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“L’industria chimica è, con i suoi prodotti, un’infrastruttura tecnologica del Paese. Sempre più sicura e verde: le nostre imprese hanno diminuito del 55% le emissioni di gas serra negli ultimi 25 anni”

“L’industria chimica è, con i suoi prodotti, un’infrastruttura tecnologica del Paese. Un abilitatore di progresso per tutte le imprese, per la società, per la sicurezza e la salute delle persone”. Di più: “Siamo una scienza e con parametri scientifici dobbiamo essere giudicati”. Per intendersi: “Chi addita ideologicamente la chimica come dannosa, per partito preso, dovrebbe anche sapere che senza ad esempio gli agrofarmaci la produzione agricola mondiale calerebbe del 40%. Con quali conseguenze per la popolazione?”  A parlare è Paolo Lamberti, Presidente di Federchimica, l’associazione di categoria, inserita nel Sistema Confindustria, che rappresenta a livello nazionale e internazionale il settore chimico italiano. Un imprenditore fortemente legato al territorio. È infatti Presidente di una delle più importanti aziende, per numero di dipendenti e fatturato, del Varesotto: la Lamberti Spa di Albizzate. Nonché past president dell’Unione degli Industriali della Provincia di Varese e della LIUC – Università Cattaneo. È con lui che Varesefocus prova a scattare una fotografia del settore in Italia. Andando oltre il semplice quadro congiunturale.

Che situazione sta vivendo in questo momento l’industria chimica italiana?

Dopo 10 anni di crisi durissima, finalmente possiamo guardare al futuro con più ottimismo e dire, con orgoglio, che l’industria chimica è tra i settori che meglio hanno saputo resistere e reinventarsi. Abbiamo chiuso il 2017 con un aumento della produzione prossimo al 3% e, per il 2018, ci aspettiamo di proseguire su ritmi non distanti. In questi anni, abbiamo puntato moltissimo sui mercati internazionali con ottimi risultati: siamo il terzo settore esportatore italiano e nel 2017 l’export ha sfiorato una crescita del 10%, con una performance migliore rispetto a Germania e Francia. Grazie al nostro solido posizionamento competitivo e al contenuto tecnologico dei nostri prodotti, abbiamo contenuto le perdite in termini di occupazione negli anni della crisi e oggi possiamo tornare ad assumere.

Quanto vale l’industria chimica italiana nel mondo?

Con un valore della produzione pari a 52 miliardi di euro, l’Italia è il terzo produttore chimico europeo e il nono a livello mondiale. Essendo un settore tecnologico, i nostri concorrenti sono soprattutto i Paesi avanzati. Tuttavia, anche gli Emergenti, prima fra tutti la Cina, stanno investendo massicciamente per arrivare ad offrire anche i prodotti più sofisticati. Oltre a mantenere una presenza significativa e strategica nella chimica di base, siamo specializzati nella chimica fine e specialistica ossia in tutti quei prodotti che trovano impiego negli altri settori industriali. Spesso alla base del successo del Made in Italy ci sono proprio una sostanza o un prodotto chimico innovativo. Per questa ragione, l’industria chimica rappresenta un’infrastruttura tecnologica per tutto il sistema industriale.

Varese rappresenta la quarta provincia in Italia per addetti nella chimica-farmaceutica. Terza, per il solo chimico. Come si spiega il radicamento così forte di questa nicchia produttiva sul territorio, di cui lei stesso rappresenta uno dei massimi esponenti?

Sì, è vero, l’industria chimica è fortemente radicata nel Varesotto, anche se spesso la gente non lo sa e lega l’immagine della nostra industria più al tessile, all’aerospazio o alla meccanica. In realtà, l’offerta chimica italiana storicamente si è sempre sviluppata in sinergia con le esigenze espresse dal territorio. Varese ha una realtà industriale significativa, pensiamo al tessile ma anche ai manufatti in plastica, e, di conseguenza, esprime una domanda di chimica importante non solo in termini di volumi, ma anche e soprattutto di qualità.

“Abbiamo chiuso il 2017 con un aumento della produzione prossimo al 3% e, per il 2018, ci aspettiamo di proseguire su ritmi non distanti. Ci traina l’export cresciuto nello stesso periodo del 10%”

Si è aperta una nuova legislatura. Cosa chiede l’industria chimica alla propria classe politica?

La competitività è assai difficile da costruire, ma basta poco per distruggerla. Questo è ancor più vero per l’industria chimica che è molto sensibile alle condizioni esterne: normative, infrastrutture, costo dell’energia, formazione e ricerca, sistema fiscale, i tempi della giustizia, sono tutti fattori che incidono in modo sostanziale sulla competitività delle nostre imprese. Ma se devo indicare la priorità assoluta, in fondo la madre di tutte le riforme, è contrastare la cultura anti-industriale, che permea tutto il sistema e si riflette in una Pubblica Amministrazione non orientata ad aiutare le imprese. Gli esempi, purtroppo, sono numerosi, anche in Lombardia dove il tempo medio per ottenere il rinnovo di un’Autorizzazione Integrata Ambientale è di circa 2 anni e mezzo ma può protrarsi anche per oltre 4 anni. Laddove, invece, la normativa prevede la conclusione entro 240 giorni.

Le battaglie contro la plastica. Le crociate contro il petrolchimico. La cultura anti-impresa, spesso presente in Italia, nei confronti del vostro settore è forse ancora più accentuata. Come definirebbe oggi il rapporto dell’industria chimica con l’opinione pubblica?

