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La politica italiana si adeguò, per fortuna non del tutto
La valutazione del pensiero di La Pira da parte di tre politici varesini, di tre diverse estrazioni.
Giuseppe Adamoli - Consigliere Regionale della Margherita
Ho letto la lettera di Giorgio La Pira con l’accortezza di considerarla figlia del suo tempo, condizionata da un contesto politico particolare che gli sembrava sul punto di produrre una vittoria elettorale del Partito Comunista se i cattolici non fossero stati nettamente dalla parte dei poveri, dei disoccupati, degli "sfrattati". Una lettera che non sarebbe stata resa pubblica, ma che rappresentava soltanto una delle sue abituali confidenze al Pontefice che riteneva la sua unica guida paterna e spirituale.
E tuttavia il documento è davvero impressionante per la durezza delle parole e dei concetti da cui traspare l’amara consapevolezza di una solitudine culturale che egli sentiva ben dentro un mondo cattolico che non lo comprendeva più. Una testimonianza impressionante ma non sorprendente. Nella cultura cattolica italiana è sempre esistito un filone esiguo e minoritario ma combattivo che, come dice Giorgio Rumi, risale alla dottrina che metteva in guardia dai valori moderni e dall’intrapresa personale per ragioni di solo profitto economico.
Ma La Pira non era un reazionario in senso classico. Apparteneva alla DC, partito di maggioranza relativa, che difendeva il mercato e il capitalismo sia pure dentro una forte programmazione pubblica e con un intervento massiccio dello Stato nel sistema economico.
Nel cattolicesimo politico italiano non ha vinto La Pira, hanno vinto prima Sturzo e poi un De Gasperi con chiare influenze liberaldemocratiche, e poi ancora una DC di governo che ha rinnovato la democrazia italiana, che l’ha portata nel novero dei grandi paesi industriali, anche se non ha avuto poi la forza, nel momento del bisogno, di rinnovare se stessa come chiedeva con lungimiranza Aldo Moro.
Non posso dimenticare che questo La Pira con la sua volontà, direi con la sua ossessione di sostenere gli ultimi e i senza patria e di "sventare le insidie dei potenti", è stato un ingrediente, uno dei tanti, nella battaglia vittoriosa per la nostra democrazia occidentale contro il comunismo di tipo sovietico di quell’epoca.
Questa lettera nulla toglie alla grandezza spirituale di Giorgio La Pira riconosciuto "sindaco santo", allora come oggi, da una vasta opinione pubblica.
Andrea Buffoni - Consigliere Comunale Lista Civica Buffoni e Gallarate 2010
Credo che la lettera dell'on. La Pira debba essere inquadrata nella realtà del momento storico in cui venne scritta e nel contesto dell'impegno politico dallo stesso allora svolto. E quindi ogni giudizio politico ex post non so fino a che punto sia legittimo per chi è di cultura socialista. Siamo nel 1958 , nel pieno della guerra fredda, della difficile ricostruzione del Paese, prima del boom economico degli anni sessanta e sulla politica prevale l'ideologismo demagogico e, forse, anche la ricerca del consenso e, per quanto riguarda La Pira, anche la contrapposizione personale con l'on. Sturzo.
Si crede, anche da parte degli avversari politici di una certa parte dei mondo cattolico più impegnato, alla idealizzazione della rivoluzione comunista, che solo molti anni dopo dimostrerà tutto il suo criminale fallimento, anche se vi era già stata la scelta riformista di Giuseppe Saragat (anche lui rivalutato molti anni dopo e allora definito social traditore) che aveva con largo anticipo riaffermato il primato della scelta riformista e anti massimalista di Filippo Turati e del socialismo liberale e democratico. Purtroppo alcune concezioni esasperate dello scritto dell'on. La Pira sono perdurate per molti anni e perdurano ad oggi anche in una parte non certo irrilevante del mondo cattolico che per brevità e comodità, e senza alcun intento dispregiativo, potrei definire catto-comunista.
