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“Balcone a Velate” è un olio su tela di due metri per poco meno di tre che Renato Guttuso dipinse nel 1967. Dietro una larga vetrata che aggetta sulla valle, un uomo è appoggiato alla ringhiera della terrazza ed osserva le ultime luci del giorno estivo svanire dietro la gran mole del Monte Rosa, in un tripudio di rossi, di verdi e di blu. Presentato alla mostra “Guttuso a Varese”, che il Comune (il sindaco era Giuseppe Gibilisco, assessore alla Cultura Salvatore Caminiti, direttore dei Musei Civici Silvano Colombo: giusto ricordare i promotori di una delle iniziative culturali varesine più straordinarie dal dopoguerra in qua) aveva organizzato a Villa Mirabello nel 1984, fu senz’altro uno dei dipinti che Giovanni Testori ammirò maggiormente. Nell’introduzione al catalogo, intitolata “Quei tramonti sul lago…”, il grande scrittore e critico d’arte milanese (ma con forti radici a Varese sia per ragioni familiari sia artistiche) si lascia trascinare proprio “in quei tramonti sul lago e sui casali; sui coppi dei tetti; sui boschi; sui castagni; su Varese; su Velate e su tutta, e intera, la terra” cui “chi scrive si sente legato, imprigionato, e amato, come se ne facesse parte o parte ne avesse fatta”.

Giovanni Testori e i tramonti di Varese, città che scelse per vivere gli ultimi mesi e che amò sino alla fine
AMORE PER LA CITTA’ GIARDINO
Testori aveva imparato ad amare presto la Città Giardino. Molti i motivi delle sue visite piuttosto frequenti: la sorella, i nipoti, le amicizie d’arte, il “gran teatro montano” del Sacro Monte (memorabile, per chi scrive, una sua “visita guidata” sotto lo sferzare della pioggia in una mattinata di primavera, con sosta infreddolita alla Settima Cappella), le pale del Cerano e del Morazzone conservate nella basilica di San Vittore. Ma ad un certo punto ci fu qualcosa in più, qualcosa di ineffabile e unico: “E’ una cultura, quella del circondario varesino, talmente legata a Milano, è una propaggine tra la cultura milanese e quella ticinese. E poi mi piace moltissimo, devo dire, questa capacità di ordine dentro il rigurgito della vita moderna che Varese e il Varesotto sono riusciti a tenere nei confronti di altre zone, per esempio la Brianza, che si è lasciata travolgere dal meccanismo del consumismo. In Varese c’è questo senso civile, civico, umano anche, di rispetto. Questo me l’ha sempre fatta amare”, le forti prese di posizione etiche e morali, la ricerca religiosa ed il conseguente, quasi scontato attacco da parte del mondo culturale dominante nei grandi quotidiani. La Varese degli anni Ottanta concedeva all’autore de La Gilda del Mac Mahon, de L’Arialda, del L’Ambleto, testi teatrali che avevano suscitato scalpore nell’Italia benpensante di vent’anni prima, una sorta di tranquillità da “quiete dopo la tempesta”, se mai un tipo irriducibile come Testori abbia potuto e voluto conoscere quiete in vita sua.

L’amore del grande scrittore e critico d’arte milanese per “quei tramonti sul lago e sui casali; sui coppi dei tetti; sui boschi; sui castagni; su Varese; su Velate”
I TRAMONTI DAL COLLE CAMPIGLI
Furono i tramonti ad ammaliarlo più d’ogni altra cosa. “Varese è uno dei posti del mondo dove ci sono i più bei tramonti che abbia mai visto. Non c’è volta che attraversi la zona del Varesotto, verso il lago, che io non venga colpito, lacerato da quelle incredibili sere”. Per un uomo di pianura come lui, nativo di Novate “paese mio così prosaico a pronunciarsi, con quel Milanese in coda, poi!”, le balze prealpine offrivano l’opportunità d’un respiro più largo e lungo, con le ombre lunghe che lasciavano colorato il cielo e ombroso il piano fino alla sua Milano, ai tanti laghi che fanno da specchio, alla catena innevata delle Alpi. Da qui la mostra guttusiana “sui tramonti” cui abbiamo accennato e la scelta, che immaginiamo quasi naturale, di trascorrere lunghi periodi di convalescenza al Palace Hotel sul Colle Campigli, eccezionale punto di sguardo ad un fiato dalla città, nei primi anni Novanta. La malattia lo stava lentamente divorando, ma nelle ore di silenzio vissute tra gli ampi spazi liberty del Sommaruga e gli ombrosi viali del parco, con gli occhi suoi azzurri resi ancora più azzurri dall’incontro tra cielo e lago, Testori confidò all’amico e scrittore Luca Doninelli un testamento d’amore per la vita che inizia così: “Tu non ci crederai, ma sono tre anni che sono malato e sono tre anni che non conosco malinconia. E sono io il primo a meravigliarmene. Come può, un tipo come me, un furibondo, accettare se stesso e il male con questa calma? Per Grazia. E’ come se un vento si fosse finalmente calmato”. Era la metà del 1992. Giovanni Testori morirà a Milano il 16 marzo 1993.


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