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Folle, magli, mulini
I mulini ad acqua in provincia di Varese: motori di sviluppo nella storia economica locale e risorse per i paesaggi contemporanei.
Nel 2000 a Firenze il Consiglio d'Europa ha aperto alla firma degli Stati Membri la Convenzione Europea del Paesaggio in cui, all'art. 1, si legge: «Paesaggio designa una determinata parte di territorio, così come è percepita dalle popolazioni, il cui carattere deriva dall'azione di fattori naturali e/o umani e dalle loro interrelazioni».
Se volessimo descrivere il paesaggio della nostra provincia ci accorgeremmo subito che ciò non sarebbe possibile se non parlando di “paesaggi”, anzi, innumerevoli differenti paesaggi. Tuttavia siano essi quelli montuosi e vallivi, quelli collinari assolati lungo i bacini lacustri, o ancora quelli pianeggianti della grande brughiera, non potremmo allo stesso modo e contemporaneamente, non riconoscere tra essi alcuni elementi che nelle forme più disparate, e talvolta inaspettate, fanno sì che quelli siano “i nostri paesaggi”: quelli che riconosciamo come unici e distintivi del nostro territorio.
Tra questi elementi due sopra tutti: l'acqua e una densità abitativa, dalle antichissime origini, del tutto eccezionale.
Cercare di comprendere in cosa consista il rapporto tra la provincia di Varese e l'acqua non è questione di poco conto. Ciò che infatti la rende “terra d'acqua” è la sua atavica convivenza con essa: una quotidianità millenaria fatta di piccoli e grandi gesti, fatta di timore e rispetto, fatta di coraggio e intraprendenza. Fatta di uomini.
Quegli stessi uomini che hanno vissuto senza soluzione di continuità il nostro territorio, dalle pendici dei monti fino alla pianura irrigua, costruendo giorno dopo giorno, modificandolo e adattandolo alle proprie esigenze il territorio varesino, e dando vita così ai paesaggi che noi oggi ammiriamo e riconosciamo.
Nel rapporto con l'acqua, nel millenario lavoro di controllo, utilizzo e gestione di questa importantissima risorsa, i nostri avi hanno saputo esprimere capacità organizzative, tecniche ed economiche notevolissime i cui segni tangibili ancora possiamo osservare attraversando la nostra provincia se solo avessimo un occhio un poco allenato ed una mente curiosa…
Questi segni sono in primis i “mulini” che talora ancora campeggiano lungo i corsi d'acqua, ma altre volte sono più semplicemente paratie, ponticelli, terrazzamenti lungo i fianchi delle nostre colline, ed ancora, grandi fabbriche dalle belle forme architettoniche disposte lungo il corso di importanti fiumi o, apparentemente, insignificanti rigagnoli.
Sorge a questo punto una inevitabile domanda: da quando questi manufatti, in particolare i più antichi “mulini ad acqua” sono stati costruiti nel nostro territorio e quelli che vediamo, sono solo una parte di quelli che esistevano lungo i tanti fiumi, torrenti e ruscelli che attraversano il nostro territorio?
Certo è che già prima del Mille presso Molina di Barasso esisteva un Ospedale dedicato a S. Ambrogio (Ospedale significa luogo di ricovero gestito da monaci, luogo ove i viandanti potevano trovare riparo per una o più notti). E chi poteva o doveva sostare presso un piccolo agglomerato di case il cui nome non lascia adito a dubbi riguardo alle attività che ivi si svolgevano, se non coloro che qui conducevano i carri con le farine da macinare?
Possiamo ipotizzare così una divulgazione dei “mulini ad acqua” nel nostro territorio già a partire dall'Altomedioevo. Una diffusione che, sempre più capillare, andò incrementandosi sempre più nei secoli successivi e vide grande fortuna prima nel XVI secolo, quindi tra il XVIII e la fine del XIX.
