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Da una parte le proposte della Vigilanza europea per diminuire lo stock di credito deteriorato. Dall’altra le pressioni tedesche per porre un limite ai Titoli di Stato in pancia alle banche. Ecco i rischi da tenere d’occhio per tutto il 2018 che potrebbero far diminuire il flusso di nuova finanza alle aziende

Forse è opportuno iniziare il 2018 dando uno sguardo di insieme alla situazione economico – finanziaria europea anche nel tentativo di individuare eventuali minacce che potrebbero riguardarci direttamente. Partendo dall’Italia, emerge chiaramente come, pur a fronte di una ripresa più lenta rispetto a quella dei partner europei, il nostro meccanismo economico inizi a dare segnali di vita finalmente palpabili. Infatti, i dati Eurostat relativi al terzo trimestre 2017 mostrano come il nostro Pil abbia inanellato rispetto al 2016 un +1,7%, percentuale inferiore alla media dell’Eurozona, ma comunque di tutto rispetto. Questo dato positivo appare, inoltre, sostanzialmente confermato sia dalle previsioni del Fondo Monetario che stima per l’Italia una crescita dell’1,5% nel 2017, sia dalle previsioni della Commissione Ue per il 2018 che indicano un incremento del Pil italiano intorno all’1,3%. Certo, niente a che vedere con le belve dell’Est Europa molto legate all’economia tedesca (Polonia +5,5%, Romania +8,6%, Repubblica Ceca +5%), tuttavia i nostri indicatori di crescita sembrano avere ormai abbandonato la zona dello “zero virgola” per attestarsi in media intorno ad un più confortante 1,5%. E, comunque, qualora qualcuno nutrisse dubbi sull’attuale miglioramento complessivo della nostra situazione, forse dovrebbe tornare con la mente al novembre 2011. Allora, in presenza di una generale sfiducia nella capacità dell’Italia di gestire il delicatissimo momento, la situazione rischiò davvero di avvitarsi trascinata dal tasso sui Btp salito oltre la soglia del 7% e dallo spread sul Bund balzato oltre i 570 punti base. 

La prima minaccia: il credito deteriorato
Oggi, dunque, lo scenario è molto diverso, tuttavia sul futuro economico-finanziario dell’Europa e, in particolare, dell’Italia, incombono almeno due minacce da non sottovalutare in quanto tra loro correlate. La prima di queste minacce è costituita dalle proposte di recente elaborate dalla Vigilanza volte ad un rapido smaltimento del credito deteriorato. In estrema sintesi queste proposte, contenute in un documento detto Addendum, prevedono che i Non Performing Loans – Npl, qualora garantiti, debbano essere totalmente coperti dalle banche con accantonamenti entro 7 anni dalla loro entrata nello status di credito deteriorato. Parallelamente, i crediti non garantiti dovrebbero, invece, essere totalmente coperti da accantonamenti entro il termine, decisamente breve, di 2 anni. Da evidenziare, per correttezza, che l’Addendum non interviene sulla copertura dello stock di Npl oggi in essere, ma sulle esposizioni, presenti e future, che dovessero assumere lo status di credito deteriorato dopo il 1° gennaio 2018. Il punto è che queste proposte presentano importanti criticità. Innanzitutto, in una fase economica caratterizzata da un moderato rischio di crisi sistemica ma, al contempo, da una crescita ancora fragile, brusche accelerazioni nella regolamentazione dei crediti deteriorati possono frenare la possibilità per i sistemi bancari dei Paesi più in affanno di supportare il tessuto industriale. Infatti, automatismi quali quelli proposti dalla vigilanza possono comportare per le banche ulteriori accantonamenti e ulteriori richieste di patrimonializzazione. Il problema è che, nel medio-lungo periodo, queste richieste della Vigilanza possono anche rendere il sistema nel suo complesso più solido, ma nel breve periodo tendono ad incidere negativamente sui flussi creditizi diretti alle aziende, sia in termini di quantità che di costo del credito. La conseguenza immediata è un rallentamento del processo di ripresa post crisi. 

La seconda minaccia: i Titoli di Stato in pancia alle banche
La seconda minaccia è strettamente connessa alla enorme mole del nostro debito pubblico che ormai ha raggiunto la vetta dei 2.300 miliardi. Qui il grosso problema per l’Italia non è costituito solo dalle dimensioni del debito, ma anche dal fatto che circa 320 miliardi di Btp sono saldamente detenuti nelle pance delle nostre banche. Da evidenziare, tuttavia, che è semplicistico incolpare i nostri istituti di aver approfittato dei momenti di tensione per fare il pieno di titoli ad alto rendimento incuranti del rischio connesso. In realtà, il nostro sistema bancario ha raddoppiato la quota di Titoli di Stato tra il 2011 ed il 2012 (da 200 a 400 miliardi circa) perché in quei momenti drammatici era indispensabile fugare ogni minima incertezza sulla capacità dell’Italia di onorare puntualmente le scadenze previste sul proprio debito pubblico. Il punto è che oggi questa massa di Btp detenuta dal sistema creditizio italiano si sta trasformando da ancora di salvataggio in un boomerang che potrebbe colpire il nostro sistema bancario impedendogli di supportare al meglio il sistema produttivo. Infatti, la Germania ed i suoi accoliti sono tornati a puntare l’indice contro le banche “mediterranee” (in particolare italiane e spagnole) colpevoli di essere troppo vulnerabili al connubio rischio banca - rischio sovrano. In realtà il problema era stato affrontato già nel 2016 quando un rapporto della Presidenza di turno olandese aveva ipotizzato anche la possibilità di imporre agli istituti un tetto fisso alla detenzione di titoli sovrani (si era parlato del 25% del patrimonio della banca). Tanto per dare un’idea delle conseguenze della proposta, Mediobanca Securities stimò allora che, applicando questo tetto, le principali banche italiane avrebbero dovuto scaricare circa 150 miliardi di Titoli di Stato con forti ripercussioni sulla solidità patrimoniale degli istituti stessi. Allora la minaccia fu fermata, ma oggi le pressioni tedesche si sono di nuovo rafforzate. Da evidenziare, a questo riguardo, che la grande attenzione dei tedeschi sul problema in esame, come accade spesso, non ha solamente motivazioni economiche, ma anche politiche. Infatti, persiste in Germania la necessità di tranquillizzare quegli elettori spaventati dalla prevista introduzione di una garanzia unica europea sui depositi bancari in presenza di banche “mediterranee” legate a doppio filo al rischio sovrano del proprio Paese. La conseguenza di tutto questo è che nei prossimi stress test previsti dall’Eba (European Banking Authority) sulle principali banche europee (fra cui Unicredit, Intesa Sanpolo, Banco Bpm ed Ubi), sarà dedicata particolare attenzione alla massa di Titoli di Stato detenuti nel portafoglio. Più in particolare, verranno applicati shock al portafoglio titoli sovrani (ad esempio picco dei tassi e conseguente crollo dei prezzi dei titoli pubblici detenuti) per verificare la capacita della banca sotto esame di assorbire eventuali perdite con il patrimonio a disposizione. Ma il vero rischio è che si tratti solo dell’inizio di una nuova offensiva che, in abbinamento alle proposte contenute nell’Addendum, possa ancora una volta colpire in particolar modo i sistemi bancari mediterranei con pesanti ripercussioni sulle imprese e su una crescita ancora troppo fragile. 



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