Le ricerche sulla lignina, gli insetti come strumento per la riconversione dei rifiuti, i progetti di economia circolare, i principi di origine ittica per la cosmesi: ecco alcuni filoni su cui stanno lavorando il mondo delle imprese e della ricerca scientifica

Il petrolio del futuro? La lignina. Gli scarti di plastica? Se li mangeranno gli insetti. Visioni di futuro nemmeno troppo lontano che partono da presupposti, economici, sociali e scientifici, molto presenti e concreti. Sono alcuni tra gli spunti emersi al convegno “Bioeconomy dialogues, progetti green dal territorio e oltre” dedicato a raccontare le eccellenze varesine e non solo e ad aprire appunto un dialogo tra queste. Un convegno organizzato nella sede di Saronno dall’Unione degli Industriali della Provincia di Varese (che da tempo ha attivato un ambizioso progetto di economia circolare denominato Life M3P con lo scopo di aumentare la re-immissione nel ciclo produttivo locale degli scarti industriali) insieme all’Università degli Studi dell’Insubria (che vanta alcuni progetti scientifici altamente innovativi in tema di bioeconomia) e al Cluster Regionale della Chimica Verde. 

Un incontro per fare rete e mappare alcune iniziative e idee che anche l’opinione pubblica, oltre alla comunità delle imprese e quella scientifica, dovrebbe conoscere: sul tavolo la questione del futuro eco-sostenibile di ciascuno. Una considerazione su tutte: l’economia circolare per l’Unione Europea è una priorità non in ambito scientifico ma in tema di ricerca e sviluppo. Non tutti sanno però che il territorio varesino e lombardo vantano iniziative innovative in merito. Si pensi ad esempio al Cluster della chimica verde. “Il Lombardy Green Chemistry - spiega il Presidente Diego Bosco - è una realtà nata per fare formazione, informazione e networking: uno strumento operativo per creare una catena del valore della filiera finalizzata a produrre innovazione”. In pratica uno strumento per fare rete tra imprese e comunità scientifica. Si pensi in questo senso anche alla partecipazione della Regione Lombardia a un progetto Interreg come Circe che punta a mettere in rete le iniziative internazionali e che accanto alla nostra Regione, come capofila, vede coinvolte realtà territoriali di Spagna, Polonia, Olanda, Regno Unito, Francia, Bulgaria e Slovenia.

Tra le realtà più attive in tema di bioeconomy c’è il Lombardy Green Chemistry: uno strumento operativo nato per creare una catena del valore, attraverso l’incontro del sistema produttivo con i laboratori di ricerca

E per quanto riguarda la ricerca? “La nostra Università - racconta Flavia Marinelli, Presidente del Corso di Laurea in Biotecnologie all’Università degli Studi dell’Insubria - si pone di fronte alle sfide scientifiche con tre iniziative molto lungimiranti e ambiziose. Una ricerca sulla lignina come risorsa fino a ieri impensabile, ma sempre più indispensabile, condotta da Loredano Pollegioni; la valorizzazione della frazione organica del rifiuto (obbligo oppure opportunità?) affrontata da Vincenzo Torretta e la bioconversione di rifiuti mediata da insetti con Gianluca Tettamanti”. Tema sempre più di tendenza quest’ultimo in un momento in cui si ipotizza l’uso alimentare degli insetti anche sulle nostre tavole. Le idee sono molteplici: da quella di ridurre lo spreco alimentare (secondo i dati FAO 1,3 miliardi di tonnellate) usando gli insetti mangia rifiuti per la riconversione: sfruttandoli come mangime ricco per gli animali da allevamento o valorizzandone i grassi come basi per prodotti vari dalla cosmetica ai fertilizzanti. Infine, un uso davvero affascinante è quello del “bruco mangia plastica” per il polietilene o, secondo una sperimentazione cinese, quello “mangia polistirolo”. Altro tema di grande impatto è quello della lignina attualmente considerata molto povera e sprecata ma che in realtà rappresenta un polimero organico dalle enormi potenzialità. Tra gli usi, l’ambizione è quella di farne il petrolio del futuro, ma allo stato attuale le tecnologie non sono sufficientemente sviluppate per un uso ottimale e, soprattutto, in grande scala dell’elemento. 

E per quanto riguarda le imprese? Le stesse realtà aziendali del territorio si stanno attivando: si va dall’incubatore Fondazione Istituto Insubrico di Ricerca per la Vita ad iniziative focalizzate sui microorganismi come quella di Actygea, l’esperienza legata ai funghi di Micologica a quella di Chemo Biosynthesis. Curiosa, in particolare, è la storia di Kalichem, realtà del Gruppo Lamberti che ha studiato un principio attivo di origine ittica come base per la cosmetica di altissima qualità (vedi box sotto).“Per quanto ci riguarda - spiega invece Luisa Minoli Responsabile dell’Area Innovazione dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese - crediamo nell’economia circolare come leva di sviluppo e stiamo portando avanti un ambizioso progetto che si chiama Life M3P (vedi art. Varese non vuol buttare via niente sul n. 3/2017). Il metodo è semplice: fare in modo che lo scarto di un’impresa diventi la risorsa di un’altra.  A fronte di questa semplicità teorica, naturalmente si tratta di un progetto molto impegnativo, in particolare perché serve far incontrare le giuste imprese, ma siamo convinti che sviluppare un sistema di valorizzazione dei rifiuti industriali sia una grande leva di sviluppo per le il sistema produttivo oltre che un beneficio per tutta la collettività”. 

Lo storione di bellezza

Del pesce non si butta via nulla. è proprio il caso di dirlo. Il progetto è di quelli che piacerà a molti ma che conquisterà letteralmente un pubblico di over 40. L’idea è quella di Kalichem, divisione del Gruppo Lamberti, che ha studiato un principio attivo di origine ittica come base per i prodotti cosmetici antirughe. Protagonista è lo storione, un pesce che è tra i più grandi di acqua dolce e salmastra diffuso in Europa, Russia e America, un ingrediente raffinato della cucina di alto livello sia per le pregiate carni che per le sue famosissime uova. Ma cosa succede al resto del pesce? Si scarta, come per la maggior parte dei prodotti. E qui interviene il progetto green. Dalle gonadi di storione maschio, infatti, è possibile ricavare, tramite un processo di biotecnologia, il desossiribonucleato di sodio. Per i comuni mortali si tratta, in estrema semplificazione, di un processo di estrazione e lavorazione del dna e lavorazione con il sodio. Ma a cosa serve questo principio? L’idea prende spunto da studi degli anni ‘50 e da esperimenti compiuti in Russia già quarant’anni fa per sviluppare trattamenti nelle patologie indotte da radiazioni ionizzanti: le prime rilevazioni funzionali, infatti, si hanno nel 1986 per far fronte alle conseguenze di Chernobyl. Negli anni successivi, numerosi test clinici finalizzati al trattamento di lesioni e affezioni cutanee ne confermano l’efficacia mettendo in luce effetti secondari: tra questi, il rallentamento della comparsa di rughe cutanee che spinge agli studi su quest’attività come principio attivo anti-age. Nasce quindi Kalinat (per i patiti dell’Inci: Sodium Dna), definizione commerciale del desossiribonucleato di sodio. I test in laboratorio e su un campione di soggetti di questo principio confermano un aumento di elasticità e idratazione, diminuzione della rugosità e capacità di resistere allo stress da raggi Uva. Questo lo rende ingrediente perfetto per creme anti-età e antirughe ma anche per prodotti solari, per bambini, per il trattamento di pelli secche e danneggiate, ad esempio per le smagliature. 



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