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Prevenire è meglio che curare. E, soprattutto, è più economico. Dal vecchio adagio ad una constatazione, che parte dai dati ma anche dal buon senso e che si applica a tutti i campi. Un esempio perfetto è quello del restauro conservativo e ce lo racconta Paolo Gasparoli, Politecnico di Milano della Gasparoli Srl di Gallarate.

Ci spiega cosa significa prevenire nel settore del restauro? 

Ad ogni disastro sismico o idrogeologico, ad ogni danno del sistema infrastrutturale o al patrimonio culturale si levano altre grida e mea culpa sulla mancata manutenzione. L'attenzione mediatica però cala subito sino alla crisi successiva. L’ultimo evento clamoroso è stata la morte del turista spagnolo colpito da un frammento staccatosi dall'interno, in Santa Croce a Firenze, nell’ottobre 2017. È l’ennesimo caso che ha messo in evidenza come il nostro straordinario patrimonio culturale sia in difficoltà per la sua enorme estensione e per la carenza di risorse. Decenni di mancate manutenzioni e di interventi diretti a favorire puntuali e più costosi restauri, per poi dimenticarsi a volte degli edifici da poco restaurati, hanno comportato ingenti spese ma con limitati risultati in termini di reale tutela dell’intero patrimonio.

Intende dire che sarebbe più economico pensarci prima?

È necessario cambiare strategia - anche in considerazione della attuale scarsità di risorse - per favorire interventi di “cura” e manutenzione costante, puntando tutto sulla prevenzione. Si può fare con attività ispettive e monitoraggi, anche di tipo speditivo, ma efficaci per la definizione delle urgenze e delle priorità di intervento. È inoltre possibile mettere sotto controllo il sistema edificato con sistemi di controllo digitale (smart preservation) avendo così a disposizione dati certi e in tempo reale. Le ragioni che suggeriscono di favorire processi indirizzati alla prevenzione dei fenomeni del degrado con attività programmate di tipo ispettivo e manutentivo - piuttosto che più invasivi interventi di restauro - sono da tempo note e largamente condivise, ma non hanno sinora trovato la disponibilità di efficaci apporti di carattere culturale e supporti di tipo finanziario, con defiscalizzazioni (come nel risparmio energetico) e premialità (si pensi solo all’IVA, che è al 4% sulla nuova costruzione, al 10% sugli interventi di restauro, al 22% sulle manutenzioni ordinarie).

Occorrerebbe però cambiare mentalità...

Affrontare problemi di questa natura presuppone l'attivazione di più incisive e coraggiose politiche di tutela e di gestione del patrimonio edificato e dell’intero ambiente costruito. Le strategie e le procedure connesse con la manutenzione programmata consentirebbero di risparmiare ingenti risorse prevenendo il degrado con attività semplici e ripetute nel tempo. Da esperienze sviluppate sul campo si è dimostrato che tali attività possono avere un costo annuo molto contenuto rispetto al costo dell’intero restauro. Garantendo più elevati livelli di conservazione e fruibilità. Le attività di controllo e cura hanno inoltre un forte impatto sulla costruzione del capitale intellettuale e costituiscono modalità elettiva per rendere più efficace l'investimento sul patrimonio culturale: i valori in gioco sono tali da rendere possibile un significativo incremento dell’occupazione giovanile, delle attività economiche a livello di indotto turistico e uno sviluppo locale coerente con i modelli di economia della conoscenza.

Su un periodo di 10 anni, un programma di manutenzione preventiva comporterebbe una riduzione di costi dall’80 al 60% in meno rispetto ai costi di un nuovo restauro, mantenendo inoltre stabile lo stato di conservazione

Può darci qualche numero del beneficio in termini economici della manutenzione preventiva?