Oggi più che mai la risposta la potrebbe dare la cultura socialista democratica, che però, anche se vincitrice per la storia é stata sconfitta e annullata dalla non politica. E questa risposta sta nell'unica prospettiva possibile che sì può sinteticamente così definire: no al liberismo sfrenato e senza regole della finanza globale, sì al riformismo liberal democratico con le dovute tutele per i più deboli (non con l’assistenzialismo, errore commesso nel passato), con la garanzia dei diritti e il rispetto dei doveri. Una società che premi i meriti e soddisfi i bisogni, soprattutto di chi meno ha, una politica che sappia governare questi valori ed il conseguente cambiamento. Mi chiedo: esiste oggi tale politica? In conclusione non posso dire se oggi l'on. La Pira avrebbe accettato queste posizioni, rifiutando certe posizioni internazionaliste. Una cosa è evidente: ancora oggi , dopo tutta l'acqua che la storia ha macinato, su queste posizioni non troviamo alcune forze cattoliche, eredi di quella sinistra democristiana che faceva riferimento all'illustre e mitico Sindaco di Firenze, che, guarda caso, stanno con gli ex e post comunisti, i girotondini, i no global e quant'altro.
E questa constatazione non è certo positiva.
Luigi Farioli - Consigliere Regionale Forza Italia
Sconcertante La Pira? Certamente sì. Sconcertante il furore ideologico con cui identifica nel liberalismo il "male assoluto", il livore rancoroso della polemica con Sturzo, il manicheismo radicale di chi divide il mondo tra buoni e cattivi, la presunzione dogmatica di chi identifica nel "capitalista dalle mani avide e impure" il demonio da esorcizzare. Sconcertante soprattutto da parte di un cattolico in odore di santità.
Sorprendente La Pira? Per un liberale purtroppo non molto. La Pira rappresenta infatti, con Dossetti, quel filone del cattolicesimo nazionale che, sin dalla Costituente e, sicuramente dopo De Gasperi, ha prevalso sul popolarismo sturziano. Pur animato da sincera spinta ideale, questo humus, per successive degenerazioni, è approdato agli integralismi del catto-comunismo e alimentato un diffuso pregiudizio, quando non una marcata ostilità, nei confronti dell’impresa e del mercato. Fortunatamente ciò non ha impedito ai cittadini e alla loro creativa laboriosità di far nascere imprese, opere e produrre ricchezza; ha però certamente frenato il radicarsi di un capitalismo adulto e responsabile, moderno e consapevole. "Quello di La Pira io chiamo statalismo; contro questo dogma voglio levare la mia voce…. In questo si annida l’errore di fare dello Stato l’idolo…. Difendo la libera iniziativa…. L’economia di Stato comprime la libertà e riesce meno utile o dannosa al benessere sociale" (Don Sturzo, maggio 1954). Paradossalmente si è dovuta attendere la fine dell’unità politica dei cattolici, il sorgere di nuovi soggetti politici per far uscire il cattolicesimo liberale dal cono d’ombra in cui il pregiudizio dossettiano l’aveva costretto. Non perdiamo questa straordinaria opportunità. Senza mitizzazioni, né scomuniche.
Il carteggio con Angelo Costa, presidente di Confindustria nel Dopoguerra
Angelo Costa, presidente di Confindustria dal 1945 al 1955 e dal 1966 al 1970, ha intrattenuto una fitta corrispondenza con Giorgio La Pira (Angelo Costa, Scritti e Discorsi, Franco Angeli Editore 1980, 8 v.) nella quale ha riaffermato le propie convinzioni liberiste criticando molte delle scelte politiche assunte negli anni della ricostruzione post-bellica e ammonendo sui rischi che tali scelte avrebbero comportato per il paese, in una fase difficile della sua storia. In una lettera del 26 luglio 1950, commentando un articolo di La Pira apparso su "Cronache sociali" sul tema della disoccupazione, Costa rilevava "una inversione di termini: con lo sradicamento della disoccupazione e della miseria non è detto che si abbia il risanamento del sistema economico e finanziario, mentre è vero piuttosto il reciproco e cioè con il risanamento del sistema economico e finanziario si viene a sradicare anche la disoccupazione e la miseria". E ancora, a propostito dell’intervento dello stato in economica auspicato da La Pira: "Il pretendere di assumere la funzione di ‘angelus rector’ dell’economia è certo una delle massime manifestazioni della presunzione umana. E’ per questo che lo stato ha il dovere e la possibilità di fare ma deve ben guardarsi dallo strafare, perché di fronte a problemi così complessi, così variabili nel tempo e nello spazio il credersi capaci di poter tutto regolare e tutto risolvere non è altro che superbia e la superbia ha sempre portato e sempre porterà alla rovina". |
02/19/2004
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