere del mercato globale, il movimento di una pedina ha conseguenze importanti sulle altre, anche - e ancor più - all'interno di un singolo paese le scelte che influenzano il quadro economico dovrebbero inserirsi in una logica di coerenza e di compatibilità generale. Con l'obiettivo, nel nostro caso, di far recuperare competitività al sistema, che segna indubbiamente il passo.
Se non saremo capaci di rimettere in discussione i nostri schemi avendo di mira l'utilità di tutti, mentre le muraglie nel resto del mondo si stanno sfaldando, non potendo alzarne di nostre, corriamo il rischio di rimanere ai margini della crescita economica mondiale. Prigionieri dei nostri dogmi.
Alberto Ribolla
05/06/2004
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