Basta: o rispetti le regole o con te non gioco più. Chi fermerà l’invasione di acciaio cinese e la sovraccapacità produttiva dell’industria siderurgica di Pechino? Lo Stato più popolato al mondo merita il riconoscimento di “Economia di mercato” oppure no? Questo è il problema… europeo, italiano e non solo. Ma facciamo un passo indietro. Era il 1° novembre 2001 quando veniva siglato un Protocollo che sanciva l’ingresso della Cina tra i paesi membri del Wto, l’Organizzazione Mondiale del Commercio. Trascorsi quindici anni da quella data, l’Unione Europea deve determinare se concedere alla Repubblica Popolare Cinese il Mes (Market economy status), più noto come stato di “Economia di mercato”. E quella decisione si fa sempre più vicina, allarmando le imprese.

Già dal 2013 oltre 30 paesi, tra cui Russia e Australia, hanno accordato alla Cina quello status, che comporta una significativa riduzione dei dazi antidumping e antisubsidy nei procedimenti di difesa commerciale nei suoi confronti. In Europa, invece, sono attualmente ben 52 le azioni aperte nei confronti della Cina che, secondo i calcoli del Rapporto Annuale della Dg Trade, applica un dumping che oscilla da un minimo del 21,5% ad un massimo del 130,8%. Con un dumping medio del 57% e un margine di pregiudizio medio del 39%, il dazio medio ad oggi in vigore è del 33%. Anche per questo Usa e Giappone hanno lasciato intendere, senza troppi giri di parole, che dal canto loro lo Stato della Grande Muraglia continuerà ad essere “economia-non-di-mercato”. Eppure la Commissione Europea ha avuto non pochi ripensamenti circa una decisione di tale rilevanza. E una posizione ufficiale vera e propria non è stata ancora presa.

Da una parte la sovraccapacità produttiva. Dall’altra una politica dei prezzi che la stessa Federacciai non ha dubbi a definire vero e proprio dumping. Ecco perché le imprese chiedono all’Europa di tenere alta la guardia nei confronti dell’industria siderurgica del Paese asiatico

Il problema riguarda la tenuta dell’intero sistema produttivo italiano. Proprio per questo Varesefocus se ne occupò a inizio anno (nel numero di febbraio della rivista). Ma di sicuro uno dei comparti oggi più in allarme e a rischio è quello dell’acciaio. Quali sarebbero le ripercussioni concrete per le imprese siderurgiche dello Stivale? Il più pressante e complesso dei problemi è di sicuro la sovraccapacità produttiva cinese, passata in pochissimo tempo da un volume di produzione pari al 10-15% dell’acciaio mondiale al 50%. Il che ha portato ad un’eccedenza di offerta a cui si è accompagnato un calo del consumo interno. Risultato: una marea di acciaio in più in giro sui mercati di tutto il globo. “Esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno o su un altro mercato, oppure addirittura sotto costo, da parte di trust già padroni del mercato interno, generalmente condotta con l’appoggio dello Stato, allo scopo d’impadronirsi dei mercati esteri”: questa la definizione di dumping. Il che rispecchia, secondo la stessa Federacciai, la condotta sleale di mercato che la Cina attualmente mette in campo, forte di sovvenzioni e agevolazioni statali che le permettono di produrre con costi molto più bassi rispetto ai concorrenti europei e non solo. Le prime ad essere colpite e a risentire dello squilibrio tra domanda e richiesta del mercato sono le imprese che lavorano in regime di concorrenza, come spiega Flavio Bregant, Direttore Generale di Federacciai: “Noi siamo assolutamente favorevoli alla libera concorrenza del mercato e quello dell’acciaio è fortemente internazionalizzato. In questo quadro, se qualcuno si comporta in modo sleale in ambito concorrenziale, è chiaro che danneggia tutti gli altri produttori e quindi siamo particolarmente preoccupati e combattiamo in ogni modo la concorrenza sleale, che questa arrivi dalla Cina o da qualsiasi altro paese”.

