|
Globalizzazione del mercato? Varese c'è'
Le imprese della provincia di Varese sono presenti da molto tempo sui mercati internazionali e i dati recenti dell'interscambio commerciale, Ue ed extra Ue, indicano che queste imprese, nonostante le moltiplicate difficoltà competitive indotte dalla globalizzazione, riescono a tenere le posizioni acquisite e ad occupare nuove nicchie.

Le merci made in Varese in partenza ogni giorno per i mercati esteri non sono una novità. Come non è una notizia il fatto che le imprese del territorio abbiano una spiccata propensione a varcare i confini nazionali. Le curiosità in materia arrivano invece se si va a scavare più a fondo, se si va leggere in trasparenza quello che sta dietro alla voglia di export e cosa alimenta il desiderio di internazionalizzarsi. Chi va all'estero e, soprattutto, dove va? Come avviene la conquista dei mercati? Con quali paure e con quali prospettive, ma anche per quali motivi i confini nazionali stanno stretti a chi fa impresa oggi come trenta anni fa? Sono queste alcune delle domande poste nel corso di un'indagine compiuta nel 2006 in provincia di Varese a cura della locale Unione degli Industriali, contribuendo così alla raccolta dei dati confluiti nello studio sulla internazionalizzazione delle imprese messo a punto a livello regionale da Confindustria Lombardia. Obiettivo? Andare a leggere più in profondità il fenomeno dell'internazionalizzazione, in una provincia come la nostra che vanta un export da primato. I numeri del Varesotto sono presto detti: l'export della sola provincia di Varese nel 2005 ha generato un valore di 7,7miliardi di euro (pari al 2,6% delle esportazioni nazionali), eguagliando quello dell'intera Grecia: il dato, ancora parziale, per il 2006 parla di un valore delle esportazioni pari a oltre 6 miliardi di euro nei soli primi nove mesi dell'anno.
A ciò si aggiunge il fatto che il saldo della bilancia commerciale - a differenza di quanto accade a livello nazionale e regionale - è assolutamente attivo. Basti solo fare l'esempio dello scorso anno, quando in 12 mesi l'export è cresciuto di quasi 10 punti percentuali facendo registrare per il Varesotto un saldo della bilancia commerciale di 2.250 milioni di euro (più 14,4% su base annua). Nel solo campo delle tecnologie si assiste a un vero e proprio primato: basti pensare che, secondo una indagine della Camera di Commercio di Milano, Varese contribuisce al 10% dell'export lombardo di prodotti innovativi e al 4% di quello nazionale.
La radiografia delle imprese Varesine che si affacciano sui mercati esteri
L'identikit dell'impresa che opera con l'estero non è però solo una fotografia di chi esporta. Perché l'internazionalizzazione è un fenomeno piuttosto complesso che si nutre non solo di merci destinate ai mercati non italiani, ma anche di intensi rapporti di partnership e di presenza diretta. Accanto alla capacità di esportare, insomma, vi è anche quella di essere attivi in modo diffuso nel sistema di produzione, distribuzione e assistenza della nazione nella quale ci si spinge ad essere presenti costruendo una rete di rapporti, alleanze e relazioni. Ed è questo complesso di azioni, ed il loro sviluppo, che è stato messo sotto la lente andando a prendere in esame un campione di 181 imprese targate Varese di dimensioni differenti ed appartenenti a diversi settori. Il 95% di esse ha risposto di essere operativa sul fronte estero (contro una percentuale dell'89% registrata a livello regionale su di un campione di 2.000 aziende). Nella stragrande maggioranza dei casi, per i varesini come per i lombardi in genere, si tratta di rapporti "di lungo corso". Solo uno sparuto 2,9% del campione nostrano ha fatto il passo di uscire dai confini patrii da meno di 5 anni, mentre ben oltre la metà ha alle spalle esperienze da oltre 20 anni e nel 37,8% dei casi addirittura l'abitudine a operare oltre frontiera dura dagli anni '70.
La quota dell'export sul fatturato risulta in media del 47% per il 2005 con una previsione di un leggero aumento per l'anno che si è appena chiuso: dati questi che fanno spiccare Varese rispetto alla media calcolata a livello regionale, che è invece del 40% nel 2005 e 41% nel 2006, di quota export su fatturato. I Paesi di maggiore presenza, in ambito Ue, sono Francia (71%), Germania (64%) e Spagna (47%), mentre fra i Paesi extra Ue a fare la parte del leone sono gli Stati Uniti, dove circa un quarto del campione ha messo piede (26%): una percentuale che però, tenuto conto delle dimensioni di quel mercato, va considerata modesta. A colpire di più, anche in rapporto ai dati regionali, è la posizione della Cina che, come mercato di sbocco, arriva per terza subito dopo la Svizzera: quasi il 15% delle imprese varesine del campione, che hanno a che fare con l'estero, hanno varcano la grande muraglia, prediligendo questo mercato rispetto a quello russo (12%) e indiano (11%).