Il rapporto tra la chimica e il pubblico è certamente critico: soffriamo un pregiudizio negativo che viene da lontano e che purtroppo nemmeno l’evidente e considerevole contributo che i nostri prodotti conferiscono alla qualità della vita riesce a far superare. Le ragioni sono tante, per esempio l’assenza di cultura scientifica in Italia da un lato e un diffuso sentimento anti industriale dall’altro. Poche conoscenze scientifiche significano scarsa capacità di apprezzare l’enorme progresso compiuto per raggiungere un benessere diffuso, cibo abbondante e sano, allungamento della vita e molto altro. Tutti elementi che ci penalizzano e che nel sentire comune comportano il più delle volte una accentuata drammatizzazione ed un allarmismo ingiustificato sulle nostre attività e prodotti.

E invece?

Invece l’industria chimica occupa da anni posizioni di alta classifica tra i settori più virtuosi per la salute e la sicurezza dei lavoratori, oltre che per la tutela dell’ambiente. Lo dimostrano i dati del nostro Rapporto Responsible Care: negli ultimi 25 anni gli infortuni e le malattie professionali, rapportate alle ore lavorate, sono diminuite ad un ritmo medio annuo rispettivamente del 5 e del 6%. Le imprese hanno ridotto le emissioni di Gas Serra del 55%. La nostra industria ricorre allo smaltimento in discarica per il solo 9,1% della produzione, mentre il 23% dello scarto è destinato al riciclo e il 39% al ripristino ambientale.  

Qual è dunque il messaggio che lanciate all’opinione pubblica?

Semplice: vivere senza chimica è impossibile. Il contributo dei prodotti chimici a tutto ciò che ci circonda è davvero immenso e rinunciarvi significherebbe un inimmaginabile e pericoloso balzo indietro nel tempo.

“Se devo indicare la priorità assoluta per il settore, la madre di tutte le riforme è contrastare la cultura anti-industriale, che permea tutto il sistema, contagiando anche la Pubblica Amministrazione”

Il settore della chimica è sicuramente uno di quelli che ha i migliori rapporti tra le parti sociali che lo compongono. Come si spiega questo scenario in un mondo che più in generale è, invece, spesso conflittuale?

Noi attribuiamo grande valore strategico alle Relazioni Industriali, che consideriamo come un impegno coerente e di lungo periodo, che ci ha consentito di realizzare nella contrattazione nazionale e aziendale scelte utili alle imprese e ai lavoratori (proprio in questi giorni abbiamo siglato l’intesa relativa al Fondo T.R.I.S. per agevolare il ricambio generazionale). Il ruolo del nostro Contratto Nazionale non è mai stato solo quello della regolazione di obblighi e diritti, ma, piuttosto, quello di strumento per cogliere esigenze, orientare scelte e comportamenti adeguati a supportare il cambiamento e a sostenere la competitività dell’impresa. Accordi rapidi, conflittualità praticamente inesistente, forte capacità innovativa: risultati non casuali, ma costruiti nel tempo, con relazioni tra le Parti caratterizzate da senso di responsabilità, da un atteggiamento pragmatico nella ricerca delle soluzioni negoziali, dalla continuità dei rapporti e dalla credibilità reciproca. Tutti elementi che hanno consentito di sviluppare un confronto non ideologico e basato sul merito dei problemi e non sui rapporti di forza.

Si parla sempre di più di un mismatch tra domanda e offerta di lavoro nell’industria italiana. Ciò vale anche per quella chimica?

Senza dubbio la corrispondenza tra esigenze dell'industria e profili formativi è un elemento fondamentale per un settore come quello chimico che è esso stesso scienza. Non è di conseguenza banale sostenere che la competitività delle nostre imprese dipenda anche dalla quantità e qualità dei giovani chimici. C'è ovviamente ancora molto da fare, ma sottolineo le tendenze positive in atto. Grazie al Piano Lauree Scientifiche del Miur (Ministero Istruzione, Ricerca e Università) che ci vede lavorare insieme agli atenei, il numero di iscritti è molto aumentato dopo esser sceso una decina di anni fa a livelli preoccupanti. Stanno crescendo anche gli insegnamenti di quella chimica che più interessa la specializzazione dell'industria italiana, cioè la chimica delle formulazioni.

Anche quella chimica è industria 4.0?

Industria 4.0 è una grande opportunità per rilanciare la competitività delle produzioni italiane. Nel caso specifico della Chimica, può contribuire a dare risposte concrete alle grandi sfide della Sostenibilità e dell’Economia Circolare rispetto alle quali il settore ha un ruolo centrale. È importante essere consapevoli che Industria 4.0 rappresenta un cambiamento non solo tecnologico, ma anche organizzativo e, come tale, andrà affrontato. L’industria chimica è nella posizione di gestire questo passaggio senza traumi perché ha anticipato molti delle trasformazioni che altri settori conosceranno nei prossimi anni: attività a ciclo continuo, centralità delle risorse umane e investimenti in formazione, modelli organizzativi flessibili e partecipativi. Federchimica ha avviato il Programma “Chemistry 4.0” a metà dello scorso anno. Abbiamo infatti verificato che alcuni Gruppi Chimici applicano i Big Data per elaborare le analisi sui comportamenti dei consumatori; la Sicurezza nei Luoghi di Lavoro è ulteriormente migliorata, utilizzando i droni per il controllo di tubature aree negli stabilimenti chimici; e in agricoltura la dispersione di agrofarmaci nelle aree coltivate avviene ora in modo particolarmente mirata, grazie al Data Mining dei dati ambientali e temporali.

 

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