La definizione di dumping: “Esportazione di merci a prezzi molto più bassi di quelli praticati sul mercato interno, oppure addirittura sotto costo, allo scopo di conquistare i mercati esteri”

A livello nazionale, la siderurgia contribuisce a produrre lo 0,5% del Pil e il 2% dell’occupazione diretta nel settore manifatturiero. Su scala europea poi l’Italia è il secondo principale mercato in quanto produzione di acciaio grezzo (13% sul totale europeo) e in termini occupazionali (11%). Il Bel Paese inoltre, in barba al trend europeo in continua discesa, nell’aprile di quest’anno ha registrato un incremento nella produzione d’acciaio, con 265mila tonnellate in più rispetto al dato dello stesso periodo del 2015. Tuttavia a frenare l’entusiasmo delle aziende, ci pensa ancora una volta la Cina, che lo scorso anno ha più che raddoppiato i suoi livelli di esportazioni in Italia, superando addirittura l’Ucraina e finendo per controllare il 13,4% delle importazioni totali di prodotti siderurgici primari. Risultati e prospettive allarmanti, specialmente di fronte al rischio del venir meno di un sistema di protezione adeguato rispetto alla commercializzazione di prodotti cinesi.

Flavio Bregant, Direttore Generale di Federacciai: “Combattiamo in ogni modo la concorrenza sleale, che questa arrivi dalla Cina o da qualsiasi altro paese”

E qui la palla passa alla Commissione Europea che sul riconoscimento alla Cina dello status di “Economia di mercato” non ha ancora preso una decisione formale. A luglio il Vicepresidente della Commissione al Commercio, Jyrki Katainen ha dichiarato: “Vogliamo mantenere la nostra apertura internazionale e restare favorevoli ad un commercio più libero e più equo”. La posizione è insomma quella di salvare capra e cavoli. Da una parte Katainen ha assicurato che “noi non garantiremo alla Cina lo status di Economia di mercato”. Dall’altra, però, per non inimicarsi un partner commerciale strategico, la Commissione Ue ha annunciato che proporrà entro fine anno una nuova metodologia di calcolo dei dazi. Ma il rischio, per le associazioni industriali europee è quello di un “compromesso al ribasso”. Così come prospettato, con non pochi timori, dalla stessa Confindustria. “Il fatto che la Cina non sia un’Economia di mercato non è una novità. Siamo lieti che la Commissione lo abbia ribadito, ma più che le definizioni ci interessano i cambiamenti nel regolamento antidumping. Con l’eccesso di capacità produttiva cinese, che oggi interessa la siderurgia, ma domani potrebbe toccare qualsiasi settore manifatturiero, l’antidumping Ue deve rimanere realmente efficace, non soltanto a parole”.

Su scala europea l’Italia è il secondo principale mercato in quanto produzione di acciaio grezzo (13% sul totale europeo) e in termini occupazionali (11%)

Questo il commento di Lisa Ferrarini, Vicepresidente per l’Europa di Confindustria. “Non abbiamo ancora visto una proposta tecnica: possiamo commentare soltanto le dichiarazioni e, purtroppo, non mancano i motivi di apprensione. Non è pensabile adottare nei confronti della Cina la stessa metodologia di calcolo del dumping che si usa per gli Stati Uniti e la Commissione lo sa bene visto che ha definito lei stessa i cinque criteri macroeconomici per distinguere le economie di mercato da quelle sussidiate dallo Stato”. Parametri fondamentali che, però, secondo Ferrarini, le dichiarazioni fino ad oggi rilasciate da Bruxelles non menzionano: “Come se l’Europa dovesse vergognarsi di esigere da tutti i suoi partner commerciali concorrenza leale. Il rischio è che la soluzione prospettata dalla Commissione dia luogo a un meccanismo talmente farraginoso e oneroso per le imprese europee da rivelarsi una concessione di fatto del Mes alla Cina”.



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