“Certo. Diamo prima qualche dato per capire di cosa stiamo parlando: in Italia abbiamo circa 250.000 edifici soggetti a tutela (di cui circa 85.000 pubblici e 165.000 privati; tra questi circa 110.000 sarebbero di proprietà ecclesiastica – fonte MiBACT, 2009). Il volume presunto sarebbe compreso tra 5.000 e 7.000 milioni di mc. Altrettanti (250.000 circa) sarebbero gli edifici storici che sarebbero assoggettabili a tutela sulla base statistica degli esisti delle “dichiarazioni di interesse”. Inoltre ci sono le aree archeologiche (solo Pompei copre un’area di 60 ettari) e i siti UNESCO, che spesso sono siti seriali, comprendono, cioè, interi centri storici di città grandi o più piccole (Venezia, Firenze, Roma, Napoli, Siena, San Gimignano o Crespi d’Adda, ecc.). Su questo vasto e multiforme patrimonio sono urgenti interventi di riduzione del rischio sismico e interventi di prevenzione e manutenzione programmata. Considerato che i vantaggi in termini di migliore conservazione dei dati di identità e di autenticità sono riconosciuti come ovvi, vale la pena soffermarsi sui vantaggi economici. I dati derivati da esperienze dimostrano che i costi delle attività ispettive e di piccola manutenzione possono essere compresi tra il 2 e il 4% all’anno del costo di restauro. Pertanto, su un periodo di durata decennale, il risparmio economico potrebbe essere dall’80 al 60% in meno rispetto ai costi di un nuovo restauro, mantenendo inoltre stabile lo stato di conservazione. Per quanto riguarda i danni dovuti ad eventi sismici (a parte i costi umani per le vittime), dati attualizzati al 2014 dicono che negli ultimi 50 anni lo Stato ha stanziato circa 120 miliardi di Euro per la ricostruzione, quando ne sarebbero bastati da 1/3 a 1/4 per la messa in sicurezza preventiva del patrimonio. I costi economici della non-manutenzione sono quindi molto, molto elevati.

E in termini di occupazione?

Stando ai dati elaborati sulle dimensioni del patrimonio culturale edificato assoggettato a tutela, in relazione ai costi unitari relativi alle sole attività ispettive e di monitoraggio si potrebbe avere un incremento dell’occupazione giovanile qualificata corrispondente ad almeno 50.000 addetti/anno.

Se l’attività fosse estesa ad azioni di prevenzione del rischio sismico e di manutenzione programmata, si potrebbe arrivare più o meno a 1.000.000 di addetti/anno. È indispensabile considerare, inoltre, i costi indotti e le ricadute economiche che si avrebbero, ad esempio, sul turismo grazie alla valorizzazione e promozione della conoscenza, nel settore produttivo locale, attraverso la nascita di nuove imprese, il recupero delle abilità artigianali del passato, nella formazione di capitale umano.

Va detto che c'è un forte legame tra economia, cultura e cura del patrimonio

La cultura sta assumendo un ruolo strategico per la definizione di un nuovo modello competitivo nel contesto della società post-industriale, pertanto potrebbe fare da volano per la produzione e la diffusione di diversi modelli di sviluppo locale: un processo basato su un miglioramento della qualità della cura, un’attenzione alla formazione e alla ricerca scientifica, una crescita del capitale intellettuale e un coinvolgimento delle popolazioni locali a partire dalle consapevolezze connesse al senso di appartenenza al territorio, alla condivisione dei valori e alle potenzialità del territorio stesso. Gli studi condotti nell’ultimo decennio fanno dei processi di manutenzione preventiva e programmata un sistema solido e ben strutturato dal punto di vista concettuale, metodologico, tecnico e organizzativo: cioè sappiamo bene come si fa.  Sebbene il tema della manutenzione programmata interessi limitatamente i “restauratori” (trattandosi di interventi non “blasonati”) e le imprese edili (che si occupano prevalentemente di mercato immobiliare), esiste un settore in evoluzione che sempre più si interessa di manutenzione secondo le logiche esposte.  Nell’ambito dei Beni Culturali già diverse Regioni, inoltre, hanno definito i profili di competenze che devono possedere queste nuove figure professionali, abilitate anche a lavori su fune per ridurre i costi e operare in sicurezza. Abbiamo tutte le conoscenze, competenze e abilità necessarie, e un Patrimonio straordinario da tutelare – la vera ricchezza del Paese - che, per dimensione ed estensione, non avremo mai le possibilità economiche per “restaurarlo” tutto: la prevenzione, con attività continue e costanti nel tempo, è davvero l’unica strategia possibile.

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