Economie anemiche, borse impazzite, regole asfissianti, riforme bancarie. Quattro lati di una cornice dentro la quale si sta componendo un quadro dalle immagini ancora per la maggior parte sfuocate. Come una fotografia economica ancora da comporre. Incertezze riassumibili in una domanda: ma cosa sta succedendo all’economia e sui mercati? Perché le politiche europee non hanno effetto e anzi rischiano di frenare ulteriormente l’Italia e le sue imprese?
Stanno venendo meno i capisaldi macroeconomici sui quali fino a ieri le stesse aziende si aggrappavano alla ricerca di conferme alle proprie strategie. E dunque cosa ci aspetta nel prossimo futuro? Varesefocus riporta qui di seguito le opinioni di quattro esperti, registrate in presa diretta durante un incontro di “Approfondimenti di Finanza – Scuola d’Impresa” che l’Unione degli Industriali della Provincvia di Varese ha tenuto alla LIUC – Università Cattaneo.

“Nella Ue tutti i Paesi sono dei debitori, unica eccezione è la Germania: il solo creditore europeo sullo scenario commerciale. Questo è uno snodo cruciale per la ripresa”

Massimiliano Serati – Professore di Macroeconomia alla LIUC – Università Cattaneo di Castellanza
“Nei driver di crescita mondiale – esemplifica Massimiliano Serati – i Brics non esistono più, l’America Latina è completamente scomparsa, la Russia è tra i fanalini di coda e l’Europa è un’area sempre più marginale”. Uno scenario imprevedibile fino a solo qualche anno fa. Come “le recenti vicende connesse all’altalena della Borsa Cinese e alle svalutazioni dello Yuan che stanno praticamente annullando i benefici derivanti dal calo del greggio”, continua Serati.
“La verità è che i Paesi di vecchia industrializzazione come l’Italia e gli Usa sono fortemente perdenti nella battaglia commerciale mondiale combattuta a suon di pura bilancia tra export e import. Risultato: un vulnus nell’Europa, una asimmetria che si ribalta sui mercati dei capitali”. Così esemplificata dal professore della LIUC: “Nella Ue tutti i Paesi sono dei debitori, unica eccezione è la Germania: il solo creditore europeo sullo scenario commerciale. Questo è uno snodo cruciale per la ripresa”. Il vero problema europeo oggi è la Germania, non l’Europa, secondo Serati. Non un’affermazione contro la richiesta di rispetto delle regole della Germania. Il problema è oggettivo e, politica a parte, sta nei numeri delle varie economie.
Serati da ricercatore lo spiega così, cercando di togliersi dalle polemiche politiche anti o pro Germania, anti o pro Ue: “Un Paese creditore come la Germania ha tre naturali obiettivi per cui spendersi: una valuta forte, un’inflazione bassa (se è deflazione tanto meglio), tassi a lungo termine non troppo bassi perché danno fastidio”. Caso vuole che siano le mete da cui devono, però, allo stesso tempo sfuggire tutti quei Paesi che sono invece dei debitori sullo scacchiere commerciale internazionale. Da qui la conclusione di Serati: “Viviamo una contrapposizione nei fatti, tutta economica, ancor prima che politica: siamo di fronte a interessi asimmetrici che per momenti contingenti costringono la Bce, con le sue politiche di quantitative easying, a contrapporsi sempre alla Germania, per sostenere tutti gli altri Paesi”. Questi i freni a una politica economica comune che sta spaccando l’Europa, frenando e rendendo incerta la ripresa.

“La nostra capacità di ripresa economica è strettamente legata alla capacità che metteremo in campo per risolvere la crisi bancaria”

Paolo Balice – Presidente di AIAF (Associazione Italiana degli Analisti e Consulenti Finanziari)
“Come fai ad imporre ad un padre di famiglia degli obblighi che gli impediscono di ripagare i propri debiti?” Lo scenario attuale, secondo Paolo Balice, sta tutta in questa domanda provocatoria. “La nostra capacità di ripresa economica è strettamente legata alla capacità che metteremo in campo per risolvere la crisi bancaria”. Tra le tante cose che sono state trascurate dalla politica distratta del Paese ci sono, secondo Ferretti, i mercati dei capitali. I problemi attuali, per il Presidente di AIAF, sono così riassumibili: “La crisi del Debito Sovrano del 2011, impattando sul rating dell’Italia e quindi sul merito di credito delle banche domestiche, ha ridotto la loro capacità di funding sul mercato interbancario e presso gli Istituti istituzionali internazionali come i fondi monetari Usa”. Da qui il credit crunch “che ne è derivato ed è stato uno dei fattori che hanno alimentato la spirale recessiva”. Una spirale al ribasso che “unitamente all’alto grado di bancarizzazione del sistema italiano ha determinato una impennata dei crediti problematici”.
Come se ne esce? Due sono le soluzioni proposte da Balice. La prima: “Borsa Italiana deve riacquistare un ruolo centrale come naturale approdo di emittenti ed investitori sul segmento dell’impresa media e medio-piccola. L’esperienza di AIM deve essere, però, abbinata ad una rivitalizzazione della presenza in Borsa di molte Pmi, poco trattate e, spesso, non coperte dagli analisti”. La seconda: “Le imprese italiane devono riposizionarsi su un corretto mix tra risorse proprie, credito bancario, emissioni obbligazionarie e possibilità di accesso ad un mercato equity efficiente”. L’Italia e le sue aziende devono trovare un nuovo “equilibrio corretto nella finanza di impresa ed evitare concentrazioni di rischio sul sistema bancario”.