Al fine di comprendere a quale livello di diffusione giunsero le attività svolte presso i “mulini ad acqua” (perché vedremo fra poco ivi non si macinava solo granaglie) è sufficiente verificare i documenti catastali disponibili per due importanti soglie storiche: quella del 1722-60 e quella del 1854. A queste date è possibile infatti avere un quadro complessivo del territorio che oggi corrisponde alla provincia di Varese e, comune per comune, riscontrare la presenza quantitativa e qualitativa di questi manufatti.
La lettura del Catasto di Maria Teresa, redatto per il territorio varesino per lo più tra il 1720 ed il 1760 circa, ha consentito di evidenziare una situazione assai articolata in ordine alla presenza di “mulini ad acqua” e “opifici idraulici”: ben 336 edifici contenenti un totale di 437 meccanismi idraulici. Nella maggior parte dei casi identificati con la generica dicitura “mulini” distinti a seconda del numero di ruote che ad ogni edificio vi si addossavano (da un minimo di una ad un massimo di sette), altre volte si riscontrano “folle da lana”, “da mezzalana”, nonché “da carta” e non, da ultimo, “magli da ferro”, uno “di rame” e ben 30 “segherie” azionate anch'esse dalle ruote idrauliche.
Alla soglia del Catasto Lombardo Veneto, 1850-80 circa, si evidenzia da un lato un incremento quantitativo: ben 516 edifici e 591 meccanismi; dall'altro la presenza di nuove funzioni. Oltre alla lavorazione alimentare compaiono opifici tessili, ben 11 cartiere, magli e altri opifici per la lavorazione del ferro, 25 tra “seghe e macine da legnami”, quindi “macine, mulini da sassi per terraglia, rocce vitree, rocce minerali, terre argillose” e la prima “officina per oggetti meccanici” a Germignaga.
L'analisi dei Catasti storici consente poi di evidenziare un territorio storicamente già assai articolato, costruito funzionalmente e paesaggisticamente a partire da questi manufatti. Una costruzione i cui “mattoni” non sono solo gli edifici, ma il complesso sistema di opere idrauliche realizzate per il suo funzionamento, il sistema viario di accesso agli stessi, ed ancora gli usi dei suoli limitrofi... Il cosiddetto “sistema mulino”.
Parlare di mulini vuol dire infatti parlare di molto di più di semplici edifici in quanto la loro specificità di architettura funzionale ha contribuito nei secoli, e contribuisce ancora, alla definizione dei caratteri paesaggistici dei luoghi di cui essi sono parte. Così il sistema mulino è composto non solo dai “mulini ad acqua”, ma anche dai loro contesti paesaggistici costituiti sia dal manufatto architettonico in sé (comprensivo dei sistemi meccanici), sia dall'insieme degli elementi distribuiti nel contesto paesaggistico che componevano il “sistema mulino” garantendone il funzionamento (corso d'acqua di riferimento, rogge, manufatti di regimentazione delle acque, strade, ecc.) e l'attività (aree coltivate e boscate di provenienza delle materie lavorate dalle macchine dei mulini, edifici rurali di raccolta e trasformazione delle materie prime, edifici di servizio, strade, ecc.).
Essi costituiscono pertanto un patrimonio incredibile alla cui vastità e capillarità storica (che non trova forse eguali in altre zone) corrispondono oggi poche vestigia, tutte di grandissimo valore storico e documentario dell'identità del nostro territorio. Se l'interesse storico poi li rende parti integranti del patrimonio dei beni culturali e paesaggistici il loro carattere in parte artificiale ed in parte naturale li inserisce nelle risorse naturali e ambientali.
In questo senso essi sono pertanto risorsa per l'organizzazione urbanistica e territoriale e per lo sviluppo di attività economiche legate a un paesaggio di qualità e la loro specificità d'uso degli elementi naturali come forza motrice li rende oggi potenziali risorse come luoghi di sperimentazione e di diffusione di nuove forme di produzione di energia sostenibile.
I dipinti di questo articolo sono di Sergio Colombo, che espone dal 2 al 17 giugno 2007 alla Badia di Ganna (VA)
05/11/2007
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