Se poi si guarda al futuro, si vede come gli orientamenti a breve termine sono quelli di rafforzare la presenza nei mercati "tradizionali" come Germania, Francia, Spagna e Stati Uniti, ma già a medio termine le prospettive cambiano e accanto alle aree occidentali fanno la loro comparsa la Cina (quarto posto dopo Francia, Germania e Spagna) e l'India in quinta posizione. Ed in questo caso il Varesotto è in linea con le altre province lombarde che risultano tutte orientate, nel triennio che verrà, ad approfondire il rapporto proprio con i mercati considerati tra quelli emergenti.
Strategie di conquista, motivazioni, timori e bussole
Come si affronta la conquista commerciale e produttiva di un nuovo mercato? Nella maggior parte dei casi il nostro imprenditore, per la commercializzazione, si affida ad un distributore agente o alla rete distributiva propria, con un livello di percentuali, di questi due strumenti, che è abbastanza livellata sia che si guardi i paesi dell'area Ue, sia quelli più lontani. Non poche sono le sedi di rappresentanza, soprattutto però per quanto riguarda Francia e Germania dove la presenza in questo senso ha un peso percentualmente più elevato rispetto a quanto accade in Stati Uniti, Svizzera e Cina.
Il canale produttivo più utilizzato, in tutti i casi, è quello dell'accordo produttivo e della joint venture che, sebbene in percentuali differenti, riguarda un po' tutti i mercati di penetrazione. La filale produttiva, invece, è una fattispecie tipica per chi opera in Francia, Germania e Spagna oppure in Svizzera (con percentuali che non superano il 2% dei casi).
Il dato forse più curioso di tutta la ricerca è quello che emerge chiedendo il motivo per cui si sceglie di andare a produrre oltre confine: nel 54,5% dei casi a dare la spinta è la necessità di essere vicini ai clienti e committenti, seguono poi la disponibilità di materie prime, i minori costi delle fonti energetiche e solo nel 4,1% dei casi la disponibilità di manodopera a basso costo.
Un terzo degli operatori che si sono spinti all'estero lamenta però di aver subito concorrenza sleale dovuta per la maggior parte dei casi all'imitazione del prodotto (66,1%) o di modelli e disegni (49%), ma anche al fenomeno delle vendite sottocosto, il cosiddetto dumping commerciale (44%). Come strategia di difesa non sembra aver funzionato quella di registrare all'estero marchi e brevetti, così almeno la pensano nel 51% dei casi gli imprenditori che hanno intrapreso questa via e solo uno su cinque si è invece sentito al sicuro in questo modo. Tra le note dolenti "interne" all'azienda, nell'affrontare la sfida dell'internazionalizzazione, il tasto più debole è quello (54%) della scarsa conoscenza dei mercati esteri e del personale impreparato (31,7%). Poco meno della metà del campione (46,5%) ha inoltre ammesso di aver riscontrato problemi anche di natura esterna legati a difficoltà linguistiche, vincoli burocratici e legislativi e difficoltà culturali.
Tra le bussole più conosciute per muovere i propri passi in terra straniera c'è l'Ice (Istituto per il commercio estero), le agenzie governative, le associazioni imprenditoriali e la Camera di Commercio anche se poi il canale più utilizzato è quello delle banche seguito da Ice e dal sistema Camerale. Quest'ultimo risulta anche percepito in modo positivo da chi vi ha fatto ricorso: oltre il 55% si è detto infatti soddisfatto del servizio reso. Quali sono le ancore di salvezza alle quali aspirano gli operatori? In cima ai desideri vi è il servizio di ricerca di partner esteri e analisi di mercato (58%) ma anche la partecipazione a fiere campionarie ed expo (37,6%) ed i finanziamenti ed agevolazioni per investimenti all'estero (33,8%).
La parola ai protagonisti
Se questi sono numeri, percentuali e cifre, altrettanta importanza deve essere data alle voci, ai racconti e alle esperienze che contribuiscono a dare un senso e una interpretazione alla pura indagine statistica. Ed è questo che si è cercato di fare attraverso uno specifico forum che l'Unione Industriali ha organizzato a marzo dello scorso anno in preparazione della sua Assemblea annuale. Al tavolo erano invitati non solo rappresentanti delle istituzioni come Camera di Commercio, Ice, Regione Lombardia e mondo bancario, ma anche e soprattutto gli imprenditori. La discussione si è articolata attraverso le osservazioni espresse da Giancarlo Besana (Monteferro Spa), Paolo Cittadini (Industrie Ilpea Spa), Ezio Colombo (Ficep Spa), Gabriele Galante (IMF impianti macchine fonderia Srl), Paola Mazzucchelli (Vema Spa) e Alberto Ribolla (Sices Spa). Anche se ognuno ha la propria esperienza, necessariamente diversa per la differente tipologia di mercati affrontati e per i prodotti proposti, sono però emersi anche alcuni comuni denominatori e parole d'ordine che si possono così riassumere: insistere sui tasti dell'innovazione e della formazione, ma anche essere capaci di aggregarsi per scambiare informazioni e arrivare sui nuovi mercati con un valore aggiunto e poi ancora, non ultimo, la necessità di servizi e supporto in tutti i sensi.
01/19/2007
|