Con le nuove regole di Bruxelles, il credito classificato deteriorato aumenterà e ci saranno meno possibilità per le imprese di ricevere credito e, quindi, di investire

Andrea Ferretti – Docente di Gestione delle Imprese Familiari dell’Università di Verona
“Venendo da 8 anni di crisi il rischio di deterioramento del credito concesso dalle banche alle imprese è ovviamente elevato. E ciò, in un Paese dove il ricorso a questo strumento di finanziamento delle aziende è la principale voce di sostegno agli investimenti, diventa pericoloso, tanto più oggi che l’Europa è pronta a introdurre nuove regole che obbligheranno le banche ad aumentare il patrimonio a copertura del credito concesso e oggi a rischio”, spiega Andrea Ferretti. Meno risorse, dunque, da mettere sul piatto della crescita. Risultato: “Un ulteriore freno a nuova concessione del credito”. E, dunque, un ulteriore ostacolo alla ripresa. Il problema, inoltre, è che basta poco perché un credito possa per essere classificato deteriorato. E in futuro potrebbe bastare ancora meno. Per esempio sul fronte degli sconfinamenti sui fidi concessi, una pratica tutta Italiana. Oggi per non essere considerato deteriorato uno sconfinamento deve mantenersi entro i 90 giorni e non risultare superiore alla soglia del 5% dell’esposizione di cassa. Il problema, però, è che in questi giorni si parla di abbassare tale soglia al 2 o 2,5%. “Livelli - spiega la pericolosità di una tale scelta Ferretti - non pensati per un sistema come quello italiano dove il 5% non è lassismo, bensì un limite studiato sul taglio delle Pmi e di un sistema bancario, come il nostro, molto più disposto a finanziare le imprese, rispetto alle altre banche europee, meno propense a concedere credito al sistema produttivo”. E, dunque, anche qui, la Ue sta pensando a nuove regole di vigilanza “che non tengono conto delle peculiarità dell’Italia, che così rischia di essere isolata”. Con le nuove regole, in pratica, il credito classificato, secondo le nuove norme di Bruxelles, deteriorato aumenterà e ci saranno meno possibilità per le imprese di ricevere credito e, quindi, di investire. Regole tecniche, ma che rischiano di impattare e non poco sulle aziende e la nostra ripresa.

Ancora una volta siamo penalizzati da regolamentazioni che mal si adattano alla tipicità del nostro sistema economico e che lo rendono più vulnerabile. Forse, nel caso italiano, bisognerebbe elaborare i rating al netto dei debiti bancari a breve termine

Claudio Grossi – Docente di Analisi Finanziaria all’Università Cattolica di Milano “Quali effetti avrebbe su un malato una pur ricca e completa terapia se la diagnosi del medico fosse sbagliata?” Nella domanda di Claudio Grossi c’è già una risposta ribaltabile sull’attuale situazione economica dell’Italia e dell’Europa. Come dire: stiamo andando dalla parte sbagliata. Stiamo curando una malattia che non c’è, senza intervenire sui reali problemi che ci frenano. Grossi lo spiega così: “Le Pmi e le micro imprese italiane sono mediamente quattro volte più esposte nei confronti del sistema bancario delle imprese scandinave, tre volte più indebitate di quelle tedesche, francesi, inglesi. Due volte e mezza più indebitate della media europea. Per quelle che vendono agli enti pubblici, è persino peggio”. Il problema, infatti, sta proprio qui: “Sui tempi dei pagamenti che troppo spesso appesantiscono e a volte strozzano la gestione della liquidità”. Ne consegue un pesante a anomalo ricorso al credito. Un ricorso che, fenomeno tutto italiano, impatta negativamente sul calcolo dei rating. Ancora una volta siamo penalizzati da regolamentazioni che mal si adattano alla tipicità del nostro sistema economico e che lo rendono più vulnerabile. Forse, nel caso italiano, bisognerebbe elaborare i rating al netto dei debiti bancari a breve termine. Ma non è un percorso facile. Uno scenario completamente ignorato da Bruxelles: “Peccato che la Bce e tutti gli organismi europei che producono regolamenti - dice infatti Grossi - di questo fenomeno se ne siano dimenticati e abbiano prodotto parametri di valutazione dello stato di salute delle imprese assolutamente identici per tutti”. Risultato: “Regole a cui devono uniformarsi anche le banche italiane, che subiscono così restrizioni nella concessione nuovo credito”. Che, anche se volessero, non potrebbero erogare. E allora? Bisogna arrendersi al fatto che la ripresa non sarà finanziata dal sistema bancario e dunque non arriverà mai? No. Secondo Grossi, la palla passa alle imprese che devono cambiare pelle. Prima di tutto finanziaria. Tre, i consigli. Primo: “Ricostruire una diversa scala di importanza e di valore rispetto alle variabili d’impresa: la finanza deve diventare il perno centrale di ogni scelta, non l’ultimo anello della catena. Un’impresa non può vivere di finanza, ma di finanza può morire in un attimo”. Secondo: “Il paradigma che se aumenta il fatturato, allora aumentano gli investimenti e dunque cresce l’azienda, deve essere abbandonato. L’equilibrio globale, e dunque il rating, è l’unico paradigma su cui basare qualsiasi strategia e valutazione imprenditoriale”. Terzo: “Se è vero come è vero, e sempre di più lo sarà con le nuove regole europee, che le banche non valutano le aziende secondo gli stessi parametri degli imprenditori, allora per questi ultimi l’unica possibilità di non tenerne conto senza gravi rischi è di mettersi nelle condizioni di non avere più bisogno delle banche”. In tre parole: aprirsi al mercato.

 